La “cupola” Reggio-Cosenza. 1993: l’omicidio Ligato e il ruolo di Misasi

La storia e la ricostruzione cronologica della “cupola” politico-massonico-mafiosa tra Reggio Calabria e Cosenza conosce la sua svolta con le clamorose rivelazioni dell’inchiesta sull’omicidio di Lodovico Ligato. L’omicidio viene consumato nel 1989 ma occorrerà attendere il 1993, un anno dopo le elezioni politiche, perché venga fuori una parvenza di verità.

Se Paolo Romeo è il referente dell’area socialista e della destra, l’avvocato Giorgio De Stefano rappresenta l’anima democristiana della “cupola” e ha bisogno di politici di spessore e di provata abilità. L’unico e indiscutibile punto di riferimento della DC calabrese è il numero uno ormai dagli anni Sessanta ed è un cosentino, Riccardo Misasi.

Nato a Cosenza il 14 luglio 1932, figlio di un avvocato galantuomo di San Nicola in Arcella, Riccardo Misasi era un ragazzo al quale la provincia stava stretta. Quando si diploma, con un anno di anticipo, al liceo classico Bernardino Telesio, aveva già letto quasi tutto Croce. E l’ anno dopo, al collegio Augustinianum di Milano con Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco, ogni tanto li stupiva citando a memoria don Benedetto.

Tutti e tre venivano dal Sud, e si ritrovavano a masticare diritto e politica. Ma fu soprattutto tra l’ irpino Ciriaco e il cosentino Riccardo che nacque e si sviluppò un sodalizio umano prima ancora che politico, un’ amicizia fondata sulla complementarietà di due uomini così diversi tra loro, un legame destinato a segnare i destini di entrambi. Fu infatti l’ amico De Mita a chiedergli, dopo il ritorno in Calabria, di fare il salto verso la politica, naturalmente con la Democrazia Cristiana. E lui accettò.

Prima leader del movimento giovanile, poi consigliere comunale, quindi – a 26 anni nel 1958 – deputato al Parlamento. Non fu una strada in discesa: il giovane Misasi dovette sbaragliare il vecchio gruppo dirigente democristiano, quello che aveva il suo regno nella Cassa di Risparmio calabrese e il suo monarca in Florindo Antoniozzi. Ma una volta a Roma, non lo fermò nessuno.

Sottosegretario alla Giustizia, ministro del Commercio con l’ estero, ministro della Pubblica Istruzione, Misasi saliva velocemente le scale della nomenklatura, ma era inseguito dal suo dualismo: a Roma discuteva della riforma della scuola, a Cosenza prometteva pane e lavoro. I suoi avversari gli rinfacciavano allora tutti quei nomi di cosentini, reggini e catanzaresi tra i bidelli assunti per chiamata diretta.

La sua stagione d’ oro la visse nel settennato dell’ amico Ciriaco a Piazza del Gesù. “De Mita regna, Misasi governa”, sussurravano i peones dc. E lui, con la sigaretta sempre accesa, passava le giornate curvo sulla scrivania a stendere progetti e a compilare organigrammi, capo dell’ “ufficio nomine” della Dc e poi sottosegretario alla Presidenza col governo De Mita…”.

Misasi è descritto come “… una delle intelligenze più acute di quella che fu la Democrazia Cristiana. Ci dev’ essere stata una ragione, se dalla prigione brigatista Aldo Moro delegò proprio a lui il compito di convocare un Consiglio nazionale straordinario della Dc. Ci dev’ essere stata una ragione se questo calabrese di ferro è stato uno degli uomini più potenti e temuti del partito, chiamato di volta in volta “il gran visir”, “il vicario”, “il viceré” o “il grande cuciniere”…”.

A Cosenza, nel famigerato porto delle nebbie, tutti i partiti dell’arco politico depositano decine e decine di esposti e denunce per il clientelismo sfrenato in carrozzoni come l’Esac, la Carical e la stessa scuola, tutti controllati dalla Democrazia Cristiana. Ma tutti – come abbiamo visto – vengono puntualmente archiviati. Ma ad un certo punto il vento cambia. Non al porto delle nebbie, naturalmente, ma a Reggio, dove nel frattempo è arrivato proprio da Cosenza il magistrato Francesco Mollace. E Misasi, da intoccabile diventa il nemico pubblico numero uno.

