Jolly Rosso, inchiesta a perdere: tutto archiviato e ormai dimenticato (di Francesco Cirillo)

Jolly Rosso: inchiesta a perdere. Tutto archiviato e oramai dimenticato

di Francesco Cirillo

Va bene, non è successo niente. E’ stata un’allucinazione di massa la Jolly Rosso, l’unica nave dei veleni spiaggiata per mancato affondamento. Centinaia di articoli, inchieste, foto, video, filmati a ripetizione, morti di leucemia, morti misteriose, tutto è stato frutto di fantasia di qualche magistrato coraggioso,  indagatori vari e naturalmente dei giornalisti e scrittori vari.

A questo punto le prossime volte si occuperà della Jolly Rosso e delle navi dei veleni esclusivamente Dylan Dog “l’indagatore dell’incubo” in uno dei suoi celebri fumetti. L’ultima archiviazione venne presa nel 2009 dal pm della Procura di Paola Francesco Greco, poi trasferito per incompatibilità ambientale alla procura di Lagonegro. Per diversi anni Greco lavorò alacremente attorno a tutto ciò che potesse riportare alla verità sulla nave dei misteri, Rosso, senza trascurare assolutamente nulla.

Nella richiesta di archiviazione il pm Francesco Greco scrisse che “ritenuto che a seguito delle indagini di questo ufficio sono stati accertati ulteriori reati e conseguentemente sono stati messi provvedimenti di stralcio (in atto nel fascicolo); che da tutta questa notevole attività di indagine in considerazione che non sono emersi elementi chiari di collegamento tra il rinvenimento dei materiali trovati in località Foresta (diossina, pcb e metalli pesanti) e la motonave Rosso, ovvero altri elementi certi tesi a dimostrare l’accusa di naufragio doloso al fine di lucrare la compagnia assicurativa in considerazione anche del notevole tempo trascorso per l’acquisizione di prove certe; considerata la complessa attività d’indagine e l’acquisizione di atti in numerose regioni del territorio italiano che non ha evidenziato elementi di reità utili ed idonei per sostenere l’accusa in giudizio; rilevato inoltre che per reati accertati all’epoca dei fatti a carico di pubblici ufficiali e militari sono da considerarsi già ampiamente estinti per prescrizione; chiede che il giudice per le indagini preliminari voglia disporre l’archiviazione del procedimento e ordinare la restituzione degli atti al proprio ufficio”.

Fine della storia. L’archiviazione venne accolta da un altro giudice, Carpino, ed i fascicoli dell’inchiesta, ben 18 faldoni, giacciono ora nei depositi del Tribunale di Paola. Posso dire che forse sono stato l’unico a vedere e poter consultare questi fascicoli, in quanto venni denunciato dalla società Messina per diffamazione a seguito di una delle mie inchieste sulla Motonave Rosso, e il procuratore dell’epoca Giordano Bruno mi dette l’autorizzazione, per il diritto alla difesa di poterli consultare. Per un mese di seguito venni chiuso in uno sgabuzzino a consultare i fascicoli e alla fine ottenni anche l’autorizzazione per fare delle fotocopie.

Oltre 500 fotocopie dove è testimoniata l’esistenza del traffico con tanto di nomi, cognomi, interrogatori e testimonianze importanti. Tutto finito nel nulla. A qualche magistrato, bisogna dare atto di essersi assunto la responsabilità di continuare ad indagare su una vicenda che era stata frettolosamente chiusa. Gli errori, le omissioni, le stranezze sono avvenute tutte all’inizio della vicenda, nel lontano 14 dicembre del 1990 e a nostro parere le responsabilità ricadono tutte in quella prima indagine. Responsabilità veramente gravi che dimostrano come attorno alla Jolly Rosso si siano mosse una serie di personaggi, che vanno da agenti dei servizi segreti a mafiosi della costa tirrenica, che hanno fatto di tutto per coprire un errore grossolano fatto da chi avrebbe voluto che la nave affondasse. La nave invece non affondò.

Fu la seconda nave a non affondare. La prima finì sulle spiagge della Tunisia. Questa finì sulle spiagge di Campora San Giovanni e si fece di tutto per archiviare subito la vicenda. Un’ inchiesta che durò solo pochi mesi, molto superficiale, frettolosa, che diede subito il via alla demolizione della nave, facendo così sparire tutte le tracce possibili ed immaginabili su cosa davvero fosse stato il carico, sparito comunque in una sola notte. Da quella notte come scrisse il responsabile della Legambiente Nuccio Barillà iniziarono una serie di intimidazioni che fecero ritrattare diverse testimonianze che a caldo avevano confermato la pericolosità di quanto vi era all’interno di quella maledetta nave.

