Vibo. “Imponimento”, l’ascesa del clan Anello e i primi contrasti con i Mancuso

Nelle oltre 2mila pagine delle motivazioni della sentenza del processo “Imponimento” celebrato con rito abbreviato, e che ha visto la condanna in totale di 65 persone, i giudici hanno raccontato come gli Anello avrebbero “prima cercato di scardinare lo strapotere dei Mancuso e del boss Pantaleone “Scarpuni””, poi ne sono diventati “parte integrante ed importante all’interno di un piano di spartizioni del potere già ideato dal boss Luigi Mancuso”. Gli Anello, insomma, protagonisti e ideatori di una frangia composta anche dagli esponenti di Sant’Onofrio, dai Piscopisani, quelli legati a Mantella, sotto l’egida di Damiano Vallelunga.

Riflettori puntati su Filadelfia. Per i giudici, il locale di Filadelfia si “caratterizza per una storia parzialmente diversa da quelle delle altre articolazioni di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese” perché gli Anello “vantano antichi legami con i Bellocco di Rosarno» e, considerata la vicinanza, “volgono le loro attenzioni anche al territorio Lametino”. Una cosca comunque potente e, grazie alla fama, capace di “incutere timore per la sua stessa esistenza» generando così una situazione di “assoggettamento e un atteggiamento di omertà, dettato dalla paura di eventuali ritorsioni” non solo di carattere fisico ma “in azioni di pressione e ricatti”, grazie anche alla figura del boss Rocco Anello, capace di «esplicare una forza di intimidazione pronunciando soltanto il proprio nome”. Un sodalizio, quello degli Anello-Fruci, insomma, tra i più potenti e pericolosi dell’area vibonese che, storicamente, ha sempre intrattenuto rapporti strettissimi con le cosche di ‘ndrangheta del Lametino e delle Serre vibonesi. La cosca, inoltre, era attiva “in settori disparati, ovunque potesse esercitare la propria influenza parassita e predatoria”.

I pentiti. Sono state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra cui Michele Iannello e Giuseppe Giampà, a delineare larghi tratti della storia dell’ascesa degli Anello, a partire dagli anni ’90 quando si era “staccata dai Mancuso, entrando in contrasto con i suoi vertici, sposando la linea garantita da Damiano Vallelunga che, anche lui in contrasto, faceva capo direttamente a Umberto Bellocco. Tesi confermata anche da un soggetto intraneo alla cosca Anello come il pentito Francesco Michienzi”.