“Manoscritto trovato a Saragozza” al cinema Santa Chiara di Rende

“MANOSCRITTO TROVATO A SARAGOZZA”, IL CAPOLAVORO DIMENTICATO DI WOJCIECH J. HAS, SORTA DI “DECAMERONE NERO” TRATTO DAL ROMANZO-MONDO DEL SUO CONNAZIONALE JAN POTOCKI, RIPROPOSTO DA UGO G. CARUSO AL SANTA CHIARA DI RENDE NE “L’ORA DEL LUPO”
Torna “L’ora del lupo” al Cinema Santa Chiara di Rende (Cosenza).
Il terzo appuntamento della rassegna random ideata da Ugo G. Caruso ed Orazio Garofalo è fissato per stasera, giovedì 13 Settembre alle ore 21, nella piccola sala del centro storico, topograficamente situata a due passi dalle luci e dai clamori del “Settembre Rendese” in pieno svolgimento, ma distante anni luce nello spirito perché concepito come una sorta di rave per cinefili veri, dalla curiosità e dai gusti non omologati.
Ed infatti questo appuntamento pensato dallo storico del cinema Ugo G. Caruso è dedicato proprio a quanti vogliono addentrarsi per sentieri poco battuti dalla critica più à la page, preferendo riscoprire contrade periferiche e desuete della Settima Arte.
Ad aprire la serata sarà come sempre “il padrone di casa”, Orazio Garofalo, fresco di riconoscimenti per la sua attività di filmaker, che proporrà “Darkness cut”, una sua folgorante rilettura, verrebbe da dire di taglio cubista, in 4′ di “Apocalipse Now” di Francis Ford Coppola.
Ma dalla guerra del Vietnam ci si sposterà poi in un batter d’occhio in un’altra guerra, quella combattuta in Spagna dall’esercito napoleonico, allorché Ugo G. Caruso presenterà quello che fu a suo tempo unanimente riconosciuto come un capolavoro della cinematografia mondiale, salvo poi essere dimenticato in tempi più recenti, ovvero “Manoscritto trovato a Saragozza” (Rekopis znaleziony w Saragossie).
Il film che il grande regista polacco Wojciech Jerzy Has trasse nel 1965 dal celeberrimo romanzo “nero”  del 1805 scritto dal suo connazionale, il conte Jan Potocki, a tuttora è considerato una delle più originali e riuscite e trasposizioni cinematografiche da un’opera letteraria affascinante e complessa.
Da oltre due secoli la critica letteraria si è domandata cosa avesse voluto dire Jan Potocki, il nobile polacco che scrisse in francese il romanzo omonimo nei primi anni del 1800, poi morto suicida. Diciamo subito che è molto difficile se non impossibile definire con chiarezza il tema principale di questo libro segnato dall’inclinazione dell’autore per l’esoterismo e la magia da una parte e, dall’altro per il bisogno «illuministico» di liberarsene.
L’opera, davvero singolare, non può essere confinata in un solo genere: infatti dentro di essa convivono il romanzo di formazione, quello d’avventura, il romanzo picaresco, il romanzo erotico, il fantastico e il meraviglioso.
Solo oggi, dopo la riscoperta fatta da Roger Caillois nel 1958, questo libro si è rivelato a noi come un anello dei più preziosi ed imprescindibili in quella catena che lega tra loro opere narrative che partendo dalle Mille e una notte di Galland e passando per il Vathek di Beckford, arriva alle sfrenate fantasie di Hoffmann e alla letteratura onirica dei nostri giorni.
E proprio sulla falsariga del romanzo il film ha un andamento circolare intorno ad una struttura a scatole cinesi in cui il racconto principale è inframezzato da altre storie narrate da personaggi terzi, all’interno delle quali sono presenti ulteriori racconti.
Si potrebbe definire un “decamerone nero» in cui si ritrovano tutti gli elementi dell’orrido romantico: banditi e zingare, forche e cabalisti, caverne misteriose e locande malfamate, amori scabrosi e apparizioni diaboliche.
La vicenda è quella di un ufficiale vallone dell’esercito napoleonico che durante la campagna di Spagna ritrova un manoscritto in cui si narrano le vicessitudini di suo nonno, il capitano Alfonso van Worden. Questi, coraggioso uomo d’onore ma anche un pò spaccone, percorrendo la Sierra Morena giunge a Madrid, dove due bellissime principesse moresche dopo averlo sedotto, lo informano sulle grandi imprese che lo attendono. In un gioco fantastico ad incastri tra sogno e realtà rispettoso della struttura del libro, il protagonista dovrà però superare una serie di avventure rocambolesche. Incontrerà un prete eremita, si salverà dall’Inquisizione, la sua anima sarà contesa tra un cabalista e un matematico, ma riuscirà a tornare dalle due principesse dove lo attendono notizie stupefacenti.
Le peripezie del cavaliere balzano continuamente dal sogno alla realtà, dal passato al presente e da storie realmente vissute ad altre raccontate o immaginate: tutto, come il miglior surrealismo insegna, mischiato e sovrapposto. Has riesce a rendere scorrevole e suggestivo il denso ed intricato materiale narrativo e grazie al suo notevole talento visionario regala momenti di grande fascino visivo, anche per merito dello splendido bianco e nero di Mieczyslaw Jahoda. Essenziale è anche la costante comicità, in certi momenti più laconica e in altri più mordente e cattiva.
A connettere ancora più strettamente il film al romanzo è la chiara ispirazione figurativa del regista alla pittura di Francisco Goya che pare abbia conosciuto Potocki e ne abbia pure realizzato un ritratto. Così come se l’opera letteraria trovò un fervente ammiratore in Alexandr Puškin, il film fu raccomandato da Luis Buñuel, rimasto affascinato dal surrealismo che lo pervade. Va pure detto che ad interpretare l’ufficiale napoleonico è Zbigniew Cybulski, l’attore polacco più popolare del tempo, divenuto grazie ai film di Andrzej Wajda una sorta di James Dean nazionale, simbolo della generazione di giovani usciti dalla Seconda Guerra mondiale e insofferenti verso il grigiore e l’oppressività del regime comunista.
“Manoscritto trovato a Saragozza” che sarà riproposto nella versione restaurata nel 2011 in lingua originale sottotitolata in italiano, è circolato a suo tempo in Italia soltanto nel circuito d’essai, al pari di un altro film dello stesso Has, anch’esso opera di grande visionarietà, “Il sanatorio all’ombra della clessidra” (1973), tratto dal romanzo di Bruno Schulz e presentato anni fa sempre da Caruso a Rovito, nella sua rassegna “Flashback”.
Infine, nel 2017 è uscito un altro film ispirato liberamente al romanzo di Potocki, “Agadah”, firmato dal regista italiano Alberto Rondalli.
Insomma, quella in programma, come si sarà compreso, è un’occasione perfetta per “L’ora del lupo”, per via della vena nera tipicamente polacca che ispira film e romanzo ma più in generale di grande pregio per le suggestioni artistiche e le implicazioni culturali in questo caso davvero innumerevoli come non mai.