Catanzaro. Bertolone, Renzo e le curie massomafiose

Cosa ha intimorito l’ormai vescovo emerito di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone? Perché nel palazzo vescovile le operazioni di trasloco erano già in atto alcuni giorni prima dell’annuncio delle sue dimissioni? Cosa e chi hanno consigliato o imposto al vescovo Bertolone di togliere il disturbo in grande fretta?

Sono queste le domande che si ricorrono nella città di Catanzaro dopo la “rinuncia” del vescovo massomafioso Vincenzo Bertolone. Non è un fatto di curiosità paesana, nemmeno un sentimento del cuore perché ormai da tempo il vescovo non era una figura amata nella città capoluogo di regione, con l’esclusione della sua corte di adoratori petulanti, dei soliti politici in affari con la curia, dei figli prediletti del Vangelo portatori di grembiuli e cappucci e dei “vaticanisti” improvvisati pescivendoli della notizia di regime.

Nessuno mai potrà dare una risposta compiuta perché la vicenda resta congelata e nascosta nei cassetti dei Palazzi Apostolici, quell’oltre Tevere dove alcune relazioni sono implose non garantendo più il vescovo Bertolone, anche perché il rinnovamento imposto da Papa Francesco procede a tappe forzate, escludendo con la “delicatezza” del protocollo di stato soggetti che hanno caratteristiche oscillanti in tema di moralità e di fede. C’è nei fatti ultimi e peraltro coincidenti nell’opzione delle dimissioni improvvise, i “martiri a secco”, un riesame delle cosiddette relazioni diplomatiche fra la Chiesa calabrese, le sue curie indagabili e le diverse Procure della Repubblica, dove quella guidata da Nicola Gratteri ha la competenza d’indagine in quel territorio che maggiormente si è distinto in termini di fede ed apostolato colluso con la massomafia.

Non è un fatto di veleni e sospetti, come qualcuno cerca di mettere in campo solo per derubricare a complotto fatti ed avvenimenti ormai diventati di dominio pubblico, quello che sembrava non interessare gli attori della narrazione di un romanzo criminale curiale che si sentivano illuminati dal Signore e protetti da uns impunità consacrata. Ecco perché il sistema Catanzaro è diventato perfettamente sovrapponibile al sistema Mileto, rappresentato da pezzi di chiesa votati non certamente all’insegnamento del Vangelo, ma ad una rappresentazione miserabile e terrena dei vizi umani  e certamente non meritevole di essere raccontata.

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta. (Giovanni 1, 1-5)

La storia è parallela, è il misfatto di alcune curie, come quella di Catanzaro e di Mileto che sono state la Chiesa nella Chiesa. Il crocevia dei fanatici, la crociata dei balordi, di prelati procacciatori d’affari con le tasche piene di soldi di dubbia provenienza, dove si pratica l’esercizio dell’ostia intinta nell’arsenico, dove i vescovi siedono all’Oriente in buona compagnia di grembiuli e cappucci delle diverse obbedienze, ma soprattutto dove pascolano indisturbati preti dalla vocazione affaristica: la falange ristretta del comando e del ricatto curiale con spargimento di veleni profumati di incenso. E’ questo il quadro rispetto al quale si è mossa la diplomazia parallela che ha sottoscritto un salvacondotto al vescovo massomafioso Vincenzo Bertolone, che se non ha prodotto il vero pentimento, ha suggerito ed imposto l’esilio immediato. Promoveatur ut amoveatur.

In molti hanno cercato di dare una lettura in bonis animis ipotizzando che le dimissioni, ma diciamolo pure il licenziamento del vescovo Vincenzo Bertolone, sia ascrivibile alla vicenda del Movimento Apostolico, il cui scioglimento è stato decretato da una sentenza inappellabile firmata da Papa Francesco. E’ questa la teoria degli improbabili “vaticanisti” catanzaresi, che peraltro sono coscienti nel segreto delle redazioni che esistono e resistono altre ipotesi, forse ben più concrete e pericolose che hanno portato all’azzeramento del potente vescovo di Catanzaro-Squillace. La verità, come al solito, si perde nei meandri del giornalismo appecoronato della stampa di regime che non si sforza nemmeno di indagare, mentre tutti gli elementi ormai da tempo cadono davanti ai loro piedi come in un domino e la storia controversa della Chiesa calabrese si cerca di chiuderla, mettendo a posto i pannicelli caldi. Tutto viene ricondotto, così come fu fatto per la vicenda del vescovo di Mileto, monsignor Luigi Renzo, ad ipotetici problemi di salute o incomprensioni con strutture ecclesiastiche o fondazioni, entrate in conflitto con i poteri della curia.

La storia ritorna sempre al punto di partenza e nel caso Catanzaro non può essere semplificata, quando proprio all’interno della curia le virtù teologali erano diventate il testo di una canzone neomelodica, tipicamente riconosciuta come la colonna sonora di ambienti malavitosi, quelli che si semplificano con il termine di massomafia.

Questo è il clima di alcune curie calabresi, dove la delazione e l’invidia alberga e si moltiplica proprio fra le tonache, arrivando a produrre lettere di stampo mafioso, come quella arrivataci a firma di alcuni “preti” della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea.

Il testo è emblematico tanto da sembrare una spy-story, narra dell’umiliazione subita dal vescovo Luigi Renzo per la questione della Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime, per esemplificare la Fondazione Natuzza. Il gruppo di presbiteri della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea che scrivono nell’anonimato della parola ed a questo punto della coscienza affermano: «Siamo un gruppo di presbiteri della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea che in coscienza sentono il dovere di denunciare lo scempio che si sta perpetrando nella nostra diocesi, dove sussiste la Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime (Fondazione voluta dalla Signora Natuzza Evolo). La nostra diocesi, con in testa il nostro Vescovo, Mons. Luigi Renzo è stata umiliata, calpestata, denigrata dall’arroganza perpetrata da alcuni loschi soggetti (vicini ad ambienti mafiosi, e che tutti voi a Roma conoscete bene) che si sono sentiti forti e protetti da alcuni alti Prelati a Roma. Per non farla troppo lunga desideriamo denunciare la rete che ha portato a tutto ciò. La mente di tutto è Padre Cordiano Michele, assistito dall’anziano sacerdote Pasquale Barone. Il P. Cordiano ha trovato grazia presso S.E. Mons. Giacomo Morandi (segretario della Congregazione per la Fede) il quale è stato avvicinato attraverso la persona di P. Marco Ivan Rupnik (colui che ha realizzato il maestoso mosaico all’interno della Monumentale Chiesa di Paravati che ancora deve essere inaugurata) e il Centro Aletti a lui collegato.

Il Vescovo Morandi è riuscito non solo a ribaltare, in modo misterioso, la posizione della Congregazione per la Fede sulla Signora Natuzza, ma, in modo altrettanto misterioso per non dire altro, è riuscito a far cambiare rotta di tutta la Santa Sede che all’improvviso si è schierata completamente a favore della Fondazione e a difesa di P. Cordiano. Come ha fatto a fare tutto ciò? Molto semplice. Il Vescovo Morandi è legato vitalmente al Cardinale Beniamino Stella (prefetto della Congregazione per il Clero), il quale in un attimo è passato dall’essere estremo difensore della diocesi e del Vescovo ad essere il suo più acerrimo nemico e carnefice! Certamente il Vescovo Morandi sarà stato molto convincente, anche perché è entrata in gioco anche l’avvocato Alessia Gullo, donna che entra ed esce quando vuole in alcune Congregazioni e Dicasteri Romani, