Il Club Privé (di Marco Travaglio)

di Marco Travaglio

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Dite la verità: non siete anche voi stupefatti e sgomenti per “il veto gialloverde su Enrico Letta” denunciato da Repubblica? Se è vero quel che scrive il quotidiano dei migliori-buoni-giusti dell’“altra Italia”, è accaduto questo: misteriose entità vaganti fra Bruxelles e Strasburgo non specificate avrebbero offerto a Di Maio e Salvini la preziosa opportunità di nominare l’ex premier del Pd, quello che nel 2014 governò con Berlusconi, nientemeno che alla guida del Consiglio europeo. Ma quelli niente, se la sono lasciata sfuggire. Per la verità, questi illustri euroectoplasmi avevano prospettato anche alcune alternative ancor più succulente: Renzi, Gentiloni e Monti. Ma i cattivoni giallo-verdi non hanno raccolto neppure quelle: hanno “sostanzialmente bloccato sul nascere la trattativa” (non si sa con chi). Ma si può? Chi ti insulta un giorno sì e un altro pure e non vede l’ora di sterminarti con una procedura d’infrazione ti propone di nominare come unico rappresentante italiano in Europa un tuo acerrimo nemico, che rappresenta un partito del 20% (senza neppure esservi iscritto) e ti dà continuamente del cialtrone, dell’incapace e del fascista, e tu che fai? Dici no? Roba da matti. Se, per dire, ai premier Monti o Letta o Renzi o Gentiloni ai loro tempi qualcuno avesse detto: “Che ne dici di promuovere al Consiglio d’Europa Di Maio o Di Battista o Salvini o Borghezio?”, quelli, sportivi come sono, avrebbero firmato su due piedi. Altrimenti Repubblica avrebbe dovuto titolare “Veto montiano su Di Maio”, “Veto lettiano su Salvini”, “Veto renziano su Di Battista”, “Veto gentiloniano su Borghezio”. E qualcuno avrebbe domandato: embè?

Anziché domandarsi perché solo il 25% dei votanti, pari al 15% degli elettori, vota ancora centrosinistra e studiare il modo di recuperare i milioni di elettori perduti, il club dei migliori-buoni-giusti rifiuta l’idea che in democrazia il diritto di governare sia direttamente e non inversamente proporzionale ai consensi. Ritiene che il governo sia riservato agli iscritti al club privé, anche se non li vota nessuno. E non si dà pace che governi chi ha la maggioranza: molto meglio i governi di minoranza dell’ultimo quinquennio. L’altra sera, a Otto e mezzo, ci si interrogava sul perché i 5Stelle restino al governo anziché farlo cadere. Domanda che si potrebbe porre a chiunque vinca le elezioni in qualsiasi democrazia del pianeta, ma curiosamente la sentiamo porre solo in Italia e solo al M5S. Le risposte degli ospiti – Lella Costa, il rag. Claudio Cerasa e Luca Telese – erano che i 5Stelle “amano il potere e vogliono fare le nomine”.

O “da buoni rivoluzionari si illudono di fare le cose”. O “non vogliono perdere le poltrone, del resto quando gli ricapita?”. Esclusa a priori la risposta più ovvia: chi prende il 33% alle Politiche, le uniche che contino per il governo nazionale, ha non solo il diritto, ma il dovere di governare per cinque anni con i propri alleati e di realizzare il programma premiato dagli elettori, finché ha la fiducia del Parlamento. Non che quello giallo-verde sia il miglior governo possibile, tutt’altro: ma è l’unico possibile in questa legislatura, a causa della mancanza di alternative dovuta alla cinica scelta del Pd di Renzi e poi di Zingaretti di rifiutare qualunque dialogo col M5S. Ora, dopo le Europee che li hanno dissanguati, i 5Stelle sono tentati di cercare un buon pretesto per affossare il governo, ritirarsi all’opposizione, leccarsi le ferite, ritrovare l’identità smarrita, tentare la rimonta e lasciare ad altri il peso di una impopolarissima legge di Bilancio. Ma poi ha parlato Conte e ha garantito che non farà il prestanome di Salvini. Non sarà facile, ma vale la pena di sostenerlo.

Le possibili conseguenze della sua caduta sarebbero solo due: o le elezioni a settembre, che ci regalerebbero un governo Salvini-Meloni (con o senza FI); o una spaccatura del M5S, con una pattuglia di parlamentari terrorizzati di votare e perdere il seggio, pronti a salutare Di Maio per sostenere un governo Salvini-FdI-FI. Cioè: se cade Conte, comunque vada, avremo Salvini a Palazzo Chigi. E chi spensieratamente tifa contro Conte dovrà pentirsene e rimpiangerlo. Perché le follie che Salvini non è ancora riuscito a realizzare grazie al freno di M5S e Conte diventerebbero ipso facto legge: dl Sicurezza-bis, secessione del Nord, Tav, deregulation totale sugli appalti, sottomissione dei pm al governo, abolizione dell’abuso d’ufficio, ritorno della prescrizione, flat tax per ricchi, mano libera alle lobby del cemento e del petrolio contro l’ambiente e alle forze dell’ordine contro il dissenso. E sarebbero Salvini e vassalli a scegliere, nel 2022, il nuovo presidente della Repubblica.

È vero: dopo le Europee, il rischio è che alcuni di questi incubi si avverino anche con questo governo, se Conte e i 5Stelle non troveranno la forza di arginare la bulimia salviniana. Ma, per scongiurarlo, occorre spronare il premier e Di Maio a mangiare bistecche di tigre. E a tenere pronte le dimissioni per non rendersi mai complici. Ma che senso ha accelerare la caduta di una maggioranza formata per due terzi dal M5S e per un terzo dalla Lega per sostituirla con una tutta salviniana? È il sogno di Salvini, che pagherebbe per veder cadere Conte per mano M5S e poi prendersi tutto senza pagare il prezzo dello spread e dell’impopolarità. Resta da capire cosa ci guadagnerebbe il Pd, che invoca scriteriatamente le elezioni e a prendersela con gli unici che ancora possono frenare il salvinismo arrembante. E soprattutto cosa ci guadagnerebbe l’Italia. Solo un pazzo può voler votare ora, nel momento più alto della parabola politica di Salvini, anziché lasciarlo logorare un altro po’ alla prova più temuta dai parolai e dai cazzari: quella dei fatti.

“IL CLUB PRIVE’” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 9 Giugno 2019