‘Ndrangheta, clan Grande Aracri. Quando il pentito Valerio raccontava i rapporti del boss con i colletti bianchi

Giuseppe Pagliani

Una tigre che, anche se ferita in profondità dal processo Aemilia, è tutt’altro che morta. Sarebbe in sostanza questa la situazione attuale della ‘ndrangheta a Reggio Emilia, secondo il pentito Antonio Valerio. In una delle dienza del processo “Aemilia” in rito ordinario, che poi ha portato alla condanna all’ergastolo per il boss Nicolino Grande Aracri, oggi pentito,  Valerio aveva rivelato i nomi di alcuni imputati che, a piede libero, “ancora oggi hanno grandi di disponibilità di denaro” e intrattengono “rapporti” con quelli detenuti. Che a loro volta “ricevono il consuntivo di quello che avviene fuori”.

Le risorse sarebbero usate anche da chi è ristretto per comprare o riscattare immobili pignorati e, in un caso, sono state utilizzate perfino per le stesse spese processuali di Aemilia. Posto che le dichiarazioni di Valerio sono state passate al setaccio dagli inquirenti, coloro che continuavano a reggere lo stendardo della cosca sarebbero stati Antonio Crivaro, Carmine Sarcone (poi arrestato), Giuliano Floro Vito e Luigi Muto. Di quest’ultimo Valerio parla come “dell’allievo che ha superato il maestro” e racconta: “Quando arrivò in Emilia non aveva nulla: suo padre, che giù faceva estorsioni, aveva perso tutto in un crac. Qui girava con le Peugeot taroccate e senza assicurazione”.

Antonio Muto

Luigi Muto, classe 1975, era pero’ “giovane e sveglio, si rivolse a me che facevo l’agente assicurativo e inizio’ con le truffe assicurative, poi con l’usura, e fino al 97, 98, non ha mai avuto nessun problema legale”. Un altro componente della famiglia Muto, Antonio (classe 1955), cugino di Luigi, viene invece indicato come una sorta di addetto “alle pubbliche relazioni”.

Con questo obiettivo “si facevano questi convegni, queste cene” e, oltre a quella famosa del 2012 agli Antichi Sapori, “se ne fece una anche con Tiziano Motti  quello che “tappezzava di manifesti pure le pattumiere”. Valerio ribadisce però che dietro l’aiuto agli imprenditori, c’era una strategia parallela: “I due strateghi erano Gianluigi Sarcone e Alfonso Diletto, era tutto in funzione di una logica di pulirsi a livello giuridico, sociale e di immagine”. L’avvio di questa strategia coincide per il pentito con il periodo della crisi: “Prima era un mondo frenetico in cui tutti avevano da fare. Tutto a un tratto ci si è trovati bloccati. Poi anche Equitalia si era messa a fare pignoramenti e quindi si cercava una soluzione politica o quanto meno istituzionale per poter gestire o arginare tutto. Da quel momento, dal 2008 al 2011, iniziano alcune logiche da seguire”.
Il boss Nicolino Grande Aracri
Nel resoconto di Valerio entrano poi anche i rapporti con le Forze dell’ordine e i professionisti contabili. Al centro del primo tema il Carabiniere Mario Cannizzo e soprattutto Domenico Mesiano, poliziotto autista dell’ex questore di Reggio e già condannato in abbreviato. “Era un poliziotto a disposizione del gruppo per la strategia e lo sviluppo, era utile a tutto”, spiega il pentito di Mesiano. “Sua moglie è calabrese e mi disse che era anche disponibile a incontrare Nicolino Grande Aracri”. Quanto ai commercialisti citati, uno su tutti è Alessandro Palermo, imputato, e consulente dell’associazione dei costruttori cutresi Aier. Per Valerio in generale “i commercialisti erano molto abili a creare il documentale (per le operazioni illecite, ndr) ed erano a conoscenza, a disposizione e anzi propositivi verso il cliente n’dranghetiscitico”. Valerio parla mentre procede al riconoscimento, da foto, di alcuni imputati. Nelle prossime udienze dovrebbe iniziare il controesame del pentito da parte degli avvocati difensori.