“Sistema Rende Servizi”, un mare di soldi per gli amici degli amici

Riprendiamo, dopo qualche giorno di pausa, l’esame dell’ordinanza della DDA di Catanzaro che ha scoperchiato il cosiddetto “sistema Rende”.

Stavamo analizzando il carrozzone clientelare della Rende Servizi, sul quale il sindaco Vittorio Cavalcanti aveva deciso di vederci chiaro. Cavalcanti aveva chiesto ai dirigenti Luigi Filippo Mamone e Giovanni Lopez di mandare via le persone illecitamente assunte e di sanare le altre situazioni di illegittimità ma senza successo. Anche se qualche “ammissione” era comunque arrivata.

“… Il dirigente Mamone, ad ogni modo, evidenziava delle irregolarità formali nella gestione della società in house come si evince dalla relazione del 22-11-2012. Evidenziava, in particolare, che, con la sua costituzione, non erano stati definiti l’organigramma societario, le modalità di assunzione e la previsione dei costi.

Evidenziava anche che il costo del personale equivaleva al pagamento degli stipendi e che il numero dei dipendenti non era congruo con quanto stabilito dal piano economico e finanziario, che prevedeva molti meno operai (“In accordo al piano la società avrebbe potuto assumere meno di 90 unità a tempo pieno e meno del doppio qualora si fosse optato per il tempo parziale al 50% delle ore). E spiegava inoltre che il costo del personale per l’esercizio 2009, “in aperta contraddizione con quanto previsto dal piano economico-finanziario approvato dal consiglio comunale e richiamato dalla convenzione assommava a 3 milioni 256mila 823 euro con un maggior onere di 1milione 305mila 118 euro…”. 

E non è finita qui.

Mamone spiegava anche come fossero del tutto sconosciute le modalità di nomina del primo amministratore Emilio Pranno e poneva il dubbio sulle liceità delle assunzioni operate dal Pranno stesso. Riteneva irregolare la nomina ad amministratore di Giovanni Lopez ed evidenziava anche una serie di incredibili manovre finanziarie a tutto vantaggio degli amici degli amici.

“… Non si rinveniva traccia circa le ragioni che avevano portato alla ricapitalizzazione di oltre 8 milioni di euro e confermava che nel 2010 l’importo complessivo della convenzione e quindi il valore complessivo dei servizi veniva innalzato ad oltre 4 milioni e 200mila euro ovvero il 55% in più dell’anno precedente…”. 

E non solo: Mamone rappresentava come, in due occasioni, la Rende Servizi richiedeva ed otteneva dal sindaco Umberto Bernaudo la somma, rispettivamente, di 450mila euro “per far fronte alle esigenze di cassa che, per effetto delle poste relative al pagamento degli stipendi e dell’IVA, erano divenute urgenti ed improrogabili” e di 300mila euro “necessari a far fronte a inderogabili scadenze di natura previdenziale”.

Il dirigente, inoltre, evidenziava la mancanza di opportunità e di logica economica nell’assunzione e nell’utilizzo di un numero così rilevante di dipendenti e in linea generale il mancato rispetto del cosiddetto criterio di tracciabilità economica-finanziaria, che non gli consentiva di operare il richiesto controllo con la massima efficienza.

Insomma, un pozzo senza fondo! Mamone, inoltre, si era determinato a certificare le suddette criticità soltanto dopo che Cavalcanti lo aveva formalmente investito della questione a seguito della pubblicazione di stralci di atti processuali, in particolare dopo l’arresto di Bernaudo e Ruffolo.

La “pezza” messa dai dirigenti della Rende Servizi altro non era che il parere di due avvocati, Massimo Cundari e Santo Spadafora, che si producevano in improbabili cavilli per salvare capre e cavoli.

Quasi superfluo sottolineare che, nonostante la richiesta di Cavalcanti del 24 maggio 2013, nessuno dei dipendenti della Rende Servizi veniva rimosso dal suo posto di lavoro.