Lettere a Iacchite’: “Rossano, malasanità: la nostra allucinante esperienza al Centro ANMI”

La sede dell'ANMI di Rossano

Ciao Iacchite’,

spero tu voglia diffondere questo mio sfogo su un’esperienza deprimente, frustrante, che sta colpendo la mia famiglia. Siamo stanchi. E tutte le parole dette e non dette in alcuni casi sono superflue, ma siamo persone oneste, che pagano le tasse, che amano la propria terra e che pretendono quindi una sanità all’altezza. Ti riporto quello che avrei da dire. Grazie mille se mai dovessi accogliere la mia richiesta.
OGGI URLO ESASPERATA:

Da quando mio marito Diego si è ammalato, con la sanità calabrese abbiamo avuto a che fare abbastanza da scapparcene a Milano. Nonostante le Tac sbagliate, le diagnosi approssimative e l’assoluta frivolezza e incompetenza nel trattare un tumore raro come quello che ci ha colpiti, DOBBIAMO, quanto meno, eseguire gli esami diagnostici QUI!

Abbiamo dato fondo ai nostri risparmi tra voli, alloggi vari, visite private da medici, analisi, tac e risonanze, ecografie (pagate profumatamente per accelerare i tempi) e giorni passati a Milano. Perché vi dico questo? Perché abbiamo la visita tra una settimana a Milano, all’Istituto Tumori che lo ha preso in cura e dobbiamo portare esami importantissimi per determinare il proseguimento della terapia. Ebbene, abbiamo prenotato CON UN MESE DI ANTICIPO, una RISONANZA MAGNETICA per addome superiore e inferiore con metodo di contrasto. Esame indispensabile.

Prenotiamo al CUP dell’ospedale di Cosenza. Ci mandano il 4 febbraio da ANMI (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi, in mano a Potestio e ai fratelli Occhiuto, ndr), centro diagnostico a ROSSANO CONVENZIONATO COL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE. Questi, mai raggiungibili al telefono, ci chiamano almeno due volte per spostarci l’esame fino alla giornata del 13 febbraio.
Arriaviamo li da Cosenza, appuntamento alle 15:30, Diego digiuno dalla sera prima, entra nel macchinario alle 17:00.

Dopo 40 minuti esce il radiologo. Parlotta con le ragazze della reception (troppo prese dal loro cellulare per rispondere a quel telefono che squilla ininterrottamente da quando ho messo piede li). Dice: “questo (riferendosi a Diego) deve fare con e senza metodo di contrasto! Io non me la sento! Riprogrammatelo per lunedì!”.
Alla richiesta di mie spiegazioni mi risponde impacciato e visibilmente imbarazzato che alla macchina manca un pezzo e che non riescono ad acquisire le immagini come vorrebbero.
Esasperata e innervosita, per i motivi di cui sopra, espongo la mia frustrazione. Ci congediamo con la promessa che lunedì ripetiamo l’esame.
Di ritorno verso casa, già in strada da 15 minuti, ci ricontattano.
Vogliono che ritiriamo l’impegnativa presentata pomeriggio con la prescrizione dell’esame.
Ci voltiamo (erano le 18:30).

Sull’uscio della porta, senza neanche farci accomodare, la cortese signorina della reception, ci da in mano la famosa ricetta rosa e ci dice che loro l’esame non vogliono farlo perché, parlando con i medici, NON SE LA SENTONO. CI INVITA AD ANDARE DA UN’ALTRA PARTE.
Ora, capite bene, le ragioni per cui una persona, malata di tumore, esasperata dalla vita e dalla cattiva (anzi assente) sanità nella propria regione, vorrebbe imbracciare un fucile e sparare.

Il centro in questione è accreditato dal Servizio Sanitario Nazionale, eppure non sono in grado di eseguire un esame. Per incompetenza dei medici che ci lavorano.
Ci hanno lasciati così, in balia di un esame che andrà fatto obbligatoriamente di fretta a pagamento, aggiungendosi a quelle spese di cui parlavo prima, senza saper DOVE e con già tutto pagato per la visita tra una settimana a Milano.
Ora, al di là delle polemiche e del solito sconcerto, vogliamo alzare il culo tutti e pretendere che queste cose non accadano mai più a nessuno? Che non siamo cavie da laboratorio, non siamo numeri su cui lucrare. Basta!!! 

Giusy Imbrogno