Il nome dell’impresa della signora Ventura nei pizzini di Bernardo Provenzano

Le avventure della famiglia Ventura non finiscono mai. Non fai in tempo a scriverne una che subito se ne scopre un’altra. E su questo, una prima considerazione la possiamo azzardare: la famiglia Ventura ha avuto a che fare con tanti strani personaggi, politici e massomafiosi su tutti. I due principali soggetti a cui rivolgersi quando gestisci una azienda da oltre 50 milioni di euro di fatturato annuo, il che significa che qualche santo in paradiso che li benedice dall’alto c’è. E questo non lo diciamo noi, ma il procuratore Gratteri nell’ordinanza dell’operazione “Passepartout”, dove il fratello della signora Ventura è stato rinviato a giudizio per aver illecitamente fatto pressione sulla politica per aver l’appalto della fu “metro leggera” che doveva sorgere a Cosenza. A dire questo anche i giudici di Lecce che hanno condannato sempre l’azienda Ventura per corruzione aggravata, turbativa d’asta, e per aver violato la legge sul finanziamento dei partiti. Insomma, l’azienda Ventura pagava i partiti in cambio di favori, “pastette” e appalti.

Ad avvalorare questa sempre più concreta e avvincente tesi il giornalista Salvo Palazzolo e il magistrato Michele Prestipino. Entrambi sono gli autori di un famoso libro dal titolo: “Il codice Provenzano”.

Il magistrato e il giornalista analizzano nel dettaglio gli oltre 300 pizzini trovati nel covo di Bernardo Provenzano, capo indiscusso di “Cosa Nostra, all’indomani del suo arresto avvenuto in località Montagna dei Cavalli, Corleone, l’11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza.

“Non sapete quello che state facendo”, disse Provenzano agli uomini dello stato che lo stavano arrestando: erano le 11.21 di una mattina che il capo di Cosa Nostra aveva dedicato alla scrittura dei pizzini, l’unico strumento che utilizzava per comunicare con il mondo al di fuori della sua casa bunker. Bernardo Provenzano aveva comandato da sempre così, battendo i tasti delle sue macchine per scrivere. Dovunque si trovasse. Poi affidava quei messaggi, ripiegati sino all’inverosimile e avvolti dallo scotch trasparente, nelle mani di fidati mafiosi.

Oltre ai pizzini sparsi per tutto il covo, le forze dell’ordine trovarono 4 pizzini in tasca al capo di Cosa Nostra. Uno dei pizzini diceva:

Gli investigatori non avendo mai ricevuto denunce da parte dell’impresa Ventura di una richiesta di pizzo, dedussero che il significato di quel pizzino era da ricondursi ad una forma di “attenzione” da parte del padrino nei riguardi dell’impresa Ventura, o se preferite un “suggerimento” a chi di dovere sul nome dell’impresa a cui dovevano essere assegnati i lavori della ferrovia di Licata. Se così non fosse ci sarebbero agli atti le denunce per estorsione, se questo fosse stato lo scopo del padrino. Il silenzio dell’impresa Ventura lascia immaginare ad un accordo tra l’impresa e il padrino: una bella percentuale sui lavori da versare al padrino. Anche se su questo non si è fatta mai piena luce.

Sul perché “certe inchieste” quando riguardano pezzotti calabresi, si insabbiano o spariscono, bisogna chiederlo a chi dovere. Ma resta il fatto che il nome dell’impresa di famiglia della signora Ventura si trovava nella tasca del padrino di Cosa Nostra, e se le cose non sono andate così, spieghi, la candidata del Pd e dei 5Stelle, come stanno realmente le cose. Questo lo deve ai calabresi chiamati ad esprimersi su di lei. Mostri le denunce se era vessata, e se le denunce non ci sono, ognuno tragga le proprie conseguenze.