“Ci sono persone che coraggiosamente collaborano e altre che hanno strani ripensamenti» disse Barillà. L’esempio più evidente è quello di un testimone fondamentale, qui senza nome per ragioni di sicurezza, interrogato dai carabinieri . In quell’ occasione spiegò come due mesi dopo lo spiaggiamento della Rosso fossero stati portati nottetempo nella discarica pubblica di Grassullo, comune di Amantea, rifiuti della motonave «senza alcuna scorta della Guardia di Finanza o dei vigili urbani». La stessa persona, alla quale in seguito andò a fuoco un capannone agricolo, davanti alla Commissione ha negato tutto. Strano, ma non raro.

Un simile comportamento è stato tenuto da un altro testimone del caso Rosso: il marinaio Giuseppe Scardina, imbarcato sulla motonave Rosso durante l’ultimo viaggio. “L’Espresso” nella sua inchiesta pubblicò la deposizione del cuoco di bordo Ciro Cinque, il quale diceva: «Ho il sospetto che nel carico ci fosse qualcosa che doveva affondare con tutta la nave», aggiungendo che Scardina avrebbe commentato: «Tu hai ragione, quello che hai detto è la verità, però io non mi possono mettere contro la Messina: ho bisogno di lavorare». Lo stesso Scardina, ha smentito tutto poco dopo: «Ero imbarcato sulla Rosso al tempo del naufragio», ha scritto in una lettera ai suoi superiori, «conoscevo il cuoco, ma non ho mai detto ciò che riporta il giornale».

A questo punto “L’Espresso” è andato a rileggere cosa il marinaio Scardina dichiarava il 7 giugno 1997 alla Guardia di Finanza sulle condizioni della motonave e sullo scopo del viaggio: «Quando siamo partiti da La Spezia con la motonave Rosso la nave era sbandata di due-tre gradi sul lato sinistro, e quando prendeva mare lo sbandamento aumentava», diceva: «Tale sbandamento era causato dal fatto che le valvole delle zavorre non mantenevano, quindi perdevamo acqua e non mantenevamo la zavorra. La nave », continuava il marinaio, «era in pessime condizioni, tant’è che il marinaio Borrelli arrivati a Napoli da La Spezia volle sbarcare a ogni costo. Anzi, ricordo che mi disse: “Scardina, questa nave non mi piace, so che va ma non so se ritorna”. Ricordo pure che a Napoli diede 50 mila lire al medico affinché gli facesse un certificato per sbarcare. Era in ottima salute, sicuramente stava meglio di me».

In Calabria funziona così. Se la gente parla vuol dire che il fatto criminoso è un fatto “normale”. Una questione amorosa, una vecchia lite, e tutti allora collaborano con la giustizia. Ma se si crea il vuoto attorno ad un’ indagine vuol dire che c’è la ‘ndrangheta in mezzo. La popolazione avverte il pericolo prima di ogni inchiesta giudiziaria. E quel traffico di camion, ad Amantea durante la notte, di cui si è sempre parlato, che dalla nave trasportò materiale nelle discariche di Grassullo e Foresta, evidentemente , appartenevano ad una ditta in odore di mafia. E se c’è una ditta di mafia che fa questo trasporto vuol dire che c’è la mafia di mezzo, ed allora è meglio farsi i fatti propri. D’altra parte il famoso pentito di mafia che accusa il clan di Franco Muto a Cetraro, di essere responsabile di ben tre affondamenti di navi lungo la costa tirrenica la dice lunga su chi fosse interessato al silenzio. E così fu. La prima inchiesta diede quindi il colpo finale a tutta la vicenda. La frettolosità per cui si arrivò alla sua archiviazione dopo solo tre mesi dallo spiaggiamento la dice lunga.

Ecco cosa scriveva la Gazzetta del Sud il 20 giugno 1991, a firma del giornalista paolano Gaetano Vena.

QUASI COMPLETATA L’OPERAZIONE DI DEMOLIZIONE DELLA “ROSSO”.

