Capodanno a Crotone e rilancio del turismo: sono solo canzonette e… barzellette

di Antonella Policastrese

Quaggiù a Kinshasa,.. pardon a Crotone, gli “antichi” dicevano così: “dopu Natale friddu e fama”. Ma qualcosa è cambiato davvero, non si capisce bene se per merito di Roberto Occhiuto o di Vincenzo (Cecè) Voce, l’amatissimo, “ipertricotico” sindaco di Crotone e cioè: niente freddo, perché l’inverno non si è visto neanche a cercarlo da Federica Sciarelli a “Chi l’ha visto?”, quindi può darsi che si faccia sentire solo la fame. E con le annesse minacce di licenziamento e di cassa integrazione che ci sono nell’aria a Crotone, la cosa appare
assai probabile.

Lo show di Capodanno della Rai, condotto da Amadeus, è stato una specie di passaggio del
Mar Rosso di biblica memoria, folla ce n’era ad assistervi e davvero tanta, ma – diciamolo senza mezzi termini -, lo spettacolo era oltremodo scadente, l’azienda televisiva di Stato si è dimostrata essere, come si dice a… Bolzano, “stritta a la farina e larga alla canigghia”. Ma andava bene anche così, ed era prevedibile che lo fosse in un paesone oramai abituato a scegliere il nulla piuttosto che il niente, privato o in via di privazione definitiva della sua festa più grande; quella della Madonna di Capocolonna che riproponeva ogni anno il miracolo dell’aggregazione popolare, nella stessa misura, se non superiore, di quanto si è visto la notte di San Silvestro 2023.

Sarebbe ingeneroso affermare che le cose non siano andate per il verso giusto: così come previsto e preventivato alla viglia dell’evento, l’esperienza settantennale della Rai ha fatto la differenza e garantito un risultato senza traumi e sbavature. Questo ha consentito i toni trionfalistici del giorno dopo, ma anche del giorno prima e di quello prima ancora, con un Governatore della Regione Calabria che è apparso ovunque, palco compreso, a raccogliere la gratitudine e la riconoscenza (a futura memoria) dei crotonesi e della popolazione dell’intera provincia che si è riversata in Piazza Pitagora per l’evento.

Per quanto riguarda lo share e le percentuali di ascolto televisivo hanno detto che il picco si è registrato a mezzanotte proprio perché gli italiani non si fidano dei propri orologi e per brindare aspettano che sia la televisione a dire che l’ora è giunta. Chi ha detto che in piazza c’erano almeno 20 mila persone, mente sapendo di mentire poiché erano molte di più, seppure nell’area dello spettacolo abbiano potuto accedere non più di 8 mila, per le note ragioni di sicurezza. Queste erano davvero imponenti e capillari; il tracciato di transenne e di gabbie faceva impallidire quello che si allestisce in Piazza San Pietro quando muore un papa. Uomini della sicurezza disseminati ovunque, tende da campo con operatori del soccorso e della protezione civile, decine di cessi chimici collocati in ogni angolo delle strade adiacenti e dentro l’area dello spettacolo. Tutto ciò al punto da chiedersi: ma quanto sarà costato solo questo? Quanto sarà costato pagare i tir che hanno portato e verranno a riprendersi il palco e le attrezzature e cosa si è dovuto sborsare per pagare i minimo venti tecnici che alla fine della giostra vi avranno lavorato a montarlo e smontarlo per quasi un mese e quanto ancora la squadra di manovali reclutati in loco per aiutarli?

Appare davvero difficile ipotizzare quanto sia costata realmente l’intera operazione. A meno che la Rai non abbia speso davvero quattro soldi, rispetto a quei presunti 500 mila euro che le avrebbe dato la Regione, per ingaggiare gli artisti e questo spiegherebbe la scarsezza dei contenuti dello show, con cantanti che, purtroppo per loro, vengono ingaggiati soltanto dai comitati feste patronali.

Ma la gente si è divertita, non gli importa quanto sia costata l’operazione e chi l’ abbia pagata; una festa pop doveva essere e tale è stata, il pubblico sembrava seguire più il muoversi delle telecamere che quanto succedeva sul palco, ed esse puntualmente immortalavano gente che dava le spalle allo show perché intenta a salutare con le manine. Non c’erano pretese culturali in tutto questo, anche perché Crotone non è una città di cultura, seppure più volte, a cominciare da Amadeus, gli sia stata attribuita questa qualità elettiva e per il solo esistere e persistere di una leggenda, quella legata alla figura di Pitagora di Samo, definitivamente evaporata allorché divenuta vessillo della “lofiarda” (leggi massoneria). Ed a Pitagora è riconducile pure la leggenda della sua maledizione che risalirebbe a quando i crotoniati gli bruciarono la casa e distrussero la scuola, tacciandolo di occultismo e magia nera. Sarà stata una coincidenza, ma la prima sera delle prove dello show di Capodanno si era diffusa la voce che un ballerino fosse caduto e che si fosse fatto male a una gamba. Soltanto il giorno dopo si è saputo che non si trattava di una ballerino, ma nientemeno che del regista dello spettacolo, operato al “San Giovanni di Dio” per una frattura al femore. Ma come sempre, in questi casi, the show must go on, dispiace solo che quel povero cristiano non conserverà un buon ricordo di Crotone.

Si è detto che per assistere alla kermesse “L’anno che verrà” erano attesi spettatori da tutto il mondo e, anche se in ritardo, sono arrivati nella tarda mattinata e nel pomeriggio del 31 dicembre suddivisi in due gruppi: 59 a bordo di un barcone e 77 persone su una barca a vela, tutti provenienti dalla Turchia, ma di diverse nazionalità: 30 dall’Iran; 14 dall’Iraq; 30 dal Pakistan e via discorrendo… 

Lo show, purtroppo per loro, hanno potuto seguirlo soltanto dal centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto, dove la Croce Rossa li ha accompagnati. L’unica cosa buona è che stavano tutti bene ed erano in ottimo stato di salute, nonostante i giorni di navigazione. E poi dicono che Crotone, con le sue bellezze le sue storie e le sue disgrazie non sia una località apprezzata e una realtà conosciuta in tutto il mondo al punto da spendere almeno un paio di milioni di euro per ribadire la sua esistenza attraverso il mezzo televisivo (Rai, solo quello) oramai inflazionato tra emittenza pubblica e network privati.

Quella del 31 dicembre del 2023 è stata una bella serata, da qualunque prospettiva la si voglia guardare, perché scalda il cuore vedere la gente divertirsi, contenta, appagata e coinvolta. L’iniziativa della Regione Calabria è stata una pioggia inattesa, ma che non serve a riempire pozzi, cioè a fare del turismo la prima attività produttiva di Crotone, ci vuole ben altro che inserire degli spot in un programma televisivo sia pure molto seguito e popolare; ci vuole davvero tanto di più che comprare degli spazi televisivi dedicati spendendo la modica cifra nientemeno che di 2,4 milioni di euro per due anni, esclusi gli annessi e controannessi e stando alle cifre dichiarate al quotidiano Domani dagli uffici del Governatorato.

Il problema è che la gente non ha cognizione del proprio passato, ha la memoria corta altrimenti capirebbe che le iniziative per la promozione turistica poste in essere dalla Regione Calabria, sono delle vere e proprie “puttanate”, come quella della tenda di pattinaggio su ghiaccio installata davanti alla stazione centrale di Milano con una spesa di 2,6 milioni di euro. E cosi va avanti la questione da quando le funzioni amministrative, di programmazione e controllo in materia di turismo sono tornate alle Regioni per effetto della legge nº 56 del 7 aprile 2014, la cosiddetta “Riforma Delrio”.

Ma prima ancora come funzionava? Nel caso della Calabria, intesa nella sua consistenza geografica, dette finalità furono individuate già a partire dagli anni Sessanta da parte dei
governi centrali succedutisi da quel periodo in avanti. La Calabria doveva puntare tutto sul turismo: usando la sua “pelle” come risorsa. Una regione votata al turismo pareva essere la luce in fondo al tunnel nel quale essa era piombata già dal secondo dopoguerra in poi. L’intervento diretto dello Stato, con l’affiancamento di grandi gruppi imprenditoriali privati per la creazione di un vero e proprio comparto produttivo basato sui flussi turistici, fu massiccio e determinante verso la fine del 1960.

Fu così che nel 1968 un altro politico cosentino, Giacomo Mancini, nel ruolo di Ministro dei lavori pubblici annunciò (e poi mantenne) che l’anno dopo sarebbe sorto a Isola Capo Rizzuto il più grosso investimento dell’industria turistico- alberghiera in Calabria. Si trattava della “Valtur” acronimo di “Valorizzazione turistica”, una azienda costituita da una quindicina di soci, tra i quali figuravano “Aci”;” Touring Club Italiano”; “Fiat”;” Finmare”; “Alitalia”; “Esso”, nonché alcune banche e istituti finanziari italiani ed esteri, tra il quali “Lambert” di Bruxelles e “Warburg” di Londra. Un villaggio turistico che a regime avrebbe raggiunto una capienza di 2400 posti letto, partendo da 600, confidando nella realizzazione di alcuni interventi di tipo infrastrutturale; dall’acquedotto sino all’adeguamento della pista del vicinissimo aeroporto S.Anna per consentire l’atterraggio di reattori del tipo “caravelle”.

Un sogno realizzato e che avrebbe avuto cinquanta anni nel 2018, se non fosse che “Valtur” è ancora irrimediabilmente in liquidazione e che la “candelina” del mezzo secolo di vita fu l’ultima da spegnere, proprio il 25 aprile del 2018, lo stesso giorno, ma cinquanta anni dopo, in cui Giacomo Mancini ne annunciò la nascita. Nel corso della sua attività il villaggio turistico di Isola Capo Rizzuto ha fatto di quella terra la capitale dell’industria turistica calabrese e dei suoi abitanti, che all’interno della struttura trovavano uno sbocco occupazionale. Dei lavoratori sindacalmente retribuiti; una vera rarità per quei luoghi dove, ai tempi del bracciantato, il rapporto tra guadagno e ore lavorate era del tutto simile a quello tra i buoi e la biada. La Valtur rappresentò dunque una sorta di rivoluzione per il territorio di Isola e non solo; una rivoluzione culturale ancorché economica e quindi un vero investimento produttivo.

L’ultima volta che il territorio della provincia di Crotone visse un evento, effimero, della portata de “L’anno che verrà” fu nell’estate del 1999 a Le Castella con l’ultima edizione (la trentesima) di Giochi Senza Frontiere, contribuita finanziariamente anche dalla Provincia, che all’epoca aveva la delega per le funzioni in materia di promozione turistica, con 300 milioni delle vecchie lire. Fu un successo senza precedenti e comunque un tentativo ben riuscito di incrementare i flussi turistici verso un territorio già ben noto al mondo e che però
non perse l’occasione, al contrario di Crotone, di incrementare il sistema ricettivo- alberghiero costruendo resorts, villaggi vacanze e alberghi, seguendo l’esempio Valtur. Nel capoluogo di provincia le cose andarono invece nel senso contrario; le strutture alberghiere chiusero non riuscendo a sopportare i lunghi inverni di stanze vuote.

Ma questa è storia vecchia. La cronaca attuale invece è quella di una città paga e giubilante per un evento che l’ha portata in tv e che l’ha fatta sentire per una volta meno sola, coesa e compatta. Il costo è stato altissimo, ma poco importa al momento. Sia la Regione che l’Ente comunale stanno spendendo e investendo davvero malissimo i propri talenti ed i tesoretti in loro possesso presto finiranno, così come stanno finendo senza dare i frutti sperati. Crotone, in particolare, di tesoretti ne ha due: quello dell’ Antica Kroton e la regalia da 17 milioni di euro da parte dell’Eni. Ma sino a oggi quello che si è visto sono solo
canzonette ed è questo che fa di Crotone la gemella di Kinshasa ai tempi di Mobutu e quindi un solo grido riecheggia per l’eternità “Cecè. Bomayè!”. Ma Alì quella volta stravinse, oggi Cecè, per parafrasare una vecchia pubblicità di “Carosello”, ha vinto la Mucca Carolina. Do you know “Mucca Carolina”?