Malagiustizia a Salerno. Il compito di Borrelli è fermare le inchieste sui magistrati calabresi corrotti

Sono da poco passate le 14,00 del 30 maggio del 2019, quando le prime agenzie iniziano a battere la notizia: perquisita l’abitazione romana del magistrato Luca Palamara. È senz’altro la notizia del giorno. Quello che si prospetta, a sentire le prime indiscrezioni, è il peggiore scandalo che abbia mai coinvolto la magistratura. I pm umbri titolari dell’inchiesta, nell’ordinanza di perquisizione parlano di un vero e proprio sistema parallelo a quello ufficiale “indaffarato” a pilotare e ad imporre le nomine a procuratore capo in tutta Italia, un metodo che gli investigatori definiscono “il sistema Palamara”. Tempo qualche ora e le conversazioni del magistrato e la sua chat diventano di dominio pubblico. Quello che per tutti era il segreto di Pulcinella, ora non lo è più. Tutti ne possono parlare a viso aperto.

Iniziano a filtrare le prime intercettazioni, e i nomi dei tanti magistrati coinvolti nel mercato delle nomine messo in piedi da Palamara. Tra questi c’è il dottor Borrelli, oggi procuratore capo di Salerno che proprio non ci sta a passare per un corrotto, e organizza le sue contromosse per dimostrare a tutti la sua totale estraneità ai fatti. A coinvolgere il dottor Borrelli nella vicenda un suo amico, il pm della Dda Cesare Sirignano incaricato da Palamara di sondare la disponibilità di Borrelli ad accettare l’incarico a Perugia con l’obiettivo di insabbiare l’inchiesta. Una disponibilità che lo stesso Sirignano, in più occasioni, conferma esserci. Borrelli ha detto di sì, dirà Sirignano a Palamara in una delle tante conversazioni intercettate dai finanzieri. Ma l’esplosione del “caso”, a seguito della perquisizione, blocca tutti i piani di Faccia di tonno.

Borrelli, appresa la notizia di un suo coinvolgimento, va su tutte le furie, e chiama l’amico Sirignano chiedendogli un incontro. Munito di microfono registra la conversazione. Borrelli alza la voce e accusa “l’amico” di aver utilizzato il suo nome “impropriamente” e chiede spiegazioni che da Sirignano non arrivano.

Sirignano è perplesso, sa di non aver detto nulla di falso al telefono con Palamara, ma capisce anche la situazione in cui si trova Borrelli tirato dentro alla vicenda dalle sue parole, ed urge una soluzione. Ed è proprio in questo momento che a Borrelli “qualcuno” propone una soluzione: Palamara è troppo inguaiato, e lo scandalo per adesso non si può fermare. Le possibilità di uscirne pulito questa volta sono pari a zero. Bisogna abbandonare Palamara al suo destino, fare di lui il capro espiatorio di tutta la faccenda e indirizzare il tutto sulla strada che porta al dimenticatoio.

La soluzione è semplice: a Borrelli viene proposta la conferma a procuratore capo di Salerno, a patto di dare una mano agli amici degli amici calabresi indagati, per colpa del solito Gratteri che continua a mandare carte a Salerno che attestano la corruzione sistematica di almeno 15 magistrati del solo distretto giudiziario di Catanzaro, dai pm salernitani. In sostanza quello che Sirignano gli aveva chiesto di fare a Perugia, ora lo deve fare a Salerno: insabbiare i procedimenti dei colleghi calabresi sotto inchiesta a Salerno. E’ questo il prezzo da pagare per l’accettazione da parte del Csm della tesi a discolpa proposta in 5 pagine da Borrelli ai suoi superiori. Una soluzione che conviene anche a Sirignano che può cavarsela, così come avverrà, con l’allontanamento ad altra sede senza essere indagato.

A provare ciò diversi elementi, il primo: a meno di 48 dalla scelta definitiva del procuratore capo di Salerno, il favorito, il dottor Primicerio, si ritira dalla “corsa”. Un fatto molto strano. E poi la storia di Borrelli microfonato per registrare la conversazione con Sirignano, sa molto di pantomima. A conferma del coinvolgimento consapevole negli intrallazzi di Palamara di Sirignano e Borrelli, le parole del dottor Di Matteo, definito dai due in una conversazione telefonica intercettata “un mezzo scemo”, che nella relazione di allontanamento di Sirignano ad altra sede così dice: “Dagli atti emerge che Sirignano non si limitava a subire le scelte di Palamara, ma lo rassicurava affermando in più occasioni che delle richieste di Palamara ne avrebbe parlato con il Procuratore Nazionale o con il politico Ferri. Cioè le correnti, per il dott. Sirignano, dovevano entrare nella determinazione del lavoro della Procura antimafia. Ne parliamo con Federico e con Cosimo, erano le sue risposte a Palamara. Questo risulta dalle intercettazioni. Stiamo parlando dell’assunzione di questo criterio, a criterio condiviso per regolare le attività di contrasto alla mafia. E questo per me è molto grave”. In poche parole Sirignano non millantava niente perché pienamente coinvolto nella paranza di Palamara, e mai e poi mai avrebbe detto una cosa falsa al suo dominus, compresa quella su Borrelli.

Sirignano ha sempre detto il vero quando parlava di Borrelli. Del resto non si fanno proposte “oscene” a chi di oscenità non se ne intende. Se Sirignano ha chiesto a Borrelli di insabbiare le inchieste a Perugia e di aprirne altre farlocche su Ielo e Pignatone, è solo perchè era sicuro di chi aveva di fronte. Sapeva che Borrelli non si sarebbe scandalizzato a questa richiesta. E lo dice lo stesso Sirignano in una nota diffusa dopo la decisone del Csm di trasferirlo per incompatibilità ambientale ad altra sede: “Dopo un anno di enorme sofferenza trascorso in silenzio nel doveroso rispetto delle Istituzioni, ieri il Csm ha deliberato il mio trasferimento d’ufficio sulla base di una ricostruzione dei fatti che ieri, nel corso della mia audizione, ho fermamente contestato…”. Continua Sirignano: “…resta grande amarezza, anche per la condotta di chi non ha ritenuto di ripristinare la verità, preoccupandosi esclusivamente del suo tornaconto personale. Tra questi, in particolare, il dott. Borrelli, nominato Procuratore di Salerno benchè dagli atti – finora mai pubblicati integralmente – emerga il suo pieno inserimento nelle dinamiche correntizie, oggi giudicate da tutti deteriori. Appare davvero paradossale che questi, nonostante i suoi contatti diretti ed indiretti con le persone che avrebbero potuto favorire la sua nomina quale Procuratore e nonostante la sua condotta quantomeno discutibile tenuta nei miei confronti, consistita anche nel registrare clandestinamente nostre conversazioni, sia stato nominato Procuratore di Salerno”. 

Sirignano si chiede com’è possibile che Borrelli, visto il suo chiaro coinvolgimento negli intrallazzi di Palamara, sia stato nominato lo stesso procuratore capo di Salerno. E se lo dice lui, bisogna credergli.

Per quel che ci riguarda è chiaro: qualcuno, conoscendo la propensione di Borrelli “a mettersi a disposizione degli amici degli amici”, come dice chiaramente Sirignano, approfitta dello scivolone di Palamara per piazzare un uomo di fiducia alla procura di Salerno per insabbiare quella che pareva essere la mamma di tutte le inchieste sulla magistratura corrotta in Calabria. E Borrelli preso tra due fuochi si è dimostrato la persona giusta. E la prova regina di tutto questo discorso sta proprio nel fatto che dopo l’insediamento di Borrelli a Salerno tutte le inchieste sui magistrati calabresi sono state insabbiate.

C’è solo un modo per smentirci: provare con i fatti che le inchieste dopo l’arresto di Petrini non si sono fermate, ma a guardare quello che è successo con il sindaco Manna, beccato in flagranza di reato nell’atto di “donare” una “mazzetta” al giudice Petrini per taroccare una sentenza, e nonostante ciò è ancora sindaco di Rende, possiamo tranquillamente dire che anche questa volta è come diciamo noi.

3 – (fine)