Amantea: Nessun materiale nocivo all’interno dei container trasportati dalla nave arenata .Si sta quasi completando ad Amantea, l’operazione di demolizione della grossa nave da carico “Rosso” della società Ignazio .Messina Spa di Genova, che proveniente da Malta e diretta a La Spezia, si arenò sulla spiaggia in località “Le Formiciche” il 14 dicembre dello scorso anno per una violenta tempesta di mare: All’atto dell’insabbiamento del cargo nella zona si era creato un falso allarme facendo supporre che trasportasse container con materiale inquinante mentre gli stessi container da quanto è risultato dall’inchiesta giudiziaria contenevano vettovaglie varie tra cui sostanze alimentari e generi di consumo. L’inchiesta è stata diretta dal sostituto procuratore della Repubblica di Paola, dott. Fiordalisi e coordinata dal comandante in seconda della capitaneria di porto di Vibo Valentia, capitano di fregata Giuseppe Bellantoni. Il fatto, però, che per oltre sei mesi il relitto è rimasto arenato nella suggestiva spiaggia ha creato non pochi problemi sotto il profilo turistico-ambientalistico “.   

Come rivela l’articolo di Vena , l’autorizzazione venne dal Gip Domenico Fiordalisi, che tutti conosceranno in seguito come l’inventore della grande inchiesta fasulla sul Sud Ribelle. In seguito Fiordalisi venne allontanato dalla procura di Paola per incompatibilità ambientale e spostato sulla procura di Cosenza dove continuò a fare danni, con l’inchiesta sulla morte della povera Roberta Lanzino. Di questa frettolosa demolizione se ne occupò anche Carlo Lucarelli nel suo libro inchiesta sulle navi a perdere.  E’ vero che la nave venne smantellata dalla Mosmode sas di Crotone, ma prima arrivò un’altra azienda: “ Si chiama Smit Tak – scrive Lucarelli- ha sede a Rotterdam, in Olanda, ed è una delle più note società di recupero e salvataggio marino. Ha però due caratteristiche che incuriosiscono gli investigatori. E’ un impresa molto grossa, forse la più grande a livello internazionale, e ha compiuto recuperi importanti e difficili, come quello del K-141 Kursk, un sottomarino nucleare russo che nell’agosto del 2000 affonda nel mare di Barens. Anche all’inizio degli anni 90 la Smit Tak era una grossa società, forse troppo grande e troppo importante per una nave tutto sommato abbastanza piccola come la Rosso, spiaggiata a due passi dalla riva. E poi è nota soprattutto per un ramo della sua attività. La bonifica di incidenti che hanno a che fare con materiale radioattivo. La Smit Tak firma il contratto con la Ignazio Messina il 1 febbraio 1991.

Incarico: recuperare la Rosso, metterla in grado di galleggiare e accompagnarla fino al porto più vicino. I tecnici dell’azienda lavorano sulla Rosso per diciassette giorni, poi sene vanno, dopo aver riscosso dalla Messina e co una fattura di ottocento milioni di lire, quasi un miliardo, insomma, e di allora. La Rosso invece resta là, inclinata sulla spiaggia, come prima. Perché se ne va la Smit Tak? Perché ha già finito di fare quello che doveva fare? Qualunque cosa fosse? No, dice la Messina e Co. La Smit Tak si è resa conto che la nave non poteva essere recuperata, così ha mollato il contratto, si è fata pagare le spese e se ne è andata. Allora la Messina ha chiamato la Mo.Smo.De del signor Cannavale da Crotone per demolire il relitto”.  Ma perché tutta questa fretta ? Non me lo chiedo io, sia chiaro, se lo chiedono gli investigatori delle procure. Perché la fretta, dicono, sembra sia la cifra di tutta questa storia. E fin dall’inizio. Insomma “la pistola fumante”, detta alla Bush, venne immediatamente trovata e distrutta. E subito dopo l’archiviazione da parte della procura di Paola ecco che qualcuno manda i venti e più faldoni dell’inchiesta , al Tribunale di Lametia. Quasi a disfarsene. E restano lì in qualche polveroso armadio, fino a quando il procuratore Neri , della procura di Reggio Calabria titolare di tutte le inchieste riguardanti l’affondamento di una quarantina di navi nel mediterraneo, ne richiese l’acquisizione. A Paola si “accorgono” che i faldoni non ci sono più.

