Lega. Le (dis)avventure di Furgiuele, vice capogruppo impresentabile e colluso con i clan

di Alessia Candito

Fonte: Repubblica

In bilico fra giustizialismo e garantismo, in campagna elettorale Matteo Salvini ha girato tutta la Calabria assicurando che “la Lega prenderà la ‘ndrangheta a calci in culo” e che “tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio”. Alla prova d’aula, il punto di caduta è un vice capogruppo alla Camera imputato in un processo antimafia.


Si chiama Domenico Furgiuele, a Montecitorio è stato riconfermato e per la Lega è fonte di imbarazzi già da un po’. L’ultimo ha la forma e il peso del rinvio a giudizio rimediato nel procedimento Waterfront, inchiesta calabrese che ha svelato come il clan Piromalli abbia “aggiustato” decine di appalti tramite cartelli di imprenditori compiacenti, pronti a coordinare le offerte in busta pur di farlo aggiudicare all’imprenditore scelto da loro.

I magistrati  lo definiscono un sistema “sostenuto da un collante composito fatto di imposizione ‘ndranghetistica e collusione, ritengono puntasse al controllo totale delle gare pubbliche indette dalle stazioni appaltanti calabresi, Suap inclusa, e – ne sono certi –  ha permesso al clan di incassare una rilevante “tangente ambientale”.

E per i magistrati il neo vice-capogruppo della Lega Domenico Furgiuele era della partita. Non c’è aggravante mafiosa per lui. Ma di certo, sostengono i magistrati, deve rispondere in giudizio perché ha partecipato per perdere alla gara per l’assegnazione dei lavori sulla costruzione dell’eliporto dell’ospedale di Polistena.

Il vincitore, i clan lo avevano già scelto, era la Eurowork srl. Ma un pattuglione di aziende per gli inquirenti si prestava ad aggiustare quegli appalti, nella speranza – o meglio in attesa – che il turno toccasse a loro.

Alle gare Furgiuele si presentava come rappresentante legale della Terina, azienda abbandonata pochi mesi dopo essere entrato in Parlamento per la prima volta. Peccato che nei “pizzini” che hanno permesso agli investigatori di stanare il business del clan, la società fosse ribattezzata “Mazzei”. Esattamente come il suocero del politico, il re dell’autostrada Salvatore, condannato definitivamente per estorsione e per questo per lunghi anni in carcere.

Questione di parentela? Forse. O forse no. Di certo c’è che Terina vede la luce nel giugno 2010. Passano un paio di mesi, siamo a novembre dello stesso anno, esattamente cinque giorni dopo la notifica della sorveglianza speciale al suocero, ed ecco che la giovanissima Terina, con un affitto di ramo d’azienda, riceve dalla Cogema – pilastro dell’impero di Mazzei, poi finito sotto sequestro antimafia –   tutte le commesse, pubbliche e private, attive al momento della cessione e persino le attrezzature.

Passano gli anni, all’interno della Terina il peso aziendale di Furgiuele cresce, dell’azienda diventa persino socio di maggioranza e amministratore. Nel 2018 però le politiche – forse a sorpresa – lo catapultano in Parlamento, diventa il primo deputato calabrese in quota Lega e subito si affretta a disfarsi di quote e cariche.

Terina però rimane in famiglia: viene incamerata dalla Proelia, un’altra società della galassia Mazzei, in mano al cognato del deputato, Armando Mazzei, e alla moglie. Ma nel 2015, quando l’appalto per l’eliporto dell’ospedale di Polistena è stato aggiustato, Terina era la sua creatura e lui ne era il rappresentante legale. Per questo adesso è chiamato a rispondere di fronte a giudici che probabilmente non si accontenteranno di sentirlo proclamare “la mia unica colpa è di essere innamorato di mia moglie”.