La “cupola” Reggio-Cosenza. 1992: fuori Mancini dal Parlamento

Giacomo Mancini

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

L’asse politico-massonico-mafioso tra Reggio Calabria e Cosenza è ormai una realtà consolidata, sotto gli occhi di tutti. Non solo perché gli imprenditori Barbieri e Morabito vincono le gare senza rivali con la complicità e la connivenza della politica.

In ballo c’è molto di più: il controllo del voto, degli affari, delle assunzioni, il riciclaggio del denaro sporco, le tangenti, il rapporto con lo stato deviato che consente ancora il dilagare della corruzione. Il sistema Reggio-Cosenza è quello più solido per un motivo semplicissimo: a Reggio c’è la ‘ndrangheta ma a Cosenza si lava tutto il denaro sporco perché lo stato è deviato e consente di tutto grazie ai legami massonici.

Secondo i pentiti Filippo Barreca e Giacomo Lauro è l’avvocato Paolo Romeo, definito il “Salvo Lima reggino” a muovere le fila della politica a Reggio Calabria, grazie ai contatti organici con le cosche e la massoneria.

Ma l’influenza di Romeo è giunta fino a Cosenza.

All’alba degli anni Novanta, Romeo ha conosciuto Pino Tursi Prato, che già due anni prima è finito in una brutta storia di concussione. Arrestato nell’ambito della “guerra tra bande” del PSI che evidentemente condiziona e non poco la procura di Cosenza, guidata dal procuratore Nicastro. Sono in molti a dire che il vero mandante è Antonio Gentile e uno dei più convinti è Giacomo Mancini, che con Tursi Prato ha quasi sempre avuto un rapporto privilegiato. 

Paolo Romeo

Ed è qui che entra in scena in prima persona Paolo Romeo con una preziosa opera di intermediazione con i clan cosentini. Che si sposa alla perfezione con l’estorsione messa in atto per appropriarsi del servizio di ristorazione ospedaliera, visto che Tursi Prato era ancora saldamente a capo dell’USL della discordia di Cosenza.

Fu Romeo, si legge negli atti del processo “Olimpia”, a organizzare «l’estorsione Sar per ottenere un miliardo e cento milioni di lire dall’imprenditore Montesano che si era aggiudicato in Cosenza una licitazione privata per il servizio di ristorazione ospedaliera». E lo fece «accompagnando Magliari Pietro, mafioso della zona di Altomonte, presso il Montesano a Reggio Calabria per ottenere “l’adempimento” degli impegni assunti».

Tra le frequentazioni cosentine di Romeo anche il boss Franco Pino, poi pentito storico della ‘ndrangheta. Nell’ordinanza si parla della partecipazione alla fine degli anni ‘80 «ad una riunione in Cosenza presso l’avvocato Franz Caruso, nel corso del quale, alla presenza del capo cosca cittadino Franco Pino, si compose un contrasto tra i politici Giuseppe Tursi Prato e Antonio Gentile».

TERZA PUNTATA

Il 1992 è l’anno che cambia la storia recente dell’Italia, l’anno di Tangentopoli.

Pino Tursi Prato, eletto consigliere regionale nel 1990 insieme a Paolo Romeo, è il più esposto a livello giudiziario per la vicenda dell’arresto del 1988 e la mazzata arriva puntuale nei primi mesi dell’anno: il Tribunale di Cosenza lo condanna a due anni e otto mesi per il reato di tentata concussione. Di conseguenza, decade dalla carica e sarà solo l’inizio delle sue successive vicissitudini giudiziarie.

Paolo Romeo invece vive ancora qualche altro momento di gloria. Prima che esploda Tangentopoli va in scena una tornata elettorale che riserva un risultato clamoroso per la Calabria: Giacomo Mancini non viene eletto e non le manda certo a dire.

“Non sono stato rieletto perché non sono intervenuti personaggi della mafia per sostenere la mia candidatura, come invece è avvenuto per altri”. Dopo 44 anni, il leader socialista, che aveva la maggiore anzianità di servizio a Montecitorio, è costretto a lasciare e lo fa secondo il suo stile. Non risparmia nulla e nessuno, così come ha fatto in campagna elettorale quando ha preso le distanze da quei suoi compagni di partito su cui si sono appuntati sospetti e accuse.

