Caro tasse, FGC: “Unical classista e buffet di appalti e speculazioni”

CARO TASSE UNICAL, FGC: “UNIVERSITÀ CLASSISTA, UNICA SOLUZIONE È LA LOTTA”

Le dichiarazioni del rettore Crisci sullo sproporzionato aumento delle tasse universitarie con la seconda rata sono la dimostrazione definitiva di quale sia il nuovo volto dell’Unical che ci ritroveremo davanti da qui ai prossimi anni: tutto va pagato, direttamente o indirettamente, anche il diritto allo studio.

Se non puoi pagare, l’università non è un posto per te. Il rettore infatti giustifica l’aumento della seconda rata affermando che sia dovuto a fini di par condicio, poiché la prima rata era stata omologata per tutti gli studenti a prescindere dal reddito, e poiché il maggiore finanziamento delle borse di studio e delle esenzioni di quest’anno adesso deve essere ripagato.

Il rettore afferma inoltre che il sensibile aumento della seconda rata riguardi solo redditi dai 46.000 euro in su, ammontando a poche centinaia di euro in più da pagare. Il rettore tenta così di eludere i principali punti critici del problema della tassazione universitaria.

Innanzitutto, perché un leggero aumento delle concessioni per il diritto allo studio, deve essere necessariamente pagato dagli altri studenti non abbienti, che però non sono riusciti a vedersi riconoscere questi diritti? La realtà del nostro ateneo è questa: delle migliaia e migliaia di studenti delle classi popolari che l’Unical vorrebbe mostrare di accogliere, soltanto una stretta minoranza riesce a vedersi garantiti i servizi che gli spettano in tema di diritto allo studio (borse, alloggi, mensa, esenzioni), mentre l’altra stragrande maggioranza è costretta a pagare per sé e per gli altri.

Questo a causa di un discutibile sistema di classificazione a scaglioni delle fasce di reddito, usato in quasi tutta Italia, che vede molti studenti apparentemente benestanti non rientrare nelle graduatorie dei benefici semplicemente perché superano di poco la soglia massima di reddito prevista; o peggio ancora, perché la pessima burocrazia dietro i processi di calcolo del reddito quest’anno ha permesso all’Unical di rifiutare volontariamente e arbitrariamente tanti studenti dalle graduatorie delle borse, pur avendo questi tutti i requisiti per rientrarvi (questa è la sintesi di ciò che è accaduto all’inizio di quest’anno con lo scandalo dei ricorsi per la presentazione delle dichiarazioni ISEE).

Ciò che Crisci dovrebbe iniziare a capire (o smettere di far finta di non capire) è che gli studenti che rientrano negli scaglioni immediatamente superiori alla soglia massima di 23.000 euro di reddito prevista per l’idoneità al diritto allo studio, non sono ricchi. Non sono neanche lontanamente benestanti.

Neppure un reddito da 46.000 euro annui può essere considerato di livello benestante, perché è una generalizzazione che non tiene conto di tanti fattori che influenzano le condizioni economiche delle famiglie, e soprattutto non considera quanto pesi su di esse il costo dell’università a prescindere dalle tasse. Se davvero gli studenti costretti a pagare le cifre esorbitanti uscite fuori con l’ultimo MAV fossero davvero nelle condizioni di finanziare l’aumento delle esenzioni, perché molti già parlano di dover abbandonare gli studi?

Perché il finanziamento del diritto allo studio deve passare per forza dagli studenti, discriminando chi può permettersi o no di continuare a studiare, mentre l’Unical non prende nessuna posizione istituzionale e politica per rivendicare l’aumento dei finanziamenti dello Stato, per rendere l’ateneo e i suoi servizi accessibili a tutti?

In questa logica, che spesso e volentieri sfocia in una guerra fra poveri tra idonei e non idonei, vediamo l’Unical inseguire il modello di università imposto dall’Unione Europea, che si sta sviluppando in tutta Italia: l’università è un’azienda, con la quale gli studenti stipulano un contratto, che vende un prodotto. Lo Stato taglia i finanziamenti e quindi l’università si rifà sugli studenti, i quali per l’ateneo sono semplici clienti che devono pagare. In questo modo viene meno il concetto di diritto allo studio, teoricamente sancito dalla Costituzione secondo la quale lo Stato dovrebbe rimuovere gli ostacoli di ordine economico per permettere a chi è in difficoltà di vedersi garantire il diritto all’istruzione.

Ma lo Stato da vent’anni taglia i finanziamenti all’istruzione per dirigere i fondi verso il pagamento degli interessi sul debito pubblico, per finanziare la ricapitalizzazione delle banche, per pagare gli incentivi alle imprese o per le spese militari. Tutto ciò che non rientra tra le necessità immediate del grande capitale non merita attenzione o finanziamenti. La mancanza di fondi agli atenei fa sì che oggi a dover sostenere le università sono gli studenti con le loro famiglie, e chi non può permetterselo è costretto a lasciare gli studi.

L’università oggi in Italia è un’università di classe, costruita ad hoc per la minoranza di persone che possono pagarla e i dati sul calo delle immatricolazioni e sulla composizione sociale di chi abbandona ne sono la dimostrazione. L’unica via per uscire da questa condizione di selezione di classe, è la lotta organizzata degli studenti delle classi popolari, inclusi sia gli studenti costretti a sopperire coi loro pochi soldi i fondi che non arrivano dallo Stato, sia gli studenti idonei che ogni giorno devono abitare in case fatiscenti o mangiare il cibo di dubbia genuinità offerto da La Cascina.

Infatti, è discutibile il fatto che l’Ateneo investa finanziamenti così cospicui al diritto allo studio, tanto da dover alzare notevolmente la seconda rata delle tasse, visto che l’aumento di esenti tanto paventato dal rettore non consiste in altro se non un lieve aumento degli idonei alla borsa di studio o all’esenzione dalle tasse, a fronte però di un netto calo della qualità dei servizi erogati, della vivibilità degli alloggi universitari (tantissimi studenti sono stati mandati in case inagibili e molte di quelle agibili presentano guasti gravi), della disponibilità e genuinità del cibo delle mense; il tutto mentre l’Unical è diventato il buffet degli appalti e della speculazione: milioni di euro di finanziamenti vengono destinati alla speculazione edilizia, ad esempio gli alloggi completati negli ultimi anni che dopo poco tempo presentano già gravi danni o in fase di costruzione e abbandonati da anni, oppure completati ma chiusi e in stato di abbandono.

Si veda anche il caso del progetto del grande parcheggio sotterraneo sotto le pensiline, opera di speculazione approvata nell’ultimo CDA con l’ex rettore Latorre e collegato al progetto della metro leggera a Cosenza; si veda anche il nuovo locale in fase di costruzione nel parcheggio antistante il Centro Residenziale, o la nuova struttura del Centro Residenziale stesso, entrambe opere inutili considerando che nell’Ateneo ci sono già tanti punti di ristoro e il Centro Residenziale disponeva già di una struttura perfettamente funzionante, che adesso è abbandonata.

Senza parlare del terribile monopolio del Consorzio Autolinee per il servizio dei trasporti, ad oggi inefficiente e costoso, ma sicuramente remunerativo per questa azienda che da anni si vede garantire il monopolio del servizio all’università. Non sarà che le priorità del rettorato in questo momento siano garantire questo genere di giri affaristici, piuttosto che lavorare sulla vivibilità e l’accessibilità del campus, che risulta essere sempre più invivibile e sempre più abbandonato dagli studenti?

È tempo di tornare a dire le cose come stanno: l’università è un diritto sociale fondamentale e in quanto tale dovrebbe essere gratuita, di qualità, accessibile a tutti sulla base dei finanziamenti adeguati dello Stato pesati in miliardi, non sulla base della tassazione. L’unica via per perseguire questo obiettivo è la mobilitazione e la lotta.

Fronte della Gioventù Comunista