Franco Perna e Franco Pino, guerra e pace

Dopo la morte di Gigino Palermo detto ‘u Zorru, avvenuta nel 1977, i clan gestiscono a loro piacimento l’arrivo di quantità ingenti di eroina per le classi meno abbienti e di cocaina per i giovani rampolli della Cosenza “bene”. E’ anche per questo che si sono fatti la guerra.

Da allora e fino alla metà degli anni Ottanta si apre una guerra di mafia tra i clan dominanti della città, Tonino Sena-Franco Pino da una parte e Franco Perna-fratelli Pranno dall’altra, a ritmi più o meno intensi di omicidi e attentati.

Franco Pino è il boss spregiudicato, quello che stringe gli accordi con i “colletti bianchi” e fa da trait d’union col potere politico. Franco Perna è l’altra faccia della malavita cosentina, che ha certamente la schiena più dritta e non scende a compromessi. E che avrebbe cercato ancora di convivere col vecchio Zorro, del quale era anche parente avendo sposato una sua nipote.

Il vero boss insomma è Perna non Pino, che invece cerca e trova accordi con i magistrati deviati e i poliziotti e i carabinieri corrotti. Ma è evidente che questa guerra non può durare in eterno.

La ‘ndrangheta cosentina, dunque, cambia decisamente pelle. In gergo, si dice che si trasforma da “locale bastardo” in “locale d’onore” o di ‘ndrangheta. E’ il pentito Roberto Pagano a parlare per primo di questa trasformazione.

“Sino alla morte di Palermo – afferma Pagano – il territorio cosentino veniva considerato in mano a una criminalità “bastarda”, proprio perché molti componenti della delinquenza di allora avevano sfruttato la prostituzione impedendo la nascita di un locale secondo le regole ‘ndranghetistiche. La ‘ndrangheta infatti non riconosceva questa attività…”.

Cosenza, pertanto, viene finalmente affiliata alla ‘ndrangheta con tutti i crismi che servono.

Nel 1985 i clan uccidono il direttore del carcere Sergio Cosmai e siglano una proficua “pax”, come scrive persino la questura, testimone oculare dell’accordo finale al bar Due Palme e delle partite di calcio nel campetto del carcere che sancivano la nuova fase e pronta a “benedire” la riconciliazione con risultati tangibili per… le tasche dei dirigenti più in vista.

E se non fosse arrivata la Dda di Catanzaro, che nel 1994 diede il via all’Operazione Garden, tutti gli “uomini d’onore” di Cosenza sarebbero rimasti tranquilli e lasciati liberi di fare ciò che volevano grazie alla compiacenza della politica (alla quale servivano i loro voti), delle forze dell’ordine e della magistratura cosentina. Il Tribunale di Cosenza non a caso viene definito tuttora il “porto delle nebbie”…

Franco Perna è in carcere dal 1994 e non ha mai ceduto alla tentazione di pentirsi come Franco Pino (e – ahinoi – quasi tutti i picciotti dei due clan: una vera e propria invasione di collaboratori di giustizia e una chiara manovra per inquinare il quadro probatorio e “neutralizzare” il processo Garden ordita dai magistrati Serafini e Spagnuolo in combutta con gli avvocati dei pentiti) nonostante sia in regime di 41 bis da allora. Perna ha 78 anni.

Il figlio Marco, che oggi ha 44 anni, è cresciuto nel suo mito e nella sua leggenda ma ha dovuto fare a meno di lui fin da quando era soltanto un ragazzino. E’ stato indubbiamente agevolato nella scalata alle posizioni di vertice della malavita cosentina e si è in un certo senso “specializzato” nei traffici di droga.

Era finito nella rete della giustizia già altre volte ma ne era uscito sempre senza gravi conseguenze. L’operazione “Apocalisse” invece lo vede accusato di essere il principale referente dei traffici di droga e la procura di Cosenza e la Dda in questi ultimi mesi hanno fatto incetta di pentiti di ogni tipo, evidentemente per “caricarli” tutti contro di lui. E non è un caso che l’altra mattina la città sia stata tappezzata di volantini e manifesti contro i pentiti e alcuni avvocati che sono palesemente al soldo di qualche “pezzo grosso”. L’udienza del prossimo 17 maggio si carica pertanto di molti significati importanti. Staremo a vedere quello che succederà.