Il pesce puzza dalla testa vuota

(Anna Lombroso per il Simplicissimus) – Ormai avviene di frequente che promettenti icone post adolescenziali che hanno raccolto entusiastico consenso e unanime ammirazione  seguano all’inverso il processo magistralmente descritto da Arbasino, e da venerati maestrini si rivelino essere i soliti stronzi.

Non dirò ve l’avevo detto: non amo esibire le mie credenziali profetiche (chiunque voglia verificare può consultare l’archivio di questo blog digitando sardinesarde in saòr o alla beccafico e pesci in barile):  ci voleva davvero poco per capire la vera indole da peracottaro di Mattia Santori, leader del movimento delle Sardine, venuto su all’ombra di vegliardi affetti da quella sindrome che li spinge a vezzeggiare giovani marpioni in vendita, aspirando all’eterna giovinezza pubblica e all’immortalità politica.

E poi non sarebbe elegante ridicolizzare la dabbenaggine degli illusi che allora pensavano di acquisire il patentino di antifascisti cantando in piazza Bella Ciao e Com’è profondo il mare, rituale ripetuto dai balconi durante gli arresti domiciliari e oggi sostituito comodamente dal green pass, assurto a tessera di iscrizione al partito del Progresso, della Scienza, della democrazia custodita “da chi sa”.

Come non capirli, avevano bisogno di facce pulite, di innocenza, di ingenuità, come ebbe a scrivere un immaginifico sociologo, anche se vigorosamente sponsorizzate  da tutto l’establishment degli squali  della politica, dell’imprenditoria corrotta e corruttrice, dell’opinionismo in offerta sulle colonne e colonnine della stampa, da Prodi mentore del Mattia e occulto protettore, ai Benetton festosi anfitrioni e sacerdoti della cultura aziendale, tutti in estasi davanti all’immagine di piazze occupate da un populismo “educato” secondo le regole del politicamente corretto, convertite da siti dell’opposizione,  della critica e della protesta, a palestre per il tirocinio di piccoli arrivisti in cerca di reddito, affermazione personale e like e cuoricini sul profilo, schierati come un esercito combattente contro la violenza verbale dell’energumeno in modo da estendere la lotta a qualsiasi disallineamento dal pensiero e dalla comunicazione dominante.

Si sbagliavano loro, ma so già che ci sarà una reviviscenza dell’abitudine italiana alla rimozione dell’omaggio e del consenso riservato a cialtroni, fasulli, criminali, appena gira il vento, salvo felici e compunti ritorni sui propri passi. Ma si sbagliava anche chi ha pensato che si trattasse di un fenomeno effimero e ininfluente.

Perché non solo il fetore di marcio di certi pesci velenosi riaffiora, ma soprattutto perché le sardine hanno incarnato in anticipo il “pensiero” e l’atteggiamento dell’italiano pandemico, disposto all’obbedienza in cambio della sicurezza e di qualche licenza eccezionale, pronto a consegnarsi ad autorità arroganti e prepotenti augurandosi di riceverne in cambio tutele e benefici, che rifiuta il pensare critico preferendo il quieto vivere e il conformismo e smania per essere assimilato a una minoranza “superiore” spocchiosa e decadente, che vanta una supremazia morale e che, se proprio è costretta a prendere posizione oltre al linciaggio nei confronti degli eretici,  opta per la delega, riducendo doveri e responsabilità all’accettazione di comandi e regole anche quando si dimostrano inefficaci o controproducenti.

Si capisce che perfino un Mattia Santori possa eccellere grazie a quella strana interpretazione della meritocrazia che premia i fidelizzati, i servi, meglio se sciocchi, gli ignoranti che comunicano con lo slang imperiale la loro idolatria per la competenza, i leccapiedi che esibiscono la cortigianeria come una virtù civica in una “società” aperta secondo i paradigmi di Soros, cari ai progressisti neoliberisti, autonominatisi èlite  per censo, cultura e appartenenza a un mondo cosmopolita che accetta e accoglie dello straniero la cucina fusion, i premi Nobel dei quali non ha mai sentito parlare, il cinema militante, ma non gli paga i contributi, li affida alle cure della Bellanova, li tollera a Capalbio purché in livrea impiegandoli onorevolmente come vessilli nella battaglia contro l’energumeno sfrontato e truce finché  non diventa il fido alleato di governo.

E non stupisce che scenda in campo: al suo movimento è stato attribuito un carattere  coerente con la convinzione che la politica sia ormai ridotta a duello di schieramenti che menano fendenti con le spade di legno come i pupi, che tanto, come si dice a Roma, er più mejo c’ha la rogna, affini e cointeressati a miserabili finalità, e ognuno dei quali rivendica l’esercizio del bene, della difesa della morale e dell’interesse generale.

Come si addice al “giovane economista” a suo tempo assunto da Alberto Clò, ex ministro cattolicissimo famiglio di Romano Prodi, anche nel corso della famosa “seduta spiritica” da cui sarebbe uscito il nome “Gradoli” come luogo di prigionia di Aldo Moro, ecologista militante prestato occasionalmente alla cerchia dei petrolieri, solerte supporter del candidato presidente che insieme a colleghi esplicitamente leghisti pretende autonomia regionale in tutte le materie suscettibili di favorire fertili privatizzazioni, manco fosse sul Britannia, si è fatto anche lui il suo programmino elettorale per presentarsi alle elezioni di Bologna con il Pd, quello del quale l’8 marzo diceva trattarsi di marchio tossico cui nessuno si iscriverebbe, convinzione questa sottoposta a proficuo ripensamento in occasione di una missione compiuta con il vertice del branco nei locali della direzione romana, accolto come un giovane profeta da sdilinquite personalità delle quali in quel caso abbiamo appreso l’insospettabile esistenza in vita.

E così ha rivisitato i 5 comandamenti che avevano fatto la fortuna del branco per adeguarli alle esigenze della realpolitik: 1. “Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che fare campagna elettorale permanente“. 2. “Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente su canali istituzionali“. 3. “Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network“. 4. “Pretendiamo che il mondo dell’informazione protegga, difenda e si avvicini il più possibile alla verità“. 5. “Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica” (il sesto: “Chiediamo alla politica di rivedere il concetto di sicurezza e, per questo, di abrogare i decreti sicurezza attualmente vigenti“»,  ha trovato ampia soddisfazione nel ravvedimento operoso ed edulcorante dello stesso presidente del consiglio che aveva firmato la prima versione), convertendoli in un elenco di propositi che farebbero vergognare gli estensori dei punti qualificanti per le elezioni universitarie della Fuci nel 1950.

Ha voluto farci sapere che pur ammirando l’ardimentosa Schlein ha scelto di schierarsi direttamente con l’establishment del partito per collocarsi meglio nelle istituzioni e forse perchè come oi d’altra parte non vedeva una gran differenza se la coraggiosa Vice di Bonaccini si ingoia ogni genere di rospo, si alle trivelle, si alla secessione, si ai fondi per il sistema sanitario privato, si alla conversione dei percettori di reddito di cittadinanza, in manovalanza agricola in sostituzione di immigrati renitenti.

E siccome lui detesta “la vecchia politica”, ma “l’antipolitica si combatte con più politica”, grazie a lui “a Bologna sta per sorgere un nuovo patto tra politica e cittadini che darà del filo da torcere ad un vecchio modo di concepire la politica”, grazie al suo sacrificio e al suo spirito di servizio “perché è arrivato il momento di presidiare la politica anche dentro alle istituzioni…. E perché c’è un tempo per arginare, un tempo per sorvegliare e un tempo per costruire”.

Non so a voi, ma a me già il verbo costruire negli slogan elettorali inquieta, ricordandomi automaticamente le mani sulla città, il presidente immobiliarista con le sue casette da Milano 2 all’Aquila, le grandi opere riavviate beneficamente dall’attuale dopoguerra grazie alle elemosine europee.

In questo caso l’orizzonte è di sicuro più modesto:  l’i have a dream di Santori si riduce alla realizzazione del “primo stadio del frisbee a Bologna”, una chimera che a dirla tutto insegue fina dal tempo in cui ha vinto, con la Cooperativa “La Ricotta”, un modesto incarico del Comune per la manutenzione di un’area pubblica abbandonata che comprende un terreno   invaso da erbacce e che grazie a lui e ai 7500 euro dell’appalto che si è aggiudicato, potrebbe diventare un campetto per quella specialità sportiva, “aggregante e inclusivo”.

Si sa che il frisbee appartiene agli sport che si giocano con un “disco volante”. E allora anche io faccio un sogno, che di prepari davvero un’invasione di extraterrestri a salvarci da quella di questi barbari,  molto più feroci e imbecilli.