La morte del piccolo Giancarlo, il maresciallo Vanacore: “In piscina non c’era nessuna sicurezza per i bimbi”

In questi giorni si è avuta notizia del ricorso in Appello della procura di Cosenza per le sentenze di assoluzione nel processo per la morte del piccolo Giancarlo Esposito nella piscina di Campagnano. Nel processo, com’è noto, non ci sono più i genitori del piccolo Giancarlo come parti civili poiché l’assicurazione (particolare non certo secondario) ha provveduto a liquidare la somma richiesta avendo riconosciuto le marchiane e grossolane responsabilità del titolare della piscina Carmine Manna e delle sue “educatrici” per la morte dovuta ad annegamento del bambino. Dopo la sentenza di primo grado, gli avvocati difensori di Carmine Manna hanno veicolato sui loro squallidi media di riferimento tutte le balle raccontate dai loro periti di parte (non certo quelli della procura). Per ristabilire la verità dei fatti, ripubblichiamo il resoconto di una delle udienze più importanti del processo (giunto addirittura al terzo cambio di giudice…) risalente all’11 maggio 2016 e relativa alla testimonianza del maresciallo dei carabinieri Lucia Vanacore della stazione di Cosenza Nord. Una persona seria. 

Il locale di Primo Soccorso della piscina comunale di Campagnano quel maledetto giorno della morte del piccolo Giancarlo (il 2 luglio 2014) versava in pessime condizioni.

Diciamo pure che non esisteva nulla che potesse far pensare, sia pur lontanamente, a un presidio di soccorso. Eppure in quella piscina si fa attività sportiva oltre che corsi per bambini. Una situazione grottesca ed imbarazzante, a sentirla prospettare da un maresciallo dei carabinieri (Lucia Vanacore della stazione di Cosenza nord) davanti al giudice Bilotta in una delle aule storiche del nostro palazzaccio, quella col busto di Bernardino Alimena.

Il maresciallo Vanacore ha elencato le criticità: il lettino era vecchio e arrugginito, non c’era un defibrillatore, né una bombola d’ossigeno, non c’era l’ombra di un mezzo dispositivo antiannegamento, che so, un giubbino di salvataggio. Niente di niente. Qualche bracciolo ammassato in una stanza. Neanche “apribocca” o “tiralingua”, due meccanismi che qualsiasi piscina del mondo dovrebbe avere per tamponare le sempre possibili emergenze quando si ha a che fare con bambini.

Tanti bambini, perché pare che in quella vasca ce ne fossero una trentina ed altrettanti stavano per entrare dopo il loro turno. Il tutto (60 e più bambini) affidato a 4-5 istruttori.

Eppure ci sono stati tre sopralluoghi, uno dei quali, quello organizzato dai NAS, ha descritto nei minimi particolari e con tanto di documentazione fotografica, l’assenza della benché minima forma di sicurezza all’interno di quella piscina. Ebbene, quella piscina non è mai stata chiusa, neanche un’ora, un giorno. Niente. Tutto è andato avanti come se non fosse accaduto nulla.

L’udienza è stata dedicata all’escussione del comandante dei carabinieri della stazione di Cosenza nord, Parisi e del maresciallo Vanacore. Fu proprio il maresciallo ad ascoltare, nell’immediatezza dei fatti, Carmine Manna, i suoi dipendenti e le responsabili del corso “Kindergarden” che frequentava anche Giancarlo.

La Vanacore ha finanche allegato al fascicolo una sua bozza planimetrica della piscina riabilitativa, dove Giancarlo è annegato. Una piscina a forma di “elle”, con diverse zone di profondità e una visuale nient’affatto sufficiente, dal momento che il tetto è in legno e si sta quasi in penombra.

Una testimonianza che si avvertiva battagliera dalla voce del maresciallo, ben guidata dal pm Maria Francesca Cerchiara. Dev’essersi scrollata qualche macigno di dosso e, magari anche psicologicamente, ha reagito svolgendo bene il suo lavoro.

Anche l’avvocato dei Manna, Marcello Manna, è rimasto sorpreso dalla precisione dei ricordi di Lucia Vanacore, alla quale dev’essere fatto un grande plauso per il servizio che ha reso alla comunità. Significativo il suo accorato saluto finale ai genitori di Giancarlo, presenti, come sempre, in aula.