Villa Torano, tutte le domande senza risposta e la cassa integrazione di Poggi&Parente (di Delio Di Blasi)

di Delio Di Blasi – sinistra sindacale Cgil

Anche in Calabria è esplosa drammaticamente la questione dei contagi nelle residenze per anziani. La vicenda di Villa Torano appare gravissima e, se ce ne fosse stato bisogno, evidenzia tutte le contraddizioni che riguardano il rapporto fra servizio pubblico e sanità cosiddetta convenzionata che, nella nostra regione, più che alla garanzia della cura e della salute dei cittadini, è piegato esclusivamente alla mera logica della massimizzazione dei profitti privati.

Villa Torano rappresenta una realtà fra le più importanti di questo universo, non sempre caratterizzato dal rispetto pieno dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Per questo è necessario capire e fare chiarezza subito su alcune questioni che appaiono di difficile comprensione. A quando risalgono i primi contagi e cosa è stato fatto per contenerne la drammatica diffusione di oggi? Quanti ospiti sono attualmente presenti nella residenza? Al netto dei contagiati che immaginiamo siano stati allontanati in via precauzionale dalla struttura e messi in quarantena, quanti operatori stanno accudendo gli anziani? Quali turni di lavoro sta facendo il personale? Si sta operando nel rispetto dei vincoli contrattuali e delle norme sulla sicurezza che, in una fase così delicata, rappresentano una garanzia per tutti?

E come si spiega che lo scorso 10 aprile, con una nota indirizzata alle organizzazioni sindacali, l’amministratore unico della Medical Sport Center srl dottor Poggi abbia comunicato l’intenzione di mettere in cassa integrazione (Fis) per nove settimane, a partire da lunedì 13 aprile, ben 72 dei 73 dipendenti di Villa Torano? E cosa dicono le associazioni di categoria AGIDAE e AIOP?

Qualcuno si preoccupi di verificare con urgenza cosa sta accadendo. Si tutelino gli anziani e si difenda in tutta la regione la salute dei dipendenti delle RSA. Queste strutture vivono con i soldi pubblici ed è giusto che, soprattutto in queste ore, rendano conto del proprio operato. La sanità calabrese non può permettersi che questa vicenda sfugga di mano ed è responsabilità delle Istituzioni garantire la massima trasparenza e la tutela della dignità di soggetti estremamente deboli e fragili.

Finita l’emergenza si dovrà ragionare su quale sanità vorremo costruire per il futuro in Calabria; se ancora quella dei potentati economici privati che lucrano sempre maggiori risorse pubbliche a fronte di servizi non certo d’eccellenza o una sanità pubblica adeguatamente finanziata e di qualità, senza più prenditori voraci che si limitano a fare i meri intermediari di manodopera. Una sanità che faccia finalmente uscire centinaia di lavoratori dalla condizione di sfruttamento e di precarietà e sia liberata dalle disastrose logiche ragionieristiche dei piani di rientro.

Insomma, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa, occorrerà immaginare un servizio sanitario che la faccia finita con la gestione regionale imposta dalla riforma “federalista” del titolo V della Costituzione, che la faccia finita con gli affari e le famiglie e che restituisca allo Stato il compito di garantire la medesima qualità di prevenzione, cura ed assistenza su tutto il territorio nazionale, in Lombardia come in Calabria.