E da qui parte la “ricerca”. Fino a scoprirli in quel di Lametia. Ma Neri dopo averli visionati ristabilisce la natura del luogo dove quei faldoni dovevano stare e cioè Paola. Ed a seguito del ritrovamento di alcune discariche “misteriose”, guarda caso a Grassullo e Foresta eccone la riapertura dell’inchiesta richiesta dal Procuratore capo Giordano Bruno affidata all persona sbagliata il PM Francesco Greco. Era più che logico che una nuova apertura dell’inchiesta non avrebbe portato a nulla , ma di certo questo è servito a riaprire le inchieste sulle discariche misteriose. Resta un altro grande mistero . Quello sulla morte del capitano De Grazia. Ne parla espressamente il procuratore Neri e Barillà della Legambiente alla commissione istituita sui rifiuti tossici : “Anche per questo, racconta alla Commissione il sostituto Neri, « il Sismi ha collaborato molto con noi. Ci ha fornito una certa copertura, tutelandoci dalle minacce che abbiamo subito io, Domenico Porcelli e Nicola Maria Pace (addirittura Porcelli ha scoperto una microspia nella sua stanza, ndr)».

Ma questo non ha evitato che l’indagine fosse segnata il 13 dicembre 1995 dalla misteriosa morte del capitano di corvetta Natale De Grazia, insignito nel giugno 2004 dal presidente Carlo Azeglio Ciampi della medaglia al valore civile alla memoria. «Morì», ricorda alla Commissione Angelo Barillà di Legambiente, «in un momento cruciale dell’inchiesta, mentre si spostava da Reggio Calabria a La Spezia per interrogare l’equipaggio della Rosso. Fece una sosta a Nocera Inferiore e insieme ad altre persone si recò al ristorante. Lui fu l’unico a mangiare il dolce, dopodiché si rimise in viaggio in automobile, si appisolò e morì». Ucciso da cosa? «L’autopsia è stata effettuata una settimana dopo e allo svolgimento dell’esame autoptico prese parte anche il medico dei familiari», spiega Barillà: «Il risultato dell’ autopsia fu: arresto cardiocircolatorio, ma ai partecipanti rimasero comunque dubbi. Così un anno dopo i familiari ottennero che si rifacesse l’autopsia, e a quanto mi risulta i parenti non hanno mai saputo l’ esito».

E ripercorriamo le date della vicenda per tenerne ancora viva la memoria.

1989– La motonave Rosso venne noleggiata dal governo italiano per andare a recuperare in Libano 9532 fusti di rifiuti tossici nocivi esportate in quel luogo illegalmente da aziende italiane. Restò in disarmo nel porto di La Spezia dal 18 gennaio 1989 al 7 dicembre 1990.

14 dicembre 1990 – ore 7.55 mayday dalla nave a 15 chilometri al largo della costa di Falerna. Alle 10 e un quarto il capitano e gli altri 15 membri dell’equipaggio vengono recuperati da due elicotteri e trasportati a Lametia Terme in ospedale per controlli. Il comandante della nave si chiama Luigi Giovanni Pestarino. La nave non affonda al largo ma viene trascinata dalla corrente verso riva. Alle ore 14 , spiaggiamento della nave ad Amantea località Formiciche. La nave è salpata dal porto di la Spezia il 4 dicembre, scalo a Napoli, poi a Malta.

15 Dicembre 1990 – ore 5 del mattino – Prima ispezione sulla nave di carabinieri e capitaneria di porto di Vibo valentia. Nel pomeriggio visita dei Vigili del Fuoco, della Guardia di Finanza e di rappresentanti (misteriosi) della società armatrice Messina. Da questo giorno i primi misteri. È vero o non è vero che il capitano di vascello Bellantone è salito su quella nave per primo? È vero o non è vero che ha visto dei documenti , messi sulla plancia della nave che richiamavano la natura della radioattività ed erano introdotti dalla sigla ODM riconducibili ad una società del noto armatore Comerio ?. Prima sembra di si, poi nell’interrogatorio davanti alla commissione parlamentare di inchiesta , presidente on. Paolo Russo, avvenuto il 20 aprile del 2005 nega tutto e comincia a non ricordare parecchie cose.

22 Dicembre 1990 – La società Messina affida alla società Siciliana Offshore e Calabria navigazione le operazioni di recupero del combustibile sparso. Operazione che secondo i carabinieri termina il 29 gennaio 1991.

Gennaio 1991 – Archiviazione da parte del GIP Fiordalisi

Febbraio 1991– Le pratiche per un errore burocratico vengono trasmesse al Tribunale di Lametia terme.

Giugno 1991– Completata la demolizione della nave

20 marzo 1994 – Assassinio in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

12 dicembre 1995- Morte del capitano di corvetta Natale De Grazia