Carrozzoni d’Italia. La Calabria batte tutti: 443 dipendenti per 32 eletti in Consiglio regionale!

(Sergio Rizzo – Milano Finanza) – Dietro ogni angolo appare una sorpresa. In Calabria c’è il consiglio regionale con il maggior numero di dipendenti fra tutti i consigli regionali: 417 per 32 eletti. È come se alla Camera dei Deputati, dove gli onorevoli hanno di sicuro incombenze ben più gravose dei consiglieri regionali calabresi, i dipendenti fossero 5.212 anziché gli attuali 1.021.

Ciononostante il medesimo consiglio regionale ha sentito il bisogno di avere una società controllata: caso più unico che raro per una assemblea elettiva. La società si chiama Portanova spa. E che cosa fa? «Ha per scopo la gestione di servizi esternalizzati e pubblici di competenza del consiglio regionale della Calabria e l’incremento occupazionale nell’ambito dello stesso territorio», dice il sito ufficiale.

Ma l’unica cosa che si può toccare con mano è l’incremento occupazionale: 26 posti di lavoro. Che, sommati ai 417 di cui sopra, fa 443. […]

Ma succede ovunque e soprattutto nelle Regioni meridionali, dove la mostruosa realtà delle partecipate pubbliche viene usata principalmente per tale scopo: creare posti di lavoro. In Sicilia, cui l’autonomia dello statuto riserva competenze anche in materia dei beni culturali, c’è la Sas, Servizi Ausiliari Sicilia, che fornisce personale anche per quello. E senza risparmi. I dipendenti erano 1.729, ma adesso ha assorbito anche il personale di un’altra società regionale, la Resais, che in realtà pagava solo gli stipendi agli ex dipendenti di alcune società regionali decotte e chiuse. Però impossibili da licenziare. E ora i dipendenti della Sas sono oltre 2.100. Un’armata. Ma destinata a ingrossarsi ancora, a leggere gli atti della società.

Il nuovo presidente, nominato dalla giunta regionale attualmente guidata dall’ex presidente forzista del Senato Renato Schifani, risponde al nome di Mauro Pantò. Farmacista e poi imprenditore, si è candidato alle ultime regionali nelle liste della Dc siciliana ma è arrivato secondo. Meritandosi comunque la nomina al vertice della Sas, sponsorizzato da Totò Cuffaro. E non è un incarico simbolico, visto che fra le sue deleghe ci sono la selezione e l’assunzione del personale. Lo spettacolo è assicurato.

Questo dettaglio chiarisce ancor più la ragione dell’esistenza in vita di simili società pubbliche e perché la politica non le vuole mollare. È un sistema che da anni si tenta inutilmente di bonificare. Non solo perché fonte di sprechi inenarrabili: nel 2015, prima della legge di riordino approvata dal Parlamento l’anno seguente che ha imposto piani di riorganizzazione e chiusure a 360°, si calcolava che gli oltre 26 mila amministratori delle 8 mila e passa società pubbliche costassero ai contribuenti fino a 600 milioni l’anno.

Il fatto è che quella legge del 2016 non ha prodotto i risultati sperati, se è vero che da 8 mila si è scesi, secondo l’Istat, solo fino a 6.085. Anzi. Proprio dopo il 2016 si sono verificati casi decisamente discutibili alla luce di quanto era previsto dalla legge. Il provvedimento stabiliva, per dirne una, il divieto a tenere in vita e costituire società che avessero un numero di dipendenti inferiore a quello degli amministratori. Erano numerose e la tagliola significava eliminare le scatole vuote utilizzate unicamente per fabbricare qualche strapuntino.

Ebbene, la viglia di Natale 2020 la Città Metropolitana di Torino, presieduta dalla sindaca del capoluogo Chiara Appendino, delibera la costituzione di una nuova società per azioni controllata dalla ex Provincia. Si chiama Metro Holding Torino e serve a gestire le partecipazioni societarie della Città Metropolitana. Una funzione originale, considerando che la ex Provincia di Torino ha in portafoglio tutte quote di minoranza, dal 5% di 5TR (servizi di mobilità) al 17,65% di Ativa (concessionaria dell’autostrada che collega il capoluogo piemontese e con la Valle d’Aosta passando per Ivrea).