Mancini non si è mai unito al coro di chi nel suo partito, come ha fatto Saverio Zavettieri, e prima di lui Sandro Principe, se l’è presa con il procuratore di Palmi Agostino Cordova che indagava su di loro ed altri esponenti del Psi per fatti di mafia. E ciò, sostiene, gli è costato caro in termini elettorali. Come afferma a chiare lettere in una intervista dell’epoca su “Repubblica”.

“No, non mi sono associato nell’aggressione che è stata fatta nei confronti della procura di Palmi dopo l’ inchiesta di Rosarno, penso che la magistratura debba indagare su chiunque”.

Si può fare qualche nome?

“Da Rosarno sono venute vere e proprie dichiarazioni di voto a favore degli aggressori della magistratura e a farle c’ è stato anche qualcuno inquisito per associazione mafiosa”.

Si è detto che Mancini avrebbe voluto un “repulisti” generale. Chiunque avesse gli occhi addosso della magistratura avrebbe dovuto essere escluso. Invece non è andata proprio così.

“…La mia richiesta è stata accolta nella parte che più mi premeva, cioè il collegio senatoriale di Cosenza. E questo sicuramente ha determinato forti reazioni e polemiche nei miei confronti”.

In effetti Mancini si è battuto per non far candidare l’ ex segretario provinciale socialista, Antonio Gentile, esponente del più forte gruppo all’ interno del Psi cosentino. Gentile, all’ ultima ora, è passato nelle file del Psdi portando con sé la rabbia contro il leader del suo ex partito e un bel pacchetto di voti.

Ma non è questo, fa capire Mancini, ad averlo danneggiato maggiormente nel risultato.

Cosa le ha fatto più male?

“Durante la campagna elettorale ho preso una dura posizione sulle infiltrazioni mafiose e questo in determinate aree dell’ elettorato non credo sia stato il viatico migliore”.

Solo la ‘ndrangheta non l’ ha voluta, o anche il Psi ha deciso di boicottarla?

“Ho parlato contro la corruzione e ho sostenuto che nell’ ambito delle forze politiche ci sono molti che si sono arricchiti. Ma soprattutto non mi sono associato nell’ aggressione fatta ai magistrati della procura di Palmi”.

E cosa è accaduto negli altri partiti?

“Credo che se si guardano le liste della Dc e del Psdi ci sono candidature fortemente preoccupanti e delle quali prima o poi si dovrà parlare. Ci sono degli eletti alla Camera e al Senato che fanno venire i brividi”.

Mancini non accusa direttamente i suoi compagni di partito Zavettieri e Principe, anche se si capisce perfettamente che parla di loro ma quando parla della DC e del PSDI ha obiettivi ben precisi e se nella balena bianca il suo avversario riconosciuto è Riccardo Misasi, nel partito del sole nascente quando parla di gente che fa venire i brividi non può che riferirsi a Paolo Romeo.

Nel 1992 il voto della famiglia De Stefano lo manda clamorosamente in Parlamento come deputato del PSDI. Insieme ad un altro riconosciuto massone cosentino, tale Paolo Bruno. Che ha preso il posto che doveva essere di Pino Tursi Prato.

Paolo Bruno

In quella stessa tornata elettorale (come accennavamo) si candida al Senato per il PSDI Tonino Gentile, che sfiora l’elezione. Un’operazione spregiudicata preparata insieme a Franco Pino e allo stesso Romeo in uno studio legale cosentino, quello di Franz Caruso.

Già, l’asse Reggio-Cosenza, che torna sempre. Anche in quegli anni. Mancini denuncia il patto con la ‘ndrangheta di alcuni suoi compagni di partito cosentini come Sandro Principe e Antonio Gentile, questa ormai è storia. Non sapeva ancora che avrebbe pagato ben presto con la stessa moneta.

3 – (continua)