Italia 2021. Meglio le elezioni o un ultimo tentativo? Pro e contro

Meglio le elezioni

(di Gad Lerner e Franco Monaco – Il Fatto Quotidiano) – Dentro l’attuale congiuntura critica, non è buona norma farsi guidare dalla paura che vinca la destra. Meglio essere pronti a una sfida alta. Da come si sono messe le cose, sarebbe auspicabile che si seguisse una via trasparente e lineare. Quella già prefigurata da Conte nel caso quasi certo che venga meno la maggioranza: un passaggio parlamentare in cui ciascun soggetto, singolo o partito, si assuma la propria responsabilità agli occhi del Paese. Come fu per i governi Prodi, tra i pochi che, in conformità alla Costituzione, furono sfiduciati in Parlamento.

Conte consideri che se Prodi, dopo la caduta del suo primo governo, ha avuto una seconda chance nel 2006 è perché la nitida parlamentarizzazione della crisi, ne preservò la credibilità. Ogni altra soluzione – “responsabili”, rimpastone, cambi di premier – incappa in una doppia obiezione: avrebbe il sapore antico e sgradevole dei giochi trasformistici di palazzo che gettano ulteriore discredito su politica e istituzioni, ma soprattutto non risolverebbe il problema, reitererebbe una condizione di asfissia e precarietà. Chi può scommettere che, per questa via, ci si possa mettere al riparo dai ricatti quotidiani dell’ultimo “responsabile” e tanto più di Renzi, mosso dalla pervicace, cinica e disperata convinzione che la sua strategia dell’ostruzionismo di maggioranza possa assicurargli visibilità e (improbabile) consenso? Certo, parlamentarizzare la crisi e rifiutare opache manovre di palazzo comunque non risolutive presuppone di mettere nel conto elezioni anticipate. Davvero, non solo evocandole tatticamente senza convinzione. Conosciamo l’obiezione: elezioni dentro l’emergenza sanitaria ed economica, nel vivo del piano vaccinale e di quello per il Recovery sono un serio problema (e chi le ha causate ne risponderà). Ma l’obiezione può essere rovesciata: si possono affrontare quelle sfide con un esecutivo fragile quanto o più di questo?

Alle elezioni la destra parte favorita. Ma, se ben impostata da subito, proprio a partire da un limpido dibattito parlamentare in cui – come quello dell’agosto 2019 tra Conte e Salvini – siano squadernati problemi e responsabilità, la partita sarebbe apertissima. Anche col Rosatellum, una brutta legge elettorale, che tuttavia costringe ad alleanze prima delle elezioni. Che si configurerebbero come una sorta di referendum a due: tra uno schieramento europeista Pd-M5S-LeU guidato da Conte e uno sovranista capeggiato da Salvini. Non sarebbe una passeggiata per quest’ultimo portare tutto il centrodestra a una battaglia antieuropeista nella stretta del negoziato con la Ue per il Recovery. Nel fronte antagonista sarebbe l’occasione per un chiarimento identitario e strategico per Pd e M5S. Con nuovi gruppi parlamentari finalmente organici a tale prospettiva. La precarietà politica e la debolezza di qualunque governo dipende anche dalle contraddizioni irrisolte degli attori politici. Un vallo arduo che va attraversato. Non possiamo permetterci di condannare il Paese a governi senza respiro.

Ultimo tentativo

(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Cari amici, in condizioni normali sottoscriverei il vostro appello parola per parola. Ma questi non sono tempi normali. Infatti nessuno in Europa, a parte qui, evoca elezioni anticipate né crisi di governo perché nessuno può permettersi il lusso di perdere due-tre mesi mentre partono le vaccinazioni, la terza ondata Covid e il Recovery Plan. Quindi ritengo doveroso almeno tentare di salvare quello che reputo il miglior governo possibile senza vendere l’anima al diavolo. Cioè senza pagare il pizzo ai ricattatori di oggi e di domani. E senza impapocchiare, per la solita paura che vinca Salvini, governissimi tecnici o parapolitici che sortirebbero l’unico effetto di rinviare di qualche mese una vittoria salviniana ancor più certa e tonante.

C’è una strada onesta e praticabile per almeno tentare di scongiurare questo rischio? Secondo me sì: la via maestra della Costituzione, cioè della democrazia parlamentare, nello spirito della (peraltro pessima) legge elettorale proporzionale che Pd, FI e Lega ci hanno imposto dal 2017 (e che, tra parentesi, non impone affatto le alleanze prima del voto, ma solo dopo, come si è visto in questa legislatura). Per la Costituzione, le legislature durano cinque anni, almeno finché c’è una maggioranza che sostenga un governo. Dunque evitare di interrompere la legislatura è legittimo. E anche utile, visto che una crisi al buio e una campagna elettorale oggi sarebbero un danno per l’Italia. Le opposizioni hanno diritto a chiedere le elezioni, ma i giallo-rosa hanno il dovere di provare a negargliele, per completare l’opera avviata e farsi giudicare quando ne avranno (e, si spera, avremo) raccolto i frutti. Cioè nel 2022 e non oggi, in mezzo al guado e al guano, con la gente tutta presa dal virus e ancora poco conscia di cosa accadrebbe con un governo Salvini, vale a dire col “modello Lombardia” su scala nazionale. Ora che i renziani se ne vanno, Conte non deve cercare né reclutare “responsabili” sottobanco. Deve presentarsi in Parlamento nello spirito dell’appello di Mattarella ai “costruttori” e tenere un discorso chiaro e sobrio rivolto anzitutto agli italiani: io sono qui, i sabotatori sono questi, il piano italiano per il Recovery è questo, per i vaccini, la terza ondata, la ricostruzione faremo questo e queste sono le riforme che realizzeremo sino a fine legislatura se avremo l’appoggio delle Camere; in caso contrario, salirò al Quirinale a dimettermi e sarà Mattarella a gestire la crisi.

Se i 5Stelle, il Pd e LeU gli assicureranno il sostegno e si diranno indisponibili per qualunque altro governo, sarà chiaro a tutti che, caduto Conte, si va a votare. Subito: cioè a fine febbraio-inizio marzo, perché già in aprile il nuovo governo possa dare risposte all’Europa, sempreché questa ci aspetti. Così, al momento del voto di fiducia, tutte le carte saranno in tavola e tutti sapranno che sfiduciare Conte vuol dire precipitare l’Italia alle urne anticipate. E ciascuno farà i propri calcoli.

Se qualche aspirante “ costruttore” che ora sta all’opposizione deciderà, liberamente e legittimamente, di sostenere il governo per restare in Parlamento fino alla scadenza naturale della legislatura, saprà di doverlo fare gratis: oltre al naturale rimpiazzo della delegazione renziana (due ministre e un sottosegretario), non ci saranno poltrone in palio da scambiare. E, col taglio dei parlamentari da 945 a 600, nessun partito potrà garantire poltrone. Se quei voti basteranno a fare maggioranza, il governo andrà avanti. Altrimenti cadrà.

Dopodiché, se Pd o M5S o LeU vorranno sostenere qualche ammucchiata raccogliticcia, non faranno che rinviare la resa dei conti, perché prima o poi verranno puniti dai loro elettori. Altrimenti si voterà e, salvo clamorose sorprese, i giallo-rosa verranno bocciati dagli elettori perché passerà l’idea che “hanno litigato” e “hanno fallito” (grazie anche alla narrazione dei giornaloni che fanno tutti il gioco dell’Innominabile e dei poteri restrostanti perché non hanno mai digerito il Conte-2 e non vedono l’ora di dire che l’avevano previsto). E vincerà la destra, che si papperà il governo, il Quirinale, i 209 miliardi del Recovery e una maggioranza tale da riscriversi la Costituzione à la carte. A meno che i 5Stelle non si decidano a chiedere a Conte di guidare le loro liste e il Pd presenti volti nuovi ed esca dalle sue mille ambiguità, mostrandosi compatto e coerente nella crisi: a quel punto potrebbe persino accadere il miracolo. In ogni caso, ci libereremo per sempre dell’Innominabile e della sua masnada di ricattatori. Comunque vada, sarà un successo.