Uomini senza Dio

UOMINI SENZA DIO – prima parte –

Questa è la mia vicenda che si riferisce a quasi un anno fa. Con la speranza che tutto ciò, nella realtà odierna, possa essere solo un brutto sogno, visto che, mi hanno detto, è cambiato il responsabile del DH oncologico.

Ammalarsi di cancro oggi è lo stesso che avere un raffreddore. Per due motivi: la frequenza con cui ci si ammala e la superficialità con cui alcuni medici ti curano.
A questo proposito voglio testimoniare la mia via crucis di malata oncologica.

Nel gennaio del 2017 mi accorgo di avere un nodulo ad un seno e dalla mammografia emerge la presenza di una formazione stellare. Contatto subito il reparto di chirurgia senologica dell’Ospedale di Cosenza e circa venti giorni dopo vengo operata: Carcinoma mammario. Per i chirurghi sono guarita. Ad essi va il mio grazie per la professionalità, la gentilezza e la disponibilità dimostrate.

Inizia il percorso terapeutico. Mi indirizzano al Follow-up per compilare la cartella oncologica e dove, in base al mio istologico, mi sarebbe stata prescritta la terapia da fare. Dopo due rimandi, a causa di un esame non ancora pronto, vengo convocata nello studio dell’assistente sociale che di fatto è una persona che devi rincorrere perché tratta le problematiche dei pazienti (chi ha per la prima volta ha utilizzato questo termine ha fatto una scelta azzeccatissima) nel corridoio senza però trovare soluzioni. Riesco a trovare l’oncologo di turno che, dopo avere compilato la cartella, mi gela con una frase, cito testualmente: “Tu non hai niente”. detta con tanta indifferenza e crudezza che posso garantire mi ha fatto più male dell’intervento, della chemio e della radio messi insieme. Allora per che cazzo devo fare la chemio? mi chiedo. Sei mesi con la condizionale a cui seguono 29 sedute di radioterapia. Forse per continuare ad incrementare la ricchezza delle case farmaceutiche.

Andiamo avanti. Come da protocollo, ogni ventuno giorni faccio il prelievo e all’indomani la terapia.
Bisogna giungere al DH di Oncologia di Cosenza entro le nove del mattino per le analisi. Se ritardi la scatola con i numerini per fare la fila sparisce, sei fuori tempo massimo. Non puoi fare più il prelievo e ti salta la seduta. Per arrivare in ospedale impiego più di un’ora visto che abito in provincia. In seguito mi azzardo a chiedere ad un oncologo se posso fare le analisi nel paese dove vivo. Mi risponde negativamente perché i parametri ospedalieri sono diversi e più attendibili di altri laboratori (varieranno i range di riferimento ma penso che un medico debba saper leggere i valori ematici da qualsiasi laboratorio essi provengano). Su un foglio segnano l’ora in cui il giorno seguente dovrebbe iniziare l’infusione. Parecchie volte avrei dovuto iniziare alle 8.30 .Cerco di essere puntuale, è nel mio interesse.

Purtroppo spesso devo aspettare tre ore prima di iniziare la terapia. Mi accorgo, con rammarico, che altri pazienti vengono dopo di me e vanno via prima. Mi assale lo sconforto e la rabbia. Molto educatamente e con un po’ di timore, (questo è il clima che domina in quel reparto), chiedo spiegazioni alla responsabile che, senza scomporsi, mi risponde che l’orario è indicativo e puramente formale. La domanda nasce spontanea: se è orientativo per me dovrebbe esserlo per tutti. Forse è orientativo solo per chi non ha parenti medici, non passa dagli studi privati, non ha conoscenze in alto loco. Non voglio commentare oltre.

 

Se provate a telefonare al reparto non vi risponderà nessuno. Se hai una urgenza o un imprevisto non lo puoi comunicare. I pazienti paganti avranno sicuramente il numero del telefonino di un oncologo a cui possono rivolgersi.
Non critico e non condanno nessuno. Osteggio fortemente il sistema che permette a questi “professionisti”, che hanno fatto il giuramento di Ippocrate al contrario, di aprire studi privati arricchendosi sulla pelle delle persone che, avendo i mezzi, vanno a comprare qualche etto di speranza. Proseguiamo. All’interno del reparto c’è una factotum (infermiera responsabile) che, oltre a portare a passeggio la divisa e dare gli appuntamenti ha il compito di sorvegliare se la porta esterna è aperta o chiusa o cercare il telecomando del climatizzatore, per il resto non ha nessuna valenza funzionale. Parliamo dei servizi igienici.

Nella sala d’attesa c’è un solo bagno dove vanno pazienti, parenti, uomini e non, (peccato che in sei mesi si sia potuto usare una sola volta. Sempre guasto!!!). Capite bene la difficoltà delle donne ad usare un bagno promiscuo. I medici hanno i loro bagni privati. All’interno del reparto la situazione non cambia. Quando ho iniziato a fare la terapia esistevano due W.C .Uno è stato chiuso perché il delicato naso della responsabile non sopportava il cattivo odore, per cui un solo bagno è agibile. Circa quattro ore di infusione di liquidi qualche danno devono pur farlo. È necessario eliminarli, il tuo bisogno primario è fare la pipi. Ma dove? C’è un solo bagno. Si potrebbero dotare i pazienti di cateteri vescicali, sarebbe una soluzione.

Dopo l’ultima seduta di chemio l’oncologo di giornata mi dimette. Mi rilascia delle impegnative dove sono segnati gli esami da portare dopo quattro mesi per la valutazione oncologica prescrivendomi una MOC e il dosaggio dei marcatori tumorali specifici. I protocolli del Ministero della Salute prescrivono, al termine della terapia, una TAC total body, una ecografia, una mammografia ed i marcatori tumorali.
Probabilmente nel mio caso hanno voluto risparmiare. Vado a chiedere spiegazioni al chirurgo che mi ha operato la quale mi risponde che spesso gli oncologi “DIMENTICANO” di prescrivere tutti i controlli specifici.

Per ovviare mi indirizza dall’assistente sociale affinché mi prenoti una ecografia. La incontro, come da routine nel corridoio e, a questa mia richiesta mi risponde, continuando a svolazzare nel suo camice, di rivolgermi al responsabile del Follow-up il quale seccatissimo e arrabbiatissimo mi dice che siccome il mio nominativo non è inserito nei piani di lavoro del giorno devo aspettare che finisca tutte le visite. Faccio un altro tentativo. Mi reco dalla responsabile del D-H oncologico, busso alla porta ed un’infermiera mi dice con sbarbo che bisogna aspettare mezzogiorno per poter avere udienza (nemmeno fosse la regina Elisabetta). A quel punto mi salta tutto, perdo la pazienza mi accorgo, ahimè, di sbattere contro un muro di gomma.

Un mio diritto, una mia necessità viene calpestate ben tre volte nello stesso giorno. Non ho nessuno a cui rivolgermi non c’è nessuno che mi tuteli. Che faccio allora? Mi rivolgo ad una clinica privata. Pago anch’io per comprare il mio etto di speranza. Non ricevo mortificazioni, ottengo quelle risposte, in tempi brevissimi, (potere dei soldi) che mi permettono di continuare a vivere con un po’ di serenità. Ho scelto di vivere la mia malattia con dignità. Non ho chiesto nessuno sconto né piaceri né agevolazioni, non ho mai cercato la commiserazione di nessuno, non mi serve, ma il comportamento di queste persone calpesta decisamente tutti i sentimenti positivi che nutro verso alcuni sanitari. Spero che da questo mio sfogo risulti trasparente ed evidente l’inumanità, l’indifferenza, il qualunquismo di questi “professionisti” che pensano di essere Dio sulla terra, che non hanno la capacità di ascoltare, consigliare, tranquillizzare le persone che, loro malgrado, devono interpellarli. Sia chiara una cosa, i medici esistono perché ci sono persone bisognose di cure.

Con stima e riconoscenza

Lettera firmata

1 – (continua)