‘Ndrangheta a Torino, in carcere i capiclan delle famiglie Agresta, Catanzariti e Assisi

Nicola Assisi

E’ ancora ‘ndrangheta in Piemonte dove le holding del narcotraffico spopolano in collegamento con la Calabria e l’hinterland milanese. Questa mattina 400 uomini del comando provinciale dei carabinieri di Torino stanno eseguendo dall’alba 70 arresti in cinque diverse città italiane tra i componenti delle famiglie Agresta e Assisi, capi locali di Volpiano e San Giusto Canavese, considerati i più potenti narcotrafficanti tra il Nordovest e il Sud America.

L’ordinanza firmata dal gip di Luca Fidelio, porta in carcere i capiclan delle famiglie Agresta, Catanzariti e Assisi, tra cui il nome più noto è quello di Nicola Assisi, rimasto latitante per anni in Sudamerica, arrestato a luglio a Praia Grande, una località balneare nello Stato di San Paolo, in Brasile insieme al figlio Patrick. Lì, nonostante i sequestri della giustizia italiana che lo cercava dal 2014, viveva nel lusso, possedeva tre appartamenti con piscina e aveva una stanza segreta in cui nascondeva il denaro, enormi quantità tanto che gli investigatori hanno preferito pesarlo anziché contarli: erano 20 chili. La cocaina era la sua specialità, quella che secondo le sentenze faceva arrivare a quintali in Italia, agli intermediari della ‘ndrangheta in Calabria, Piemonte e Lombardia.

L’operazione di  questa mattina è l’atto finale delle indagini di diverse forze di polizia, che che hanno come comune denominatore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Agresta, il padrino ragazzino che a 29 anni aveva già scalato le gerarchie della locale di Volpiano ma che a ottobre del 2016, dal carcere di Saluzzo dove stava scontando 30 anni per omicidio, ha dato una svolta alla sua vita cominciando a collaborare con i magistrati di Torino, Monica Abbatecola e Paolo Toso. “La scuola mi ha fatto collaborare, perché l’istruzione mi ha dato strumenti che prima non avevo. In carcere, mi sono diplomato”, ha detto nelle molte udienze in cui ha portato la sua testimonianza, compresa quella per l’omicidio del procuratore di Torino, Bruno Caccia.
E’ proprio grazie alle dichiarazioni del collaboratore Domenico Agresta che gli inquirenti hanno individuato, con sicurezza lo zio Antonio, in possesso della dote apicale di “corona”, come il capo locale della succursale mafiosa di Volpiano dopo la scarcerazione nel processo Minotauro (a novembre 2012) e perlomeno sino all’ulteriore arresto del giugno 2015. Dopo la condanna, infatti, il capoclan assumeva la direzione della struttura distaccata di ‘ndrangheta, portando avanti l’attivita dell’organizzazione, decidendo sull’attribuzione delle doti e tenendo i contatti con altri affiliati detenuti.

Nell’ambito della maxi inchiesta che mette insieme fascicoli dei pm Monica Abbatecola, Paolo Toso e Livia Locci, tra gli intrecci dei trafficanti di stupefacenti spunta anche la vicenda della fuga di notizie che diede il via all’indagine sulla cricca in procura. E per effetto dell’ordinanza del gip Fidelio, viene interdetto dalla professione di avvocato Pierfranco Bertolino, il legale coinvolto anche nell’inchiesta che ha fatto finire nei guai uomini della polizia giudiziaria, imprenditori torinesi e l’ex pubblico ministero Andrea Padalino (ora giudice civile a Vercelli). Bertolino, cui è contestato il concorso esterno nell’associazione dedita al narcotraffico, avrebbe ottenuto illegalmente informazioni relative a indagini in corso in procura e avrebbe avvertito alcuni suoi clienti affinché evitassero di parlare dell’attività che svolgevano in luoghi probabilmente sottoposti a intercettazioni.

Scrive il gip “avendo acquisito illegalmente notizie riservate e non divulgabili riguardanti indagini in corso coperte dal segreto investigativo, informava, Bruno Pezzolato dell’esistenza di indagini m corso relative a un vasta organizzazione delinquenziale” indicando il nome del pm titolare delle indagini, e della probabile esistenza di intercettazioni in corso, suggerendo accorgimenti e cautele”. “Dice l’avvocato che dobbiamo guardarci bene … di non venire a casa … dice di fare attenzione”: le voci che parlano in queste intercettazioni sono quelle degli uomini di Nicola Assisi in Piemonte, quelli che secondo gli investigatori gestivano localmente la vendita di droga.
Questa mattina sono stati sequestrati beni mobili e immobili degli indagati, conti correnti bancari e quote societarie, i carabinieri di Torino hanno inoltre sequestrato 46.000 euro in contanti 1 kg di marijuana, che si aggiungono agli 80 kg già sequestrati durante le indagini, e 14 orologi di pregio.