Inevitabili i contatti con la ‘ndrangheta. Le voci sui suoi rapporti con Ciccio Mazzetta, il padre padrone di Taurianova, e il temporale Ligato, il presidente delle Fs ed esponente di spicco della Dc reggina assassinato per una faida di quello stesso comitato d’ affari, fanno cadere la stella di Misasi all’inizio degli anni Novanta.

Ed ecco tornare l’asse Reggio-Cosenza. Lodovico Ligato e Riccardo Misasi.

DORMONO SULLA COLLINA: LODOVICO LIGATO

Lodovico Ligato

Giacomo Di Girolamo è un giornalista e scrittore siciliano, che è salito alla ribalta per aver scritto un libro, “Dormono sulla collina”, nel quale immagina, tra l’altro, che “cadaveri eccellenti” così com’era Ligato, raccontassero in prima persona la loro storia.

Quanto parlavo. L’esempio del calabrese che, grazie alla sua parlantina astuta, percorre tutti i gradini della carriera politico-affaristica.

Parto come cronista della Gazzetta del Sud, mi faccio notare dal potentissimo leader Riccardo Misasi di cui divento il portaborse, mi arrampico per conto mio, partecipando alle manovre per far eleggere al consiglio comunale di Reggio Calabria Giorgio De Stefano, rappresentante di una delle famiglie mafiose della zona.

Mi presento alle elezioni politiche ed è un trionfo: ottantamila voti di preferenza.

La Democrazia Cristiana deve trovarmi un posto e mi mette alla direzione generale delle Ferrovie dello Stato, l’azienda più importante d’Italia, più della Fiat… Di treni io non so niente ma sono figlio di un ferroviere!

Annuncio la rinascita delle Ferrovie, spendo e spando. Faccio sedere tutti al tavolo delle gare d’appalto, faccio girare carte di credito di rappresentanza per accontentare i desideri più diversi. Gestisco miliardi, attici e superattici a Roma e a Ischia ma non ho un conto in banca.

Alle Ferrovie finisce male, ma non mi scompongo: creo società finanziarie per gestire i finanziamenti che arrivano da Roma per lo sviluppo di Reggio Calabria.

Calati iuncu, ca la fiumara passa. Ma io ero troppo abituato a essere il numero uno per poter aspettare.

Sono morto ammazzato a Bocale, davanti alla mia casa al mare. Misasi dirà: “Un omicidio incomprensibile. I rapporti tra la malavita e la politica sono episodici”.

“Ligato è stato liquidato – dirà invece il pentito Alfa, al secolo Giacomo Lauro, esponente di spicco del clan Imerti-Condello, ovvero i rivali del clan De Stefano – per motivi di interesse e di economia nella guerra di mafia. Era legato al boss Paolo De Stefano, a cui aveva fatto delle cortesie quando era presidente delle Ferrovie (sic!). In più, ed è fondamentale per capire il personaggio e valutarne la forza, conosceva bene magistrati, uomini delle Istituzioni, personaggi importanti della vita economica nazionale. Non si dimentichi che il cugino di Paolo De Stefano, l’avvocato Giorgio De Stefano, era iscritto alla Democrazia Cristiana. A gestire questo omicidio eccellente è stata la mia ‘famiglia’, anche se materialmente a sparare fu Giuseppe Lombardo”.

Misasi era ritenuto il punto di riferimento del “comitato d’ affari” di Reggio per la gestione delle grandi opere pubbliche. Di più, protagonista di “scambio elettorale politico-mafioso”. Dell’ ex ministro Riccardo Misasi esce un quadro a tinte più che fosche dalla relazione dei giudici calabresi giunta alla Camera per accompagnare gli atti della richiesta di autorizzazione a procedere contro il parlamentare democristiano. Un episodio tra i tanti riportato nelle anticipazioni del documento dei giudici divulgate dall’ agenzia “Asca” parla di un incontro tra un capomafia e l’ allora ministro Misasi giunto a bordo della sua auto blindata.

Sergio Mattarella da “giovane” con Misasi e Bodrato

Di Misasi non parla solo il pentito Alfa, parlano anche l’ amministratore delegato di Bonifica, Giorgio De Camillis, già condannato per le mazzette milionarie, e l’ ex sottosegretario DC Franco Quattrone. Probabilmente nessuno chiama direttamente in causa l’ ex ministro. Ma per i magistrati Pennisi e Verzera a dimostrare che fosse Misasi il regista occulto nella gestione delle grandi opere pubbliche basterebbe la presenza nella storia di Giuseppe Nicolò, “supporto operativo”, come viene definito, dell’ ex ministro, il quale “nulla avrebbe potuto contare e fare se non avesse avuto alle sue spalle un influente e potente ispiratore”. Sarebbe stato lui – apparentemente un “anello debole” – a condizionare le grandi scelte, lui a muoversi come il vero leader, a corrompere i manager delle grandi imprese, a incassare le mazzette.

L’ avviso di garanzia inviato a Misasi è di quelli da far tremare le vene e i polsi: associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsione. Dalla Procura di Reggio partirà per Montecitorio una richiesta di autorizzazione a procedere e all’ arresto. I sostituti Roberto Pennisi e Giuseppe Verzera, che hanno scoperto la “mazzettopoli” reggina e hanno azzerato l’ intera classe politica che aveva amministrato la città negli ultimi venti anni, lo ritengono il punto di riferimento romano di quella cupola politico-mafiosa – accusata anche del delitto di Lodovico Ligato – che avrebbe come esponenti gli ex deputati dc Piero Battaglia e Franco Quattrone, l’ ex sindaco socialista Giovanni Palamara, e l’ ex segretario regionale della Dc Giuseppe Nicolò.

Tra loro, oltre ai politici della “cupola”, c’ è l’ ingegnere Domenico Cozzupoli, uno degli uomini più potenti della regione, presidente degli industriali calabresi e presidente del Mediocredito regionale, in passato plurinquisito sindaco di Reggio, grande alleato di Lodovico Ligato. Con il fratello Pietro, a capo dell’ impresa di famiglia, “Mimì” Cozzupoli è stato spesso chiacchierato per i rapporti con Don Mico Libri, numero uno della ‘ ndrangheta, un tempo loro capomastro, poi diventato il braccio economico della ‘ndrangheta.

Nel mirino della magistratura ci sono poi i fratelli Antonio e Domenico Guarnaccia, Sebastiano Nucera, imprenditori di Reggio, e l’ ex vicesindaco socialista Vincenzo Logoteta. Solo quest’ ultimo è stato arrestato. La retata, attesa da giorni, è fallita. Pare che ci sia stata una fuga di notizie e i potenti di Reggio nel mirino della magistratura non hanno certo atteso a casa i carabinieri e le manette.

IL PARTITO DEL SILENZIO (di Giorgio Bocca)Ma la pagina più bella sull’omicidio di Lodovico Ligato l’ha scritta un grande giornalista, Giorgio Bocca.

LA LETTURA di cronache e commenti all’ assassinio di Lodovico Ligato serve a capire quanta cultura mafiosa cammini come l’ aria nel nostro mondo politico. L’ intera Democrazia cristiana si è tirata fuori, ha disertato il suo funerale, lo ha cancellato dalla sua memoria: Ligato? Chi era costui? Dove sta quel paesetto, Bocale, dove lo hanno ucciso?

Un omicidio apparentemente inspiegabile lo ha definito in una allucinante intervista a La Stampa, l’ onorevole Riccardo Misasi lider maximo della Dc in Calabria e ministro per il Mezzogiorno, quel che si dice un esperto. Misasi è l’ unico che si sia sentito obbligato a parlare di Ligato, ma ne ha parlato come dello smemorato di Collegno, un poveretto senza più arte né parte.

Insomma l’ intero partito di governo sembra ignorare che questo poveretto fu designato alla direzione della più grande e dispendiosa azienda dello Stato, le Ferrovie; che a questo signore, oggi sconosciuto, era stato concesso con la miniriforma ferroviaria un potere grandissimo di cui purtroppo si servì anche per aumentare gli stipendi e le prebende a sé e agli altri ventuno che ora dovranno rispondere alla giustizia della loro allegra amministrazione…

L’ assassinio di Lodovico Ligato non è come dice Misasi un delitto incomprensibile. E’ al contrario un tipico e comprensibilissimo delitto di Mafia in cui l’ operazione viene preparata per giorni con l’ appoggio evidente delle cosche locali, con killer arrivati da lontano per un delitto perfetto.

La vittima di questo assassinio non è il poveretto che dicono i sepolcri imbiancati del suo partito; è uno che alle elezioni politiche aveva ottenuto ottantaduemila voti di preferenza e in un collegio mafioso ottantaduemila voti di preferenza vogliono pur dire qualcosa: non che Ligato appartenesse a una cosca, ma che sapeva certamente come si ottengono i voti della Mafia e come ci si muove nell’ intreccio fra Malavita, amministrazioni, lavori pubblici, appalti.

Il delitto Ligato non è ancora chiaro nei particolari ma è chiarissimo nella sua trama generale. Questo poveretto, come lo giudicano ora i suoi grandi e immemori protettori, non aveva nascosto né agli amici né ai nemici la sua intenzione di fare clamorose rivelazioni, cioè di scardinare l’ attuale rapporto di potere fra i partiti e le cosche e l’ attuale spartizione della torta.

I suoi immemori protettori dovrebbero ricordare che il compartimento ferroviario di Reggio Calabria, che si era dato, presidente Ligato, una sede miliardaria, decideva forniture, appalti, lavori per centinaia di miliardi.

Delitto incomprensibile? Oggi, mentre stanno per arrivare a Reggio Calabria seicento miliardi sui quali malavitosi e politici si sono accordati o stanno per accordarsi? Il ministro per il Mezzogiorno Riccardo Misasi esclude nella sua incredibile intervista che esistano rapporti organici fra la Mafia e i partiti politici e ci assicura che anche il poveretto Ligato lo escluse nel colloquio che ebbero pochi giorni dopo la costituzione dell’ attuale governo. Le complicità con la Mafia? Fatti episodici ed elettoralistici, dice il ministro. Possiamo dormire tranquilli.

LA SENTENZA

Sono stati condannati all’ ergastolo Pasquale Condello (all’epoca latitante), Paolo Serraino e Diego Rosmini, quali presunti mandanti; Giuseppe Lombardo e Natale Rosmini (anche lui all’epoca latitante) quali presunti esecutori materiali dell’ omicidio di Ligato. Assolti, invece, Santo Araniti e Domenico Serraino.

La sentenza accoglie quasi totalmente l’ ipotesi della pubblica accusa, rappresentata dal pm Francesco Mollace, e respinge invece le argomentazioni della difesa e degli stessi familiari di Ligato, tesi a proiettare questo omicidio in un’ ottica tutta romana. Secondo l’ ipotesi accusatoria, viceversa, Ligato sarebbe stato ucciso perché, dopo le sue dimissioni dalla presidenza delle Ferrovie avvenuta nel novembre del 1988, era intenzionato a rientrare in politica e, soprattutto, negli affari di Reggio Calabria.

Francesco Mollace

Secondo il pm Mollace le indagini hanno accertato che nell’ estate del 1989 contro il rientro di Ligato si formò un’ alleanza tra un comitato d’ affari massonico-politico, sulla cui composizione è in corso una nuova indagine, e un cartello di cosche, il cui vertice decisionale sarebbe composto da alcuni degli attuali imputati e che nella guerra di mafia che insanguinò Reggio Calabria era avversario del clan De Stefano.

La difesa ha controbattuto che nell’ estate del 1989 Ligato cercava solo di riabilitarsi e di reinserirsi nella politica nazionale, e non in quella locale. A questo scopo incontrò prima l’ ex ministro democristiano Riccardo Misasi e poi l’ ex leader socialista Giacomo Mancini.

La difesa ha definito un “teorema” la requisitoria di Mollace e ha parlato di “delitto di Stato”.

Come al solito…

5 – (continua)