Lo Stato centrale continua a rappresentare un ostacolo non irrilevante. Tuttavia le resistenze più forti sono quelle di enti locali e Regioni. Il motivo? La stragrande maggioranza di quelle società è nata negli anni per aggirare i blocchi alle assunzioni alimentando così i circuiti clientelari. E di fronte alla palese dimostrazione di inutilità si cerca di evitare in ogni modo la chiusura che comporterebbe i licenziamenti. Magari cambiando missione, come capita spesso.

Una tecnica messa in atto ovunque con abilità sorprendente. Risorse per Roma, ad esempio, era una società costituita per la consulenza alle strutture del Campidoglio. Ma quando è apparso evidente che non serviva allo scopo si è dirottata sull’esame delle pratiche di condono edilizio. E ora, con ben 507 dipendenti, si appresta ad assumerne altri 22. Recentemente è stato nominato amministratore unico Albino Ruberti, ex capo di gabinetto del sindaco Roberto Gualtieri e dell’ex presidente della Regione nonché ex segretario del Pd Nicola Zingaretti.

Ancor più eclatante è il caso di Capitale Lavoro, società della Provincia di Roma costituita vent’anni fa, quand’era presidente l’ex missino Silvano Moffa. Era una specie di ufficio di collocamento provinciale con 200 dipendenti. Finché nel 2018, dopo aver foraggiato tutta quella gente per più di tre lustri, si è deciso di trasferire a un’altra società della Regione Lazio il ramo d’azienda di Capitale Lavoro che faceva da supporto ai centri per l’impiego. Numero dipendenti: 167.

La società incorporante si chiama Laziocrea. E qui si apre un altro interrogativo. Perché una Regione che dispone di 3.640 addetti deve possedere al 100% una società che ha la funzione di «supporto amministrativo» agli uffici regionali e che conta – tenetevi forte – altri 1.677 dipendenti? Come mai quell’esercito di personale non figura nei ranghi regionali ma in una controllata? La domanda non ha risposta logica, se è vero che Laziocrea ha funzioni del tutto analoghe a quelle degli uffici dell’ente. A meno che, trattandosi di una società di capitali, non sia uno stratagemma per assumere direttamente evitando le lungaggini dei concorsi pubblici…

A ogni buon conto, subisce anche questa il destino di tutte le società pubbliche. Quando cambia il potere politico, cambiano i vertici. Ecco allora che a luglio il presidente della Regione Francesco Rocca ha nominato presidente Marco Buttarelli, ex capo di gabinetto dell’ex leader della destra Francesco Storace, affiancandolo con altri due fedeli del centrodestra. E Capitale Lavoro? A quel punto e avendo perso insieme a 167 dipendenti anche la funzione per cui era nata – penserete – la società andrebbe mandata in pensione. Già.

Ma che fare del personale rimasto? Perché al 30 giugno 2023 ne figuravano a busta paga ancora 275. Così a settembre 2022 in cda è stato rinnovato e si è trovato un posto per l’ex consigliera comunale del Pd Ilaria Piccolo.

Idem capita nelle altre Regioni. In Campania, per esempio, c’era una società battezzata con il suggestivo nome di Liternum Sviluppo. Oggetti sociali: «aumentare efficienza e competitività, creare opportunità urbane e rurali, attrarre investimenti dall’Italia e dall’estero» nell’area giuglianese, in provincia di Napoli. Ma è sufficiente fare un giro da quelle parti per verificare il fallimento di quel compito. Una pietosa sepoltura sarebbe stata la degna conclusione dell’avventura. Invece si è modificata semplicemente la missione.

La società si chiama adesso Ar.Me.Na., ovvero Agenzia di Sviluppo dell’Area Metropolitana di Napoli. Codice Ateco 41.2: costruzione di edifici residenziali e non. Fra i compiti c’è la verifica delle caldaie a gas nei comuni dell’area napoletana con meno di 40 mila abitanti. Legale rappresentante da maggio scorso è Gabriele Mundo, funzionario dei Beni Culturali orgogliosamente socialdemocratico, segretario particolare del consigliere regionale di Forza Italia Ermanno Russo e a sua volta ex consigliere comunale prima con il Psdi, quindi con il Pdl. Alle sue dipendenze ne ha 315.