Riace e Mimmo Lucano: è scontro tra magistrati

Per descrivere Mimmo Lucano, Gigi D’Alessio, che non è il cantante ma il procuratore capo di Locri, usa una metafora cinematografica: lo paragona al mitico personaggio del film capolavoro “Giù la testa”, Juan Miranda, un peone messicano a capo di un gruppo di banditi che diventa un “capo rivoluzionario” suo malgrado. Dice Gigi D’Alessio, neomelodico dell’inquisizione: “Riace è un Comune dissestato. Lucano non è stato certo Messina Denaro ma ha inteso male il suo ruolo di Sindaco dicendo ‘io me ne infischio della legge’. Io mi rendo conto che 13 anni sono parecchi. E mi auguro che in appello saranno ridotti. Ma la matematica non è un’opinione. Le pene sono il risultato di una somma di reati, non si definiscono a peso. Lucano è uno degli uomini più potenti che io abbia mai visto ma io non sono uno che si spaventa. Da magistrato democratico mi sono reso conto di lottare contro un potente, anzi un potentissimo suo malgrado. Solo Biancaneve e Alice nel Paese delle meraviglie non se ne sarebbero accorte“.

Gigi D’Alessio, salernitano, è in magistratura dal 1981 e si è occupato di numerose inchieste contro la criminalità organizzata. È noto, tra l’altro, per avere sostenuto la pubblica accusa, nella qualità di sostituto procuratore di Salerno, nel processo a carico di Danilo Restivo per l’omicidio di Elisa Claps, la studentessa di Potenza scomparsa nel 1993 ed i cui resti furono trovati quasi vent’anni dopo la sua sparizione. Va giù duro Gigi nei confronti di Lucano definendolo “un bandito idealista”. E aggiunge: “Chiunque può commettere qualsiasi reato purché a fin di bene? E alla fine per rendere il tutto credibile agli occhi della gente conclude la sua intervista alla “Stampa” con i soliti tecnicismi (comprensibili solo alla casta, e spesso usati dai magistrati per ammantare la solita retorica che i giudici sono al di sopra di ogni sospetto per volontà divina): “A Lucano sono stati contestati più di 22 reati. Il problema non sono i finti matrimoni. Qui ci sono varie forme di peculato, truffa aggravata a danno dell’Unione europea. E poi è stata riconosciuta l’associazione a delinquere con altre 4 persone. È un processo molto tecnico ma l’opinione pubblica non vuole capire. Quei 13 anni vengono percepiti come assurdi e sproporzionati ma non c’è volontà di conoscere le carte”.

D’Alessio, autoelettosi paladino dei suoi pm, prova a giustificare quello che nessuna persona di buon senso (e qui c’entra poco il Codice Penale) mai giustificherebbe (anche se significa “trasgredire la Legge”, Santo Agostino docet), con la solita retorica legata alla innata superiorità morale e etica di cui tutti i magistrati sono dotati per volere dello Spirito Santo. Come a dire: tutto quello che esce dalla bocca del giudice quando pronuncia una sentenza è frutto di una dettatura divina che nessuno può osare mettere in discussione. In sintesi: “le sentenze non si discutono” si accettano e basta. Anche quando sono incomprensibili e sproporzionate come nel caso di Lucano. Tutto questo altro non è che il solito discorso a difesa della casta. Infatti a difendere questa assurda sentenza pronunciata in nome del popolo italiano, ma condivisa solo da pochi magistrati e dai politici che hanno ordito il complotto ai danni di Lucano (di cui ci stiamo occupando), le solite correnti interne alla magistratura, i duri e puri del codice penale, i guardiani della sacra reputazione della magistratura. Gli stessi che per anni hanno osannato Palamara, usufruendo dei suoi servizi senza mai porsi il benchè minimo problema etico e morale.

Ora, potremmo rispondere noi a questi magistrati, ma per fortuna, e lo scriviamo sempre, non tutti i giudici sono uguali. Generalizzare non è mai cosa buona. Esistono tantissimi bravi magistrati che lavorano sodo tutto il giorno con coscienza e dedizione, con il cuore e con la mente. E questo non si può negare. E infatti lasciamo che a rispondere a questi magistrati che poco hanno capito delle ripercussioni sociali di questa assurda sentenza sia un altro magistrato, Stefano Musolino, segretario nazionale di Magistratura democratica che spiega bene ai suoi colleghi quello che veramente sta succedendo nella realtà, che è differente da quello che succede nel magico mondo dorato dei privilegi.

Dice Musolino che appartiene alla stessa corrente di Gigi D’Alessio: «All’interno della magistratura associata, alcuni gruppi (in riferimento ai guardiani della sacra reputazione dei magistrati) hanno invocato interventi a tutela dei giudici di Locri, investiti dalle critiche per l’entità della pena. Non possiamo valutare una sentenza senza prima conoscerne le motivazioni, ma possiamo interrogarci sulle ragioni per cui una sentenza suscita questo clamore. Ed abbiamo un dato oggettivo, da tutti verificabile: l’entità della pena, un elemento della decisione su cui ogni giudice esercita una discrezionalità che è anche figlia di una sensibilità valoriale. La misura della pena è stata intesa, nella percezione pubblica diffusa, come una condanna inflitta non solo agli imputati, ma all’intero sistema di accoglienza organizzato a Riace. A questo, dunque, una parte dell’opinione pubblica si è ribellata perché riconosce in quel sistema di accoglienza una modalità innovativa ed avanzata da prendere a modello, anche se singole persone ne hanno abusato ed hanno commesso reati. Il messaggio proveniente da una parte dell’opinione pubblica sembra essere: potete condannare le persone, ma una pena di una tale portata finisce per condannare il modello di accoglienza».

E conclude rivolgendosi direttamente ai suoi colleghi: «La richiesta di interventi da parte dell’Anm a tutela di una siffatta sentenza mostra di non comprendere le ragioni di queste reazioni, accresce la percezione pubblica di una magistratura chiusa, auto-percepita come casta sacerdotale che tutela i suoi riti e le sue pronunce, non s’interroga sugli inevitabili effetti sociali dei suoi provvedimenti e, perciò, non tollera le critiche, sollevando l’alibi del tecnicismo. Si percepisce l’ombra del giudice “bocca della legge”, così amato da certa politica securitaria ed a tutela dei poteri economici dominanti».

Che dire… una risposta precisa e puntuale. E poi non tutti i mali vengono per nuocere. La condanna assurda a Lucano ha aperto, oltre all’indignazione sociale, una breccia nell’ipocrisia che ammanta la casta sacerdotale della magistratura intaccando fortemente un saldo tabù: le sentenze non si commentano. E invece oggi tutti dicono che si possono commentare eccome! E questo non è poco. E questa è un’altra vittoria di Mimmo Lucano.