Ma gli Stati Uniti hanno sempre ragione? (di Domenico Quirico)

(Domenico Quirico – la Stampa) – Ma gli Stati Uniti hanno sempre ragione? Prefazione. Necessaria. Porre la domanda non significa affatto cadere nella vecchia ossessione anti-americana composta di anticaglie marxiste un poco colorate di verde da una parte o di avversione da destra per la democrazia e per l’economia liberista. Nessuna fantasticheria compensatoria per fare dispetto a una Storia che non ci ha dato ragione, o smorfie di sdegno nei confronti di un modello, per carità. La domanda è: ma gli Stati Uniti hanno sempre ragione? Si può essere Occidente senza la bandiera americana e senza il rito bizantino del bacio della pantofola al presidente di turno a Washington? Senza tradire il campo delle democrazie e mescolarsi a tagliagole e mezzi tiranni?

Domanda doverosa, urgente poiché la divaricazione tra la guerra degli europei e quella degli americani contro l’aggressione russa combattuta sul suolo ucraino si sta, giorno dopo giorno, allargando. L’Atlantico è più largo. A causa del conflitto che si prolunga nonostante gli incauti annunci di una vittoria ucraina ormai prossima.

Divaricazione fatale e inevitabile poiché ben diversi sono i punti di partenza e gli scopi che europei ed americani si propongono. I primi settanta giorni fa e ancor più oggi si propongono un finale minimo: salvare la indipendenza della Ucraina, non quella di prima del 2014 ma quella di prima del 23 febbraio, data dell’invasione russa. Accettando quindi la spiacevole necessità di negoziare con Putin visto che sembra saldo al Cremlino nonostante i fervidi auspici di tirannicidio; e riducendo le pretese di Zelensky di fantascientifiche «revanche».

Sono sottintesi che per maleodoranti cliché di astuzia politica si preferisce tacere ma che sono impliciti nell’auspicio mantrico a «negoziare sul serio».

Macron per utile suo provvede a poco a poco a tirarli fuori da sotto il tavolo, come quando svela che la garantita, quasi fatta adesione di Kiev all’Unione richiederà… decenni.

Gli americani, o almeno una parte dell’Amministrazione affezionata a tiritere belliciste, invece sono passati settimana dopo settimana dal progetto di un modello Afghanistan Anni Ottanta, limare con una lunga guerriglia ucraina il regime di Putin, alla più radicale tentazione di spazzar via la potenza russa come pericolo permanente.

Il cambio di regime a Mosca a questo punto non sarebbe che un dettaglio, una conseguenza inevitabile e perfino secondaria della sconfitta totale. Insomma altro che umiliazione, una seconda «katastrojka» questa volta militare e non economica e di sistema come l”89 sovietico. Secondo Washington è l’unico happy end della guerra criminale di Putin in Ucraina.

Per gli europei, prudenti, questa guerra è una sciagura che bisogna tentare di esorcizzare sveltamente. Per gli americani una imperdibile occasione di riaffermare una «iperpotenza» a cui sono giustamente affezionatissimi, che molti guai ed errori hanno rimesso in discussione. Se gli europei avranno il coraggio collettivo di affermare che gli americani in Ucraina stanno sbagliando a proporre questa vittoria totale, l’Unione compirà l’atto identitario decisivo per diventare quella che ancora non è, ovvero una presenza di qualche rilievo sulla scena mondiale e non soltanto in quella delle banche centrali, dei flussi commerciali e degli indicatori di ricchezza.

L’impero americano deve essere analizzato continuamente attraverso un approccio strategico-democratico, necessario alla salute di tutti. E solo l’Europa ha il privilegio di poter condurre questo controllo in condizioni di legittimità.

Questo atto di dissenso esplicito viene prima di qualsiasi riorganizzazione burocratico amministrativa e militare dei meccanismi comunitari. Questa arguzia escatologica di subordinare ogni scelta all’avvento preliminare di un universo perfetto autorizza a pazientare tranquillamente fino alla fine del mondo. Non sono le regole interne che costruiscono una potenza, ma la sua capacità di distinguersi negli atti dalle altre, soprattutto quelle amiche e simili. Vedo il levarsi di sopracciglia.

Ma questo è il vecchio anti-americanismo, il trucchetto per giustificare sottobanco il passaggio nelle schiere del nemico. Si scorgono sulfurei veleni un tempo pro Unione Sovietica e oggi pro Putin! E no! Questo valeva al tempo delle piazze in tumulto dei pacifisti in orgasmo contro il dispiegamento degli euromissili: allora sì che l’ossessione anti-americana equivaleva a spostarsi oggettivamente (vecchio avverbio marxista-leninista, non a caso adesso coperto di ragnatele!

Nell’altro campo, l’Urss, il socialismo un po’ troppo reale per essere sopportabile, il terzomondismo con i missili atomici. C’era una ideologia opposta e astuta nell’arruolare utili idioti. Oggi anche spiegando agli americani che stanno sbagliando non c’è alcuna diserzione possibile, decente. Cos’ è il putinismo se non esercizio di pura prevaricazione imperialista, vaneggiamento di potenza?

Dov’ è la ideologia neo-zarista al di la di sconclusionate menzogne manipolatorie?

Il tipo di guerra da condurre in Europa, i suoi limiti, li dobbiamo scegliere noi europei, che ne conosciamo i rischi e ne paghiamo il prezzo. E questo non significa affatto capitolazione o viltà di fronte alla prevaricazione putiniana. Non è un caso che ad essere andato più avanti in questo distinguersi sia la Francia dove l’antipatia verso gli americani è antica.

De Gaulle li accusava di non aver aiutato la Francia appena scoppiata la guerra, nel 1914 e poi nel 1940, attendendo per salvarla dai tedeschi che si decomponesse come potenza mondiale. Chirac ha trovato un posto nella storia in un bilancio presidenziale non certo esaltante rispondendo «no» agli Stati Uniti di Bush che gli chiedevano di scendere in campo nella grande alleanza della seconda guerra del Golfo, sventolando come motivazioni di una guerra giusta false prove preparate ad arte.

Fu una saggia decisione, come dimostra ciò che seguì. Se l’Europa l’avesse imitato gli americani forse non avrebbero commesso un grave errore che ha scardinato la storia del Terzo millennio. E se l’Europa avesse chiesto a Washington di non restare vent’ anni in Afghanistan sulla base di false promesse di installare una democrazia, invece di accodarsi con contingenti militari, forse l’Occidente avrebbe evitato un disastro che è scritto nella biografa di quattro presidenti americani.