Omicidio Scopelliti, il ruolo della massoneria (di Salvo Vitale)

di Salvo Vitale

Fonte: Antimafia Duemila (http://www.antimafiaduemila.com)

Dopo 28 anni dalla morte il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che su questa inchiesta da anni ormai lavora, ha notificato 17 avvisi di garanzia, per l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Si tratta di sette siciliani: Matteo Messina Denaro, i catanesi Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola, assieme a dieci calabresi: Giuseppe Piromalli, Giovanni e Pasquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti…

Nello scorso agosto, il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, rivela che era stata rinvenuta l’arma del delitto, un fucile calibro 12, grazie alle rivelazioni del pentito catanese Maurizio Avola, “ il killer dagli occhi di ghiaccio”, reo confesso di un centinaio di omicidi, tra cui quello del giornalista Giuseppe Fava. Egli riferisce di un summit tenutosi nella primavera del 1991 a Trapani, presente Matteo Messina Denaro, in cui sarebbe stato concordato l’assassinio del magistrato da un commando di calabresi.

Le tracce genetiche e balistiche, assieme all’analisi di altri reperti, potranno rivelare l’esistenza di elementi probanti per una condanna degli esponenti più rappresentativi della ndrangheta calabrese negli anni ’90, comprese le responsabilità dell’inafferrabile Matteo Messina Denaro.

E’ ancora presto per valutare la consistenza di questa indagine che, al momento sembra essere una notizia giornalistica e pone numerose domande:

-fu un commando di siciliani, uno di soli calabresi o un gruppo misto di killers siculo-calabri ad uccidere il magistrato?

-perché la decisione è attribuita a Messina Denaro, nel cui feudo si sarebbe tenuto il summit che decise il delitto? In realtà secondo il pentito Onorato si tratta di “un favore fatto per volere di Salvatore Reina e della commissione”. Escluso che Denaro possa avere agito di sua iniziativa, perché Reina avrebbe dovuto rivolgersi a Denaro, per organizzare l’incontro a Trapani, quando poteva tenerlo in posti più facilmente raggiungibili e organizzarlo autonomamente?

-perché Avola, pentito sin dal 1994 ci sta pensando adesso, a 25 anni di distanza, a fare le sue rivelazioni?

– Su quali elementi si fonda l’accordo tra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, del quale l’omicidio Scopelliti potrebbe essere solo un tassello? Malgrado negli ultimi anni le ‘ndrine calabresi sembrano avere sottratto terreno agli affari di Cosa Nostra ed essersi sostituiti ad essa in gran parte, non solo d’Italia, ma su scala mondiale, specie per quanto riguarda i traffici di droga e il controllo d’edilizia, tra le due organizzazioni non è scoppiata alcuna guerra e sembra che tutto proceda di comune accordo. I nomi dei boss calabresi, da Giuseppe Piromalli, capo assoluto della cosca di Gioia Tauro, il solo che aveva il numero della segreteria di Andreotti, a Giovani Tegano e Gino Molinetti, killers spietati e sanguinari.

– Cosa c’entra la massoneria? Tra gli indagati c’è anche Giorgio De Stefano, un avvocato appartenente, almeno per parentela, all’omonima cosca, e ritenuto, o sospettato di essere, il capo della cupola degli “invisibili”, di cui alcuni nomi sono venuti fuori nell’operazione “Santa” portata avanti dalla Dda di Reggio Calabria nel 2016, e nella più grande operazione Regina Gotha, dietro cui si è ipotizzata la presenza di “nobili” massoni che decidevano le carriere politiche, le strategie e gli omicidi per consolidare il potere mafioso nella Calabria meridionale. Ironia della sorte, Scopelliti è anche il nome del personaggio scelto da questa “cupola” per diventare nel 2001 sindaco di Reggio Calabria, rieletto e diventato, nel 2010, presidente della Regione.

Nell’indagine sono finiti anche i nomi di Alemanno e Gasparri. E comunque il rapporto con la destra eversiva e la mafia calabrese risale ai tempi della rivolta di Reggio, si estende alla protezione della latitanza di Freda, e continua con le alleanze politiche dell’era berlusconiana, sino a coinvolgere, in tempi più recenti, persino alcuni esponenti del PD. La recente sentenza del giudice Laganà (febbraio 2019) parla di un “sistema allargato di potere” che ha come obiettivo finale quello di “garantire alla componente massonica, fortemente politicizzata, la gestione dei flussi elettorali” e alla componente ‘ndranghetistica il “consolidamento degli ingenti capitali sporchi, già formati, che andavano ricollocati sul mercato, anche estero, mediante strumenti finanziari evoluti, gestiti attraverso gli appartenenti alla massoneria”.

Da questo aspetto il “contatto” con Messina Denaro, esponente di vertice di una zona, come quella del Trapanese, dove la massoneria ha da sempre recitato un ruolo di primo piano, come denunciato già da Mauro Rostagno, potrebbe avere un senso.

Val la pena ricordare questo onesto e intransigente magistrato con una sua frase: «ll giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia,dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso».