Ecco perché Cosenza non è una “città normale”

Il 15 marzo del 2013, poco più di tre anni fa, ci lasciava il giornalista Alessandro Bozzo. Il suo ricordo è rimasto ancora forte nel nostro ambiente con tutto il carico di rabbia e indignazione nei confronti di chi prima ci ha spremuti come limoni, poi ha annullato la nostra dignità e infine vorrebbe anche avere ragione.

Proprio ieri il procuratore Spagnuolo ha dato segnali importanti, coincisi tra l’altro con la richiesta del pm Cerchiara di 4 anni di carcere per l’editore Pierino Citrigno. accusato di violenza privata nei confronti di Alessandro e forse anche di tentata estorsione con l’apertura di un nuovo fascicolo. Sempre stando a quanto ha detto ieri Spagnuolo. La sentenza di primo grado la conosceremo presto, il 14 settembre.

Alessandro Bozzo, per quello che poteva, denunciava con forza quanto ci accadeva sotto gli occhi. E ci piace ricordare, per come trovate anche nelle nostre pagine, il suo ultimo articolo di denuncia.

L’ULTIMO ARTICOLO DI ALESSANDRO BOZZO

Alessandro Bozzo, il compianto giornalista di Provincia e Calabria Ora disegnava così la situazione delle case popolari nell’ultimo vero articolo della sua vita, successivo agli arresti dell’Aterp, come abbiamo visto uno dei “feudi” della famiglia Cinghiale, pardon Gentile.

4 ottobre 2012. E’ un articolo “forte”, alla sua maniera, autentico. Nel quale scrive senza paura le intimidazioni che subivano coloro che osavano sfidare il potere.

In un mondo normale se uno fa il proprio dovere nell’interesse dell’azienda per cui lavora e della comunità, fa carriera. 
E viene trattato con riguardo, rispettato e stimato. Perché ha un’etica professionale e rispetto della legge o semplicemente perché è onesto e non gli piacciono furbetti e prepotenti.  Ma Cosenza non è una città normale. Qui se uno fa il proprio dovere lo assegnano ad altro incarico e se si ribella gli incendiano pure la macchina. Per far carriera a Cosenza bisogna essere vigliacchi senza onore o imbroglioni dall’avidità insaziabile, sempre pronti a inginocchiarsi davanti ai prepotenti.  L’ennesima dimostrazione è arrivata dall’inchiesta che ha portato a galla la gestione parallela dell’Aterp a uso e consumo di delinquenti e politici senza scrupoli.

La storia di Manuela Aiello è il paradigma del «mercimonio della pubblica funzione» denunciato dal procuratore aggiunto Domenico Airoma. Dimostra perché una terra più bella della California invece di navigare nell’oro sta in fondo a tutte le classifiche, ostaggio della ’ndrangheta e della corruzione.
La signora Aiello, segretaria generale dell’Aterp di Cosenza, nel settembre del 2011, venne incaricata dai suoi capi di stilare una relazione relativa alla contabilità inquilini e di inoltrarla al direttore generale. La donna fece il suo lavoro diligentemente.
Senza strafare, limitandosi a segnalare le «criticità evidenti» oltre che le «problematiche annose evidenziate in tutte le relazioni ai bilanci sia dai revisori sia dalla Corte dei conti». Troppi inquilini, in pratica, non pagavano il canone. E siccome aveva fatto il proprio dovere la signora Aiello venne ripagata così: «(…) sostituita nell’incarico di responsabile dell’ufficio contabilità da un altro dipendente».

Perché non era stata abbastanza furba da capire, evidentemente, che il suo dirigente non voleva che lei facesse quello che lui le aveva chiesto di fare. All’Aterp di Cosenza funzionava così. E se ti serviva qualcosa, anche se eri l’assessore regionale ai lavori pubblici o il vicesindaco, dovevi rivolgerti a Oscar Fuoco, sedicente «malandrino», il quale sebbene fosse soltanto un umile funzionario della manutenzione aveva voce in capitolo sulle nomine dei vertici aziendali, sulla «linea» che essi avrebbero dovuto tenere, sui sopralluoghi anche al di fuori del suo settore di competenza. Si era autoproclamato re dell’abusivismo edilizio. E se ne vantava, prendendosi gioco dei colleghi onesti.

L’ingegnere Ugo Scarpelli, come la signora Aiello, appartiene a quest’ultima categoria. Lavora all’ufficio pianificazione del Comune di Cosenza e quando si trovò davanti – in qualità di responsabile del procedimento – una richiesta di permesso a costruire avanzata dall’Aterp, controfirmata peraltro dall’ingegnere Pietro Mari, diede il via libera. Poi, però, fece un sopralluogo sul posto. E si accorse del macroscopico falso. Era il giugno del 2010. Oscar Fuoco provò ad avvertirlo. Gli disse chiaramente di far finta di nulla, ché gli abusi edilizi riscontrati «erano stati commessi da persone poco raccomandabili» e che non si poteva demolire. L’ingegnere fece lo stesso il suo dovere e segnalò l’esistenza di abusi edilizi impossibili da sanare. E cosa fece l’architetto Sabina Barresi, allora dirigente dell’ufficio urbanistico del Comune di Cosenza? Concesse il permesso a costruire e il cambio di destinazione d’uso.  E fu così che i magazzini al numero 3 di piazza Clausi Schettini (via Popilia), di proprietà dell’Aterp, diventarono un’abitazione privata.

A Cosenza funzionava così.

Alessandro Bozzo