Paura nel Pd: sono arrivati al governo ma ora il partito rischia grosso

di Giulio Scranno

Fonte: Linkiesta

Un cambio di paradigma netto, una cesura con un passato troppo recente per non essere considerato. Così il Partito democratico sta approcciando a questa nuova (inaspettata, almeno nei tempi) avventura di governo. Al Nazareno le indicazioni sono chiare. Limitare lo strapotere mediatico di Conte e dei Cinque Stelle. Come farlo? Ridando centralità al Pd, non delegando l’azione e l’elaborazione politica al governo, come è stato fatto nel recente passato.

L’ordine è arrivato forte e chiaro. E si rispecchia nella formazione del governo. Un esecutivo soppesato grammo per grammo, non solo con gli alleati di governo, ma anche all’interno dello stesso Pd. Tutte le aree rappresentate, ma nessun big in squadra (a parte l’immancabile Dario Franceschini e la vicesegretaria Paola De Micheli). Oltre a Nicola Zingaretti, fuori anche l’altro vicesegretario Andrea Orlando, fuori Graziano Delrio, fuori i pezzi da novanta del renzismo, fuori i capigruppo Delrio e Marcucci, fuori il presidente Paolo Gentilioni (destinato a un posto da commissario a Bruxelles), fuori il suo predecessore Matteo Orfini, fuori l’ex segretario Maurizio Martina.

Il motivo l’ha spiegato bene Roberta Pinotti, altro ex ministro ai tempi di Renzi e Gentiloni e oggi impegnata in segreteria con Zingaretti. «Se c’è una cosa che abbiamo sbagliato negli scorsi anni, è stato dimenticarci del partito per concentrarci sul governo. E gli elettori, che hanno cominciato a percepirci esclusivamente come una forza politica legata alla stabilità, ci hanno voltato le spalle». È una presa di coscienza molto precisa, che condizionerà l’attività del partito e del governo nei prossimi mesi.

Il non detto di tutto questo è quello che filtra in tutte le chat interne che contano tra i dirigenti del Pd. La grande paura è quella di essere messi in ombra dal presenzialismo di Conte e dall’attivismo dei Cinque Stelle. Per cui massima priorità all’attività del partito. Le decisioni importanti verranno prese al Nazareno, a differenza di quanto avveniva ai tempi, soprattutto, del governo Renzi, quando anche le riunioni di partito si facevano a Palazzo Chigi. E, specie a livello di comunicazione, sarà al quartier generale che verrà gestito gran parte del flusso.

«Se non manteniamo centralità», è il ragionamento che viene fatto nei corridoi al secondo piano di Via Sant’Andrea delle Fratte, «rischiamo di fare la fine che hanno fatto i Cinque Stelle con Salvini». E così, parallelamente all’attività di governo, verrà portata avanti una fortissima iniziativa di partito.

Anche perché il governo che giura oggi sarà soggetto a pressioni molto forti, con le formazioni di destra che lo assedieranno fin dal primo giorno. E il rischio che queste pressioni possano trasformarsi in contestazioni a scena aperta in tempi brevi è molto concreto. «Per questo – ragionano i membri della segreteria Pd – dobbiamo riuscire a interpretare due ruoli in commedia, come d’altronde ha fatto lo stesso Salvini. Da una parte sostenere l’attività di governo e rivendicare il contributo che daremo, dall’altra fare da pungolo e ristabilire un contatto con il Paese reale. Se andiamo a traino dei Cinque Stelle, siamo finiti».

Chi sta alla finestra e guarderà tutto questo con molta attenzione è proprio Matteo Renzi, che, essendosi sostanzialmente tenuto le mani libere (unica sua fedelissima al governo sarà Teresa Bellanova, Lorenzo Guerini da mesi rappresenta ormai un punto di equilibrio e indipendenza nel Pd) potrà dedicarsi, lui sì a tempo pieno, alla sua personalissima attività politica, che si preannuncia molto intensa, a cominciare dal tradizionale appuntamento con le Leopolda di ottobre.

Ecco quindi che lo spazio politico del Pd rischia concretamente di essere chiuso nella tenaglia dei Cinque Stelle di Conte e del battitore libero Renzi. È per questo che Zingaretti non ha alcuna intenzione di abbassare la guardia. E il fatto che nessuno del Pd stazionerà a Palazzo Chigi (nessun vicepremier e neppure il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che sarà il fedelissimo di Di Maio, Riccardo Fraccaro) non farà altro che cristallizzare la distanza tra Palazzo Chigi e Largo del Nazareno. Poche decine di metri, che segneranno il destino di questo governo e di questa stranissima legislatura.