‘Ndrangheta. Il narcotraffico gestito dai clan Nirta, Mammoliti e Strangio a suon di milioni riciclati

Le indagini che hanno portato all’operazione «Eureka» hanno fotografato l’esistenza e l’operatività di tre maxi-associazioni criminali finalizzate al traffico internazionale di droga, facenti capo alle più potenti famiglie di ‘ndrangheta dell’area ionica. L’inchiesta, infatti, ha riguardato le cosche Pelle, Strangio, Nirta, Giampaolo, Mammoliti e Giorgi, che hanno sedi decisionali nel reggino e ramificazioni e basi logistiche in varie regioni d’Italia e all’estero.

L’inchiesta è partita nel giugno 2019 grazie al raccordo tra i carabinieri e la polizia federale belga che stava investigando su alcuni soggetti ritenuti vicini alla cosca Nirta di San Luca attiva a Genk. In un primo momento, l’inchiesta era orientata verso alcuni esponenti della famiglia Strangio, detti “Fracascia”, riconducibili alla cosca Nirta. Progressivamente le indagini coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo sono state estese a diverse famiglie della Locride, interessando anche il locale di Bianco.

I soldi del narcotraffico venivano riciclati nei settori della ristorazione, del turismo e immobiliare. La prima associazione ricostruita riguarda la famiglia Nirta “Versu” di San Luca che aveva un’articolazione in Brasile rappresentata dal latitante Vincenzo Pasquino, catturato nel 2021 insieme al boss Rocco Morabito. La seconda è riferibile alla famiglia Mammoliti «Fischiante» di Bovalino con articolazioni in Puglia, Abruzzo, Lazio, Toscana e Lombardia e contatti diretti con i fornitori sudamericani di cocaina e con trafficanti internazionali quali Denis Matoshi, attualmente latitante a Dubai.

La terza associazione, invece, fa capo alla famiglia Strangio «Fracascia» collegata con le cosche Nirta-Strangio coinvolte nel 2007 nella strage di Duisburg. Questa terza organizzazione, secondo gli investigatori, aveva stabili articolazioni a Genk (Belgio), Monaco di Baviera (Germania), in Spagna e a Camberra (Australia). L’inchiesta ha anche fatto luce sulla latitanza del boss Rocco Morabito detto «Tamunga», già latitante di massima pericolosità inserito nel programma speciale di ricerca del Viminale, arrestato dai carabinieri in Brasile nel 2021, insieme a Vincenzo Pasquino, all’epoca latitante per la Dda di Torino. Entrambi figurano nell’ordinanza eseguita oggi su richiesta della Dda che si è avvalsa della collaborazione, tra gli altri, della Polizia Federale Brasiliana, dell’Fbi, della Dea e dell’Interpol. Morabito, secondo l’accusa, avrebbe anche offerto un container di armi da guerra a un’organizzazione paramilitare brasiliana in cambio di ingenti quantità di droga verso il porto di Gioia Tauro. «Nel corso dell’indagine – scrive il gip nell’ordinanza – è stata documentata l’organizzazione da parte di Morabito di una spedizione in Brasile di un container carico di armi da guerra, provenienti dai paesi dell’ex Unione Sovietica, fornite che da un’organizzazione criminale operante in Italia e Pakistan». Tra i 108 arrestati ci sono anche due minori nei confronti dei quali su richiesta del procuratore dei minorenni Roberto Di Palma è stata eseguita una misura cautelare.