La profezia di Bossi sul Quirinale: “Come andrà a finire? Dovrebbe farcela Casini”

(Francesco Moscatelli – La Stampa) – «Venite, adoremus! Venite, adoremus! Venite, adoremus Dominum». Nella chiesa di San Vittore a Buguggiate, un paesone alle porte di Varese, sta cominciando la messa di Natale delle 19. Dalla porta della navata di destra fa il suo ingresso il senatore Umberto Bossi.

Seduto sulla sedia a rotelle, con la mascherina anti Covid che gli copre bocca e naso e gli immancabili occhiali da vista a goccia, il Senatur si accomoda in prima fila, proprio di fronte al presepe e alla copia dell’icona della Natività di Andrej Rublëv. Con lui ci sono il suo autista tuttofare, l’amico e compagno di scorribande politiche di una vita Giuseppe Leoni e un paio di storici militanti con la spilletta dell’Alberto da Giussano dorata appuntata sul bavero della giacca.

«Sto così così – fa segno inclinando più volte la mano destra a chi si informa sulle sue condizioni di salute -. Da quindici giorni il mal di schiena non mi dà tregua». Non è un caso che Bossi, 80 anni, acciaccato e molto restio a uscire durante l’inverno, si sia allontanato da casa proprio per venire qui.

Certo, il Senatur è da sempre legato alle tradizioni cattoliche e, come dimostra il biglietto d’auguri con l’abbazia di Pontida innevata spedito quest’ anno, con l’avanzare dell’età il suo sentimento religioso si è irrobustito. Ma in realtà lo muove anche il desiderio di condividere il giorno di Natale con il parroco don Cesare Zuccato.

«Don Cesare», come lo chiama affettuosamente il fondatore della Lega, va spesso a trovarlo nella villetta di Gemonio e a volte lo confessa anche. Un’amicizia che risale agli anni in cui il sacerdote esercitava il suo ministero a Marcallo con Casone, il comune di cui era sindaco l’attuale ministro del Turismo (e da sempre uomo dei conti del Carroccio) Massimo Garavaglia, e che si è rafforzata con il trasferimento del prete nel Varesotto. I due si piacciono.

Del resto anche lo stile del don è molto bossiano: orgogliosamente politically incorrect. Durante l’omelia, per dire, don Cesare se la prende con «quelle preghiere per la pace del mondo che innervosiscono un po’ e intanto i cannoni continuano a sparare. Cominciamo a chiedere la grazia della pace interiore per noi stessi. Solo così potremo diventare portatori di pace». Bossi si fa passare il foglietto della messa per seguire con attenzione tutta la celebrazione. Dopo la benedizione, mentre il coro canta le ultime strofe di «Tu scendi dalle stelle» che il Senatur ascolta quasi commosso battendo il ritmo con il pugno chiuso, c’è il tempo per scambiare due parole con i conoscenti. Nonostante il dolore alla schiena si rende comunque disponibile a scattare un paio di fotografie e a rispondere a chi gli chiede notizie sulla situazione politica e sull’imminente elezione del successore di Mattarella.

Anche Bossi, rieletto in Senato nel 2018, dovrebbe partecipare alle votazioni nonostante le recenti schermaglie con il partito che non gli paga più hotel e autista quando scende nella Capitale. «Non ho ascoltato tutta la conferenza stampa di Draghi dell’altro giorno – racconta a chi lo avvicina -. Uno di questi giorni vedrò Giancarlo (Giorgetti, ndr) che mi darà gli ultimi aggiornamenti. Draghi sta governando abbastanza bene ma se davvero vuole arrivare al Colle deve stare attento soprattutto alla sinistra. A sceglierlo come presidente del Consiglio è stato anche Berlusconi che ha preferito lui, un banchiere centrale, a un banchiere d’affari. Magari la sinistra all’ultimo lo taglia».

Sull’ipotesi Berlusconi al Quirinale si limita invece a un ragionamento che mina alla base qualunque calcolo fatto con il pallottoliere: «Ricordiamoci sempre che il Presidente della Repubblica è anche il capo dei magistrati. E i magistrati sappiamo che rapporto hanno con Berlusconi». Fuori dalla chiesa i suoi fedelissimi si lamentano in dialetto sull’attuale gestione del partito.

«La “Lega Salvini premier”? Su gnanca se l’è. La tessera l’anno scorso me l’han mandada, ma io mica l’avevo chiesta. Hanno abolito le sezioni e hanno fatto un grande casino e basta. Chi parla più di federalismo? Salvini premier? Ma premier de cus’ è?». Una signora riconosce «il Capo» e quasi lo abbraccia: «Dai che prima o poi la Padania la facciamo davvero». Il Senatur accenna un sorriso. Di nuovo si torna a parlare di Quirinale. «Giorgetti candidato al Colle? Ma no, ma no – esclude categoricamente Bossi -. Non è proprio il tipo. Non è uno che vuole mettersi in vista». Prima di salire sul pick up blu che lo riporterà a Gemonio c’è giusto il tempo per un’ultima profezia natalizia: «Volete sapere come andrà a finire? Dovrebbe farcela Casini».