Il Salvini perdente e l’ultima trincea del terzo mandato

(DI ILARIA PROIETTI  – ilfattoquotidiano.it) – Botte da orbi e siamo solo al principio. Dopo il controcanto a Fratelli d’Italia su premierato e trattori, il terzo mandato per le Regioni, che spalancherebbe a Luca Zaia un altro giro di giostra, è diventato la nuova trincea della Lega. Una scazzottata tra alleati, quella sui governatori, che si interseca con una guerriglia tutta interna ai meloniani, fin qui sotto traccia, e che ieri si è materializzata in chiaro al Senato.

Ma andiamo con ordine. Per Matteo Salvini, che teme il risultato delle elezioni europee e pure l’annesso rimpasto di governo, il Veneto è diventato la linea Maginot. Vorrebbe che Zaia, da molti evocato per succedergli, resti invece dov’è. Anche perché Zaia sta senza pensieri: “Io mi candido nella misura in cui ci fosse la possibilità, ma a oggi non c’è la possibilità, per cui è una partita chiusa”, ha detto ieri per non passare per chi è attaccato con il Bostik alla poltrona. “Non ne ho bisogno. Ma va anche detto che questo Paese ha un’anomalia: ci sono solo due cariche in Italia che hanno il blocco dei mandati, il sindaco e il presidente di Regione; guarda caso le uniche due cariche che il cittadino elegge direttamente. Mi fa un po’ sorridere pensare che l’unico dibattito di questo Paese sia il sottoscritto. Mi sento un po’ come san Sebastiano per le frecce che mi arrivano”, ha detto replicando al ministro dei Rapporti con il Parlamento, il meloniano Luca Ciriani. Il quale l’aveva messa così: “Per Zaia, che è stato un ottimo governatore, sarebbe il quarto mandato. Nessuno è eterno, neanche lui”. Anche se poi alla fine la ciccia per Fratelli d’Italia resta un’altra: “Chiediamo di avere un peso proporzionale ai nostri voti, sarà il Veneto o il Piemonte, vedremo”, ha detto a proposito del braccio di ferro con la Lega, che si sta giocando a tutto campo: oggi sull’estensione del mandato ai presidenti di Regione (per ottenere il quale viene minacciato il boicottaggio del premierato sì caro all’amica Giorgia), ieri con il controcanto sull’Irpef agli agricoltori con una sfida tra FdI e Lega a vellicare la pancia al popolo dei trattori. Per non dimenticare, ancora prima, la convocazione dell’internazionale sovranista voluta da Salvini a Firenze per additare Meloni come amica dell’inciucio con cui la maggioranza Ursula governa l’Ue.

E poi ci sono i colpi sotto la cintura assestati anche sul caso di Ilaria Salis, con la premier Meloni a chiedere di abbassare i toni puntualmente tenuti altissimi dalla Lega, che adesso ha puntato una fiche sul tema del terzo mandato per “tutelare” Zaia in Veneto, che comunque vada rischia di diventare una corona di spine per FdI: la prospettiva di conquistare la Regione infatti sta paradossalmente facendo salire la temperatura nel partito di via della Scrofa. Un episodio ieri ha dato l’idea del sentore di tamburi di guerra.

Palazzo Madama, interno giorno: a darsele, ma soprattutto a promettersele sono due senatori fratelli (d’Italia). Uno dei due è Andrea De Carlo, carico a duemila da quando è diventato per tutti il cavaliere che farà l’impresa, la conquista della Terra Santa che si chiama Veneto. Ieri, per farla breve, ha preso di petto un suo vicino di banco, reo di avergli accidentalmente fracassato il tesserino, quello che consente ai senatori di votare in aula. “Imbecille” e altre alate parole (da quanto riferito al Fatto da chi era vicinissimo alla scena del delitto), sono uscite dalla bocca di De Carlo all’indirizzo di Bartolomeo Amidei, senatore rodigino a quanto pare di rito ursiano. Nel senso di Adolfo Urso, eletto pure lui in Veneto, che per il posto di Zaia lavora su altri nomi e non certo quello di De Carlo sì caro a Meloni e al ministro cognato Lollobrigida. Amidei, si diceva. Non ha digerito di essere chiamato imbecille ovviamente, ma adesso pretende soddisfazione dopo aver replicato a De Carlo in modo non proprio fraterno: “Sei un pallone gonfiato fuori controllo. Scriverò una lettera al partito”. S’ode a destra uno squillo di tromba, sempre a destra risponde uno squillo.