«Telemaco», il magazine di Rai Cultura nel campo di Ferramonti di Tarsia

Ruth Hauben aveva sei anni quando entrò per la prima volta nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, il più grande fatto costruire da Mussolini in Italia. Dopo ottantadue anni, Ruth vi è tornata per la prima volta con la giovane storica Emanuela Lucchetti – romana, ma con radici calabresi – per «Telemaco», il nuovo magazine di Rai Cultura dedicato a vicende particolari e meno note nei luoghi in cui si sono svolte, in onda stasera alle 21.10 su Rai Storia.

Oggi all’interno di un’oasi naturale, i resti del campo di concentramento ospitano un Museo della Memoria che racconta la vita quotidiana in quei sedici ettari circondati da filo spinato, all’interno dei quali – in 92 caseggiati – passarono non meno di quattromila persone e moltissimi bambini come Ruth. In grande maggioranza ebrei, ma non mancarono prigionieri politici greci, partigiani jugoslavi, militari francesi e addirittura prigionieri cinesi. Il campo aveva sinagoghe, servizi, una scuola e persino un piccolo “parlamento” per l’autogoverno, ma la mancanza di libertà e di cibo erano comunque una realtà quotidiana. Ferramonti di Tarsia venne liberato dagli inglesi il 13 settembre 1943, come raccontano le immagini di un video girato all’interno del campo dagli alleati.

«Sono ricordi ben chiari – dice la voce commossa di Ruth Hauben – : una baracca molto lunga che ricordo e una tenda che divideva da altre famiglie… ricordo le litigate che sentivo… Io stavo seduta e passavo le giornate. Al mattino andavo allo spaccio che c’era con un pentolino a prendere il latte che il campo dava»: ricordi di bambina, di assurde limitazioni eppure di “comunità”. «Il capo campo – ricorda ancora Hauben – era una persona che ragionava, che aveva messo tutte le disposizioni necessarie volute dal governo fascista che nessuno rispettava e loro all’interno vedevano che la gente era tranquilla e ci lasciavano vivere tranquilli. Non ci si poteva riunire, ma loro si riunivano tutti i giorni, gli uomini per cantare o per studiare, oppure le donne… Si faceva vita di comunità».

Una comunità intellettualmente viva, «nel campo c’erano elementi culturalmente avanti, professionisti, artisti…», lo dice Walter Brenner, figlio di un sottufficiale viennese arrestato dopo l’Anschluss per ragioni politiche e poi riconosciuto di origine ebraica. Scampato ai lager di Buchenwald e Dachau, venne poi arrestato in Italia, e nel campo di Ferramonti divenne libraio. Storie che rivivono, in un clima di densa emozione. E questo è «Telemaco».