Calabria. Capodanno Rai, un baraccone farsesco e un deliquescente spettacolo tv

Un deliquescente spettacolo televisivo

di Tommaso Aceto

Due milioni di euro all’anno per due anni. Ben 4 milioni e rotti in totale.
Tanto è costato, e costerà, lo spettacolo oltremodo kitsch e trash finanziato dalla Regione Calabria. Una Regione che non è in grado di inventare, o di finanziare, una sola manifestazione di vero e durevole spessore culturale sperpera, invece, 2 milioni per il più vieto e deliquescente spettacolo televisivo da consumare in una sola notte.

Allarghiamo l’orizzonte del nostro provinciale sguardo e cerchiamo possibili confronti non troppo lontani nel tempo e nello spazio. In Umbria, per fare un esempio preclaro, nel 1973 nasceva, su impulso del commerciante Carlo Pagnotta, un Festival che si chiamava Umbria Jazz e che si sarebbe svolto dal 23 al 26 agosto in tre città della regione e avrebbe avuto alcune caratteristiche più uniche che rare, soprattutto per un festival jazz: i luoghi in cui si svolgeva erano piazze e parchi; i concerti erano gratuiti; il festival era itinerante (ogni sera una città diversa). Inizia così una storia fatta di grandi successi e di serie difficoltà che porta Umbria Jazz a cambiare, modificarsi, evolversi, rimanendo sempre centrata sull’obiettivo principale di legare una visione internazionale alla promozione culturale, turistica, economica e sociale di una piccola regione. Si possono ricordare alcuni dei grandi musicisti che hanno suonato nelle piazze e nelle strade delle città umbre: Charles Mingus, Miles Davis, Sonny Rollins, Sting insieme a Gil Evans, Stan Getz, Dizzy Gillespie, Ornette Coleman, João Gilberto, Quincy Jones, Tony Bennett e Lady Gaga, Caetano Veloso, Gilberto Gil, Eric Clapton, Santana, R.E.M., Prince, Liza Minnelli, Elton John et cetera. 

Altro che i Ricchi e Poveri, Cugini di Campagna, Paola e Chiara e Malgioglio!

Umbria Jazz ha creato anche una versione invernale, Umbria Jazz Winter, che si svolge con grande successo ad Orvieto, nei giorni di Capodanno. Il Festival -che ha compiuto, nel ’23, i suoi primi 50 anni- è, da tempo, riconosciuto in campo internazionale come il più importante festival jazz italiano ed è, tra questi, l’unico che possa vantare numeri da grande evento popolare.

Ora Umbria Jazz ha un bilancio annuo di circa 4,5 milioni di euro dei quali più di 2 milioni sono finanziamenti del MiC, della Regione Umbria e dei Comuni umbri, 500.000 vengono dalle Fondazioni bancarie, 800.000 provengono da sponsorizzazioni e più di 1 milione deriva dalla vendita dei biglietti degli spettacoli. Ancora più importante e interessante è il valore aggiunto che Umbria Jazz genera secondo il dossier dell’Agenzia Umbria Ricerche dal titolo “Grandi eventi, trasformazioni territoriali e sviluppo economico: il caso di Umbria Jazz”: 5,7 milioni di euro che si riverberano sul territorio regionale, 9,8 milioni su tutto il territorio nazionale.

Potrei fare un altro esempio non musicale, ma di teatro -quello del celeberrimo “Festival dei due mondi” di Spoleto, sempre in Umbria- ma non voglio maramaldeggiare oltre ogni misura.

I corifei del potere occhiutiano hanno detto, e diranno, che questo stantio show da Casa di riposo porterà visibilità, turismo e nuova “narrazione” della regione. Qualcuno ha, persino, affermato che questo stantio ciarpame nazional-popolare che la Rai ha rifilato a caro prezzo alla Regione più povera d’Italia sarebbe “…una ragione in più perché si riaccenda quel senso di appartenenza e comunità sopito, perché fierezza e identità non siano un “regionalistico pride” per pochi intimi, ma diventino consapevolezza…”.  Ci vuole uno stomaco aduso a qualsivoglia vivanda per sostenere che il senso di appartenenza e di identità calabrese si risvegli con le urla di Annalisa, con il falsetto dei Cugini di Campagna o, addirittura, con la prezzolata e mielata accondiscendenza di Amadeus.

Cari conterranei, non fatevi infinocchiare da questo luccicante e farsesco baraccone messo in piedi, con i soldi nostri, dall’egotismo paranoide (è un tratto di famiglia?) di un presidente inetto, incapace di risolvere i seri problemi che gravano sui calabresi: dalla sanità alla disoccupazione, dalla distruzione e cementificazione dei territori all’inquinamento dei mari, dalla deindustrializzazione all’assenza di trasporti pubblici.