Buccinasco, capitale della ‘ndrangheta

Prima il clamoroso vaso di Pandora di una nuova tangentopoli milanese, poi l’operazione Padel. In molti avevano capito che qualcosa era cambiato negli equilibri di potere ai vertici della ‘ndrangheta a Milano e in particolare di quelle famiglie – tra le quali quella dei Molluso, leader nell’edilizia – che hanno il loro quartier generale a Buccinasco, alle porte della metropoli. 

Dopo oltre 40 anni di presenza criminale su Milano e di legami con politica e impresa, il clan Papalia, la più potente cosca di ‘ndrangheta nel nord Italia originaria di Platì e legata alla famiglia Barbaro, si ritrova un pentito in famiglia. Si tratta di Rosario Barbaro nato nel piccolo comune dell’Aspromonte il 19 luglio 1972. Marito e padre, Barbaro, pur nato a Platì, ha passato quasi tutti i suoi 50 anni tra Buccinasco e Motta Visconti, comuni a sud del capoluogo lombardo. Alle spalle ha una condanna per associazione mafiosa. La stessa e per la stessa inchiesta (Cerberus del 2008) che condivide con il fratello Salvatore Barbaro, attualmente ai domiciliari, ma soprattutto convolato a nozze, ormai anni fa, con Serafina Papalia, figlia del superboss Rocco Papalia, oggi libero dopo quasi 30 anni di galera e residente sempre a Buccinasco. I fratelli Barbaro sono figli del defunto Domenico, alias Micu l’Australiano, già legato a doppio filo con i fratelli Papalia (Domenico, Antonio e Rocco), storici referenti al Nord per la ‘ndrangheta. Rosario Barbaro cognato dunque di Rocco Papalia è parente anche di Domenico Papalia, classe ‘83, figlio di Antonio che oggi vive libero tra Milano e Platì, e del fratello Pasqualino Papalia, sposato con una Pelle, legata all’omonima cosca di San Luca. Tra le parentele dirette c’è anche quella con Rosanna Papalia (sorella di Serafina) già sposata con Giuseppe Pangallo, mai condannato per mafia e attivo tra la Svizzera e la provincia di Como.

Rosario Barbaro inizia a collaborare con la procura di Milano e con i pm Stefano Ammendola e Paolo Storari, coordinati dall’aggiunto della Dda Alessandra Dolci, già nel giugno del 2021.

Di seguito, una ricostruzione dell’impero di Buccinasco, capitale della ‘ndrangheta.

Fonte: Milano Mafia

Il locale si trova in via Montello 12. Dal 1999 al 2007 ha ospitato la sede del circolo Montello. I suoi soci ufficialmente condividevano la passione della pesca sportiva, in realtà erano tutti uomini della ‘ndrangheta. 

Le famiglie
Buccinasco capitale della ‘ndrangheta. Qui i cognomi sono quelli dei Papalia, Barbaro, Musitano. Molluso, Zappia, Sergi. Si tratta delle terze generazioni.
Per i Papalia i nomi da tenere d’occhio sono quelli dei fratelli Domenico e Pasquale, 26 e 31 anni. I due sono figli di Antonio Papalia. Imprenditori, solo apparentemente puliti, sono i fratelli Molluso che assieme al padre gestiscono una società che si occupa di lavori edili.

Raccontano gli investigatori: “Per capire le dinamiche della ‘ndrangheta nel nord Italia bisogna andare a Buccinasco”. Perché, prima o poi, da qui si passa per ricevere un ordine, incontrare qualche compare, trattare affari. Perché qui, al di là delle indagini, la ‘ndrangheta si alimenta da generazione in generazione. E ogni boss che conta ha in tasca un indirizzo: via Montello 12, una strada stretta da alti palazzi popolari al confine tra Buccinasco e Corsico. Qui, sull’angolo, proprio sotto ai portici, dal 1999 al 2007 si animava uno strano circolo. Attività nota e piuttosto strana: la pesca sportiva.

Erano quattro vetrine. Sopra l’insegna Circolo Montello, scritta rossa su sfondo bianco. Si passava e una saracinesca era inevitabilmente abbassata, quasi sempre l’ultima in fondo. All’ingresso, invece, ci stavano sempre due uomini, a volte di più. Parlavano e si guardavano intorno. Nell’ultimo periodo, qualcuno, di notte, aveva rotto una vetro. Poi dal 2007, basta pesca. Clair abbassate per un mese e poi l’inaugurazione di un bellissimo panificio, dislocato sugli stessi metri quadrati del circolo. Stesso luogo, ma aria diversa, meno polverosa, più luminosa con pavimenti lucidi e pareti colorati, tv al plasma, una bel banco con focacce e pizze, tavolini ai lati dove mangiare. Diverso, ma uguale. Perché alla fine le facce sono sempre le stesse. Sono facce sospettosa. Sono le facce della ‘ndrangheta che oggi comanda Milano.

Tutte facce con nomi e cognomi. In molti li sanno, in pochi li pronunciano, perché qui a la mafia uccide. Torniamo allora al 27 marzo 1999. Giornata di primavera sporcata da una pioggia sottile. Attorno al 12 di via Montello c’è un discreto trambusto. Ci sono molti uomini. Di donne non se ne vede. Arrivano, si baciano, entrano. Fumano lunghe sigarette, scherzano quasi chiassosi, poi d’improvviso parlano piano.

Si vedono, ad esempio, i due presidenti Giuseppe Bellissimo e Antonio Bandera, “entrambi – osservano gli investigatori – sono affiliati all’organizzazione criminale Barbaro-Papalia”. E di questo casato mafioso fa parte anche Pasquale Papalia, detto Pasqualino, classe ’79. Di quel circolo lui è stato giovanissimo consigliere. Proprio lui, figlio di Antonio Papalia, capobastone milanese negli anni Ottanta e fratello di Domenico Papalia. In quella sera d’estate lì in via Montello c’è la ‘ndrangheta, ma ci sono anche gli investigatori. Convitati di pietra attraverso una mini telecamera. E così bastano appena due giorni di riprese per capire che “il locale era stato appositamente costituito dall’organizzazione criminale Barbaro-Papalia affinché gli affiliati potessero comodamente riunirsi per discutere dei loro traffici illeciti ed essere nel contempo legittimati alla frequentazione del locale”.

Al Circolo Montello così si fa vedere Giosefatto Molluso, detto Gesu e suo figlio Giuseppe Molluso, entrambi ritenuti affiliati alle cosche di Platì. In particolare, Giosefatto nel 1999 partecipò a uno storico summit di mafia al ristorante Scacciapensieri di Nettuno. Con lui boss del calibro di Vincenzo Rispoli e Carmelo Novella (ucciso nel luglio 2008). Si è detto dei fratelli Papalia, Pasquale e Domenico, ma in via Montello non manca nemmeno la famiglia Barbaro al completo, Domenico, il padre, detto Micu l’australiano e i due figli, Rosario e Salvatore, tutti e tre oggi imputati per mafia (Rosario ora è il primo pentito in famiglia, ndr)

E dopo la pesca, la ‘ndrangheta passa al pane. Attorno al 2007, si inaugura la panetteria gestita dalla Musipane srl, riconducibile alla famiglia Musitano, altro cognome legato ai Papalia. L’impresa viene gestita da Vincenzo Musitano e da Antontio Musitano, quest’ultimo soprannominato Toto brustia, da sempre uomo di fiducia del superboss Antonio Papalia. Brustia in passato è stato legato al pentito Saverio Morabito e al ramo mafioso dei Sergi. Condannato a 20 anni nei primi mesi del 2000, è stato scarcerato il 27 marzo 2007 e oggi vive a Vermezzo. (dm)