Michele Ainis: “Obbligo vaccinale mascherato. Il governo ci tratta da bambini”

(di Tommaso Rodano – Il Fatto Quotidiano) –

Professor Ainis, su Repubblica lei ha scritto, senza mezzi termini, che il green pass è “un cappio al collo” per 8 milioni di non vaccinati.
Non è un giudizio di valore, è una constatazione. Prima la regola generale era la libertà di scelta, eccetto per i medici. Ora la regola è diventata l’obbligo di vaccinazione. Un obbligo mascherato. Le eccezioni sono sempre più esigue e ristrette.

In sostanza ai non vaccinati vengono negati i ristoranti e lo sport, e solo nelle Regioni in cui la situazione è più grave.
Si va verso il diniego di tutti i diritti del tempo libero: viene preclusa la socialità. Certo, sono diritti secondari rispetto all’istruzione e al lavoro. Ma anche se non siamo all’obbligo generalizzato, ci stiamo arrivando gradualmente. Siamo passati da una prima fase di persuasione, a una seconda fase – quella dell’introduzione del Green pass – di induzione. Ora siamo di fatto alla costrizione.

Questo “obbligo mascherato” è incostituzionale?
No, dal punto di vista costituzionale non ci sono impedimenti espliciti. L’articolo 32 contempla l’ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio (e quindi anche l’obbligo di vaccinazione, che è già stato esercitato nei confronti dei minori) ma allo stesso tempo stabilisce la libertà assoluta di disporre del proprio corpo.

Quindi il legislatore ha discrezionalità assoluta?
La discrezionalità non significa capriccio o arbitrio. Non si può sparare a una mosca con un cannone: la legge deve essere giustificata dal contesto. Pensi alle misure restrittive che erano in vigore nel 2020, quando eravamo in lockdown e non si poteva uscire di casa. Se avessimo avuto i vaccini allora, l’obbligo sarebbe stato giustificato dalle circostanze.

Oggi invece non lo è?
No, credo che oggi non ci siano le condizioni per l’obbligo vaccinale. Penso sarebbe controproducente e potrebbe creare problemi di ordine pubblico. Otto milioni di persone sono tanti. Questi cittadini non sono mossi tanto dalla sfiducia nella scienza, ma nelle istituzioni. È un sentimento che sommerge la politica, i partiti, il Parlamento, la magistratura. Non si fidano dello Stato perché ha dato cattiva prova di sé. Non sono otto milioni di fascisti, credo, ma 8 milioni di italiani che diffidano del proprio Stato.

Lei spiega che il “super green pass” non è incostituzionale, quindi è solo una questione politica?
È soprattutto un problema di comunicazione politica. Ne posso comprendere le ragioni. Lo scopo è pedagogico: si vuole abituare gli italiani a una serie sempre più stringente di restrizioni, fino a che l’obbligo di vaccinazione, se ancora ce ne sarà bisogno, finirà per essere considerato naturale. Il movente è soprattutto di ordine pubblico. Già con questo pseudo obbligo ci sono proteste di piazza e c’è un incattivimento progressivo dell’opinione pubblica. Insomma, posso capire che si cerchi di ritardare il momento dell’obbligo. Però in questo modo si crea un senso di opacità, si alimenta quella sfiducia nello Stato di cui parlavamo prima. Diceva Bobbio: “La democrazia è l’esercizio del potere pubblico in pubblico”. Non mi pare questo il caso.

Più che pedagogia di Stato, sembra paternalismo.
È così, a me personalmente non piace che i cittadini vengano trattati come bambini. È un vizio italiano: siamo spesso trattati come un popolo immaturo. Basta vedere come sono scoraggiati gli strumenti di democrazia diretta come il referendum. Oppure il sistema elettorale: abbiamo una legge che non ti permette di scegliere davvero chi ti rappresenta. Questo atteggiamento paternalistico è tipico dello Stato italiano e si riflette anche in questa fase di gestione della pandemia. E mi lasci dire che anche se non ci sono profili di incostituzionalità, c’è comunque una forzatura evidente.

Quale?
La Costituzione stabilisce che per disporre trattamenti sanitari obbligatori è necessaria una legge, non si può agire per decreto come ha fatto il governo. Quando si incide sull’habeas corpus, come in questo caso, ci deve essere una riflessione pubblica e si deve passare per il Parlamento. Perché il decreto legge, in teoria, potrebbe non venire convertito in legge dalle Camere, ma intanto i suoi effetti li ha prodotti.

È chiaro, se uno si vaccina non torna indietro.
Se un decreto, per assurdo, stabilisse di tagliare l’alluce a tutte le persone che si chiamano Michele, l’effetto sarebbe irreversibile. Se poi il Parlamento non lo convertisse in legge, avrebbe già prodotto i suoi effetti. Il decreto legge è atto con forza di legge ma è un atto “precario”, diventa legittimo solo nel momento in cui il Parlamento lo converte. Così si forza l’articolo 32 della Carta. D’altra parte durante l’emergenza non si può che agire con strumenti come il decreto. Si è creato un corto circuito costituzionale e si agisce in questo buco del tessuto normativo.