Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli: tutte le sfide che accendono la politica italiana

Il 3 e 4 ottobre si torna a votare in 1.192 Comuni ma l’attenzione politica si concentra sulle sfide che contano, quelle delle grandi città: Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli. Anche se l’appuntamento elettorale non stravolgerà l’assetto nazionale con riflessi sul governo di Mario Draghi, i risultati contribuiranno comunque ad aggiornare gli assetti e a ridefinire i rapporti nei partiti e dentro le coalizioni alla vigilia dell’appuntamento politico cui tutti guardano: l’elezione del presidente della Repubblica in programma a gennaio del nuovo anno.

Sfida a quattro per la conquista di Roma
Sulla scheda elettorale è una corsa affollata: 22 candidati e 39 liste. Ma la vera sfida si riduce a una gara a quattro: la sindaca uscente, prima cittadina donna e pentastellata della Capitale, Virginia Raggi; il candidato di centrodestra voluto da Giorgia Meloni, il conduttore radio amante della romanità, Enrico Michetti; il leader di Azione Carlo Calenda e il già europarlamentare scelto dai democratici Roberto Gualtieri. Due avvocati, Raggi e Michetti, e due ex ministri, Calenda (Sviluppo economico) e Gualtieri (Economia), che ora si contendono il primo turno in vista dello sprint del ballottaggio che vedrebbe per ora favoriti Michetti, in pole, e Gualtieri con dietro Raggi, in rimonta, e Calenda che all’ultima curva ha incassato un endorsement inaspettato (ma poi ritrattato), quello del ministro leghista Giancarlo Giorgetti. A decidere l’esito potrebbero essere i molti ancora indecisi alla vigilia del voto: così la campagna elettorale si è trasformata negli ultimi giorni in una caccia ai consensi soprattutto in periferia, dove nella precedente tornata elettorale M5s raccolse consensi sospinto dallo slogan “Onestà”. Tema molto sentito la vicenda Mafia Capitale.

A Milano Sala punta alla riconferma
Nel capoluogo lombardo la partita vera si gioca tra due sfidanti: quello di centrosinistra, il sindaco uscente Giuseppe Sala, e quello di centrodestra, il pediatra Luca Bernardo. Sala è sostenuto da otto liste (oltre al Pd, i Riformisti, i Radicali, Milano Unita, la lista civica Beppe Sala, quella Milano in salute, Europa Verde e Volt) ma la sua campagna elettorale è stata nel segno dell’indipendenza dai partiti, dai toni pacati e senza la presenza dei big della politica nazionale. Sala è dato come favorito da molti dei sondaggi, alcuni dei quali lo indicano come possibile vincitore già al primo turno. Parola chiave della sua campagna è quella della sostenibilità per una Milano sempre più.
In campo per il centrodestra, sostenuto da Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Milano Popolare, c’è il pediatra Luca Bernardo. La sua candidatura è stata ufficializzata a luglio, dopo mesi di toto-nomi sui possibili candidati e dopo la rinuncia a correre di Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano che Matteo Salvini avrebbe voluto di nuovo candidato. La campagna di Bernardo si è svolta spesso al fianco di nomi nazionali del centrodestra, in particolare dello stesso Salvini, che è arrivato molte volte in città per sostenere il candidato. Lo stesso ha fatto Giorgia Meloni che ha tenuto un evento sabato scorso in piazza Duomo a una settimana dal voto. Ma l’evento finale congiunto nel capoluogo lombardo con tutti i leader della coalizione è saltato: eloni era in ritardo a causa dell’annullamento e di un successivo slittamento del volo da Roma e Salvini era in partenza poco dopo per Roma. Un disguido organizzativo che però è diventato caso politico tanto da costringere Salvini e Meloni a smentire le voci di tensioni con una nota congiunta.

Negli ultimi giorni non sono mancati nella coalizione i momenti di tensione con il Bernardo che aveva minacciato le dimissioni se non fossero arrivati i fondi per la campagna elettorale promessi dai partiti. Al centro del suo programma elettorale c’è un tema tradizionale per il centrodestra, quello della sicurezza, con l’assunzione di nuovi vigili urbani, l’abolizione di Area B, la ztl che impedisce l’ingresso in città delle auto più inquinanti, e un ritorno all’Ecopass dell’era Moratti. A Milano il Movimento 5 Stelle punta a inaugurare un nuovo corso con la manager del digitale Layla Pavone, sostenuta da Giuseppe Conte che spera di recuperare consensi in una città dove i Cinque Stelle non hanno mai riscosso grandi risultati.

A Torino partita aperta per il dopo Appendino
Conclusa l’esperienza di Chiara Appendino, i pentastellati sperano di proseguire con Valentina Sganga. Il centrosinistra vuole riconquistare la città con Stefano Lo Russo. Il centrodestra si sente competitivo con il “civico” Paolo Damilano. Insomma è una partita tutta da giocare a Torino e il ballottaggio è dato come molto probabile.

Tutti i candidati ripartono dalle periferie, rammarico della sindaca Appendino che avrebbe voluto fare di più per chi cinque anni fa le diede fiducia. A partire per primo, ormai dieci mesi fa, l’imprenditore delle acque e del vino Damilano, con la lista Torino Bellissima, a cui si sono aggiunti i partiti di tutto il centrodestra. Lo Russo, professore del Politecnico cresciuto nel Pd con la vocazione da sindaco, promette invece di riannodare i fili con la gente, quelli rotti cinque anni fa che sono costati il secondo mandato a Piero Fassino. Punta infine sulla continuità Sganga, capogruppo uscente di un Movimento 5 Stelle che – dice – ha saputo tenere botta a cinque anni difficilissimi e ora ha le carte in regola per completare il lavoro iniziato. Sembrano relegati al ruolo di comprimari gli altri candidati, fatta eccezione forse per Angelo D’Orsi. Il docente universitario della coalizione delle sinistre sta raccogliendo consensi tra gli intellettuali torinesi, e non solo, con una campagna elettorale fatta di incontri culturali e riflessioni. A suo favore si è espresso persino il regista britannico Ken Loach.

Sarà difficile avere un vincitore al primo turno e l’attenzione è rivolta al ballottaggio, soprattutto se sarà tra centrodestra e centrosinistra. Che cosa ne sarà, a quel punto, dei voti pentastellati? La logica degli schieramenti vorrebbe andassero al centrosinistra, ma l’intesa mancata per il candidato unitario non gioca a favore. Appendino, che pure avrebbe sperato in quella alleanza, non ha mai nascosto l’antipatia politica per Lo Russo, protagonista in Consiglio comunale di una feroce opposizione.

A Bologna Lepore punta alla vittoria al primo turno
Matteo Lepore, esponente del Pd e sostenuto da una larga coalizione di centrosinistra, punta a diventare sindaco di Bologna al primo turno. Sono, infatti, tutti per lui i favori del pronostico delle elezioni. Il suo principale sfidante è Fabio Battistini, candidato civico appoggiato dai partiti del centrodestra che ha l’ambizioso obiettivo di provare a trascinare Lepore al ballottaggio. Imprenditore cattolico senza esperienze in politica, Battistini ha lanciato la sua candidatura mesi fa, poi, quasi all’ultimo, i partiti di centrodestra hanno deciso di convergere su di lui in maniera unitaria.

Il percorso che ha portato Lepore, per dieci anni assessore del sindaco uscente Virginio Merola che ha completato i suoi due mandati, è stato lungo e tortuoso ed è culminato con le primarie che ha vinto, con il 60%, contro Isabella Conti, esponente di Italia Viva che ha però raccolto anche numerose adesioni del Pd. Dentro il partito le primarie hanno lasciato strascichi polemici: gli esponenti di Base riformista, ad esempio, non saranno candidati per il consiglio. Ma alla fine la coalizione che sostiene Lepore è una delle più vaste mai allestite dal centrosinistra in Italia: va, infatti, dagli ex Udc ad alcuni esponenti dei centri sociali, passando dal Movimento 5 Stelle. La griglia di partenza e i precedenti lasciano poco spazio per immaginare sorprese: nel Comune di Bologna, alle regionali di un anno e mezzo fa, Bonaccini vinse con il 65 per cento.

A Bologna i due giorni di voto saranno entrambi festivi: il 4 ottobre, quando i seggi saranno aperti fino alle 15 e comincerà lo spoglio delle schede, ricorre la festa patronale di San Petronio.

A Napoli il test dell’alleanza Pd-M5S
Sette candidati alla carica di sindaco, 31 liste, oltre 1.200 in corsa per un seggio da consigliere. Il voto amministrativo a Napoli è fatto da grandi numeri e inevitabilmente si carica di significati politici non solo locali: per il peso della città ma anche per l’intesa centrosinistra-M5s, qui ad uno dei suoi banchi di prova più significativi, che punta a far eleggere sindaco Gaetano Manfredi, già ministro dell’Università nel governo Conte bis. Sul nome dell’ex rettore della Federico II, si è raggiunta una vasta convergenza che va dal Pd ai Cinquestelle, da Italia Viva a Leu e ai Verdi, passando per la civica Noi Campani di Clemente Mastella.

Ben tredici le liste a sostegno di Manfredi, mentre Tar e Consiglio di Stato hanno “azzoppato” il suo principale competitore, Catello Maresca, riducendo da undici a sette le compagini schierate per il centrodestra. Particolare scalpore, nella compagine del pm anticamorra in aspettativa, ha fatto l’esclusione della lista della Lega, che aveva scelto di presentarsi come “Prima Napoli”; sorte analoga per due civiche e la lista del Movimento animalista. Per il centrodestra sono in campo Fi, FdI, Partito liberale europeo, più varie civiche.

Riflettori puntati, per motivi diversi, anche sull’ex sindaco ed ex governatore campano Antonio Bassolino, che a 74 anni a vent’anni dalla conclusione dei suoi due mandati prova a correre per la guida del Comune: senza bandiere di partito, dopo essere uscito dal Pd di cui è stato tra i fondatori, si propone come candidato civico con cinque liste a sostegno (tra cui Azione di Carlo Calenda e il Partito gay), riscuotendo consensi anche in ambienti di destra.