E’ facile a Cosenza definirsi di sinistra

Così come dice il sindaco Occhiuto la sinistra a Cosenza si divide in due “categorie”: quella clientelare e quella salottiera. E fin qui non ci sono dubbi. Solo che Occhiuto dimentica di dire che è proprio grazie a questa sinistra che è diventato sindaco di Cosenza. Infatti la distinzione occhiutiana, che ha una sua ragion d’essere, si riferisce alla cosiddetta sinistra “istituzionale” e al mondo (pseudo) intellettuale che gli gravita attorno; la stessa sinistra con la quale da sempre inciucia sottobanco. Per capirci: la sinistra di Nicola Adamo, di Madame Fifì, di Franco Ambrogio, di Palla Palla, di Veltri, di Rende, e simili. Tutti amici del sindaco, alcuni di loro lo hanno sostenuto apertamente.

Ma non è la sola cosa che dimentica Occhiuto nel definire la sinistra, omette di dire che esiste anche un’altra sinistra: quella antagonista. Un tempo definita “sinistra extraparlamentare”. Quella che con i salotti e le clientele non ha niente a che fare. Non fosse altro che per una questione storica e di classe, almeno in teoria: si sa che i proletari, con i salottieri e i radical chic, non sono mai andati tanto d’accordo. Dico in teoria perché va detto, per amor di verità, che anche all’interno della sinistra antagonista “l’estrazione borghese” dei militanti è sempre stata prevalente rispetto alla presenza di militanti di “estrazione proletaria”. E questo, in molti casi, ha reso il confine tra antagonismo praticato e antagonismo salottiero, oltre che ciarliero, molto labile: tra il predicare rivoluzione e la sua messa in pratica, c’era, e c’è sempre un aperitivo, un weekend, una vacanza studio, un colloquio di lavoro, di mezzo. Prima viene la propria sistemazione, e il proprio benessere, che papà e mammà hanno già programmato, e poi se rimane un po’ di tempo, ma non ne rimane mai, si pensa alla rivoluzione che non si farà mai.

La storia insegna: chi ha fatto il 68, ad esempio, alla fine fa il giudice, il notaio, il farmacista, il dirigente pubblico, il magnifico rettore, il primario, il direttore di banca e di giornali. Tutte professioni che si passavano, all’epoca, da padre in figlio, pratica che continua anche oggi attraverso il clientelismo, e che denotano l’estrazione borghese dei militanti di allora che potevano permettersi le migliori università d’Italia, e le migliori pastette. E anche oggi, come allora, non è raro vedere interi dipartimenti universitari “occupati” da ex militanti della sinistra antagonista, o pseudo tali, avviati alla carriera universitaria.

Seppur in maniera strumentale Occhiuto dice una verità che più verità non si può. La sinistra a Cosenza, compreso i sindacati – al di là dell’esperienze sociali e politiche dal Gramna in poi, passando per la Ciroma, fino ad arrivare a Prendocasa e Rialzo – è sempre stata più una “moda intellettuale” che un vero “sentimento politico” impegnato alla costruzione di movimento rivoluzionario. O quantomeno conflittuale. Per tanti è stata ed è, una specie di anticonformismo militante per figli di papà annoiati e in cerca d’autore. Un modo per trasgredire, senza correre rischi. Una specie di atteggio politico da sfoggiare e da contrapporre contro chi si ritiene omologato al sistema, ma che serve anche per acchiappare. Ci tengono alla distinzione con gli omologati. Salvo poi omologarsi perfettamente alle pastette, ai privilegi, allo sfruttamento della colf di casa sua, o degli operai della fabbrichetta del papà; oppure ai finanziamenti pubblici, agli incarichi, alle corsie preferenziali, alle assunzioni dirette; e per finire si omologa volentieri anche al conto corrente di babbo, alle vacanze a Ibizia, alle seratine “in”, alla macchina a 18 anni.

Insomma per tanti la sinistra più che una vocazione è quasi un bisogno culturale da esprimere solo esteticamente.

Ecco perché per molti di sinistra è facile dire aiutiamo i poveri, oltre a riempirsi la bocca di compassione e umanità, perché i poveri loro non li praticano: non sono vicini di casa, i loro figli non vanno a scuola con quelli dei poveri, non villeggiano nello stesso resort, non frequentano gli stessi ristoranti. Che gli interessa ai militanti della sinistra salottiera e clinetelare, per esempio, se Cosenza vecchia è ridotta ad una baraccopoli che nega la dignità, per il degrado materiale dei luoghi, a chi ci abita? A loro la solidarietà basta enunciarla, tra uno sciampagnino e uno scambio di tesi filosofiche, per dirsi a posto con la coscienza. Per loro è facile dire accogliamo: tanto le loro ville e i loro condomini saranno sempre esclusi da ogni processo di integrazione. E se poi, donne e bambini, finiscono per strada ad elemosinare non è un problema loro, ma di tutta la società.

È questo modo di agire che ha determinato il totale e completo scollamento tra la sinistra e i ceti sociali più deboli. Un modo di agire che di fatto ha avallato, attraverso le sue evidenti contraddizioni, una guerra tra poveri. È difficile accettare per chi vive da disoccupato a casa dei suoi a 45 anni, il predicozzo comunista sul “siamo tutti uguali” da chi poi se ne va in vacanza per due mesi lasciando i poveri a scannarsi, per un tozzo di pane, tra di loro. Il che cozza contro ogni principio che voglia dirsi marxista.

Ma si sa, di Carl Marx basta solo sfoggiare l’edizione più figa del Capitale, magari esposta in bella mostra nella lussuosa e superba biblioteca di famiglia. E il patentino di antagonista, da esibire ad ogni festino trasgressivo contro il sistema, non te lo caccia nessuno.

E’ facile, a stu priazzu, dirsi di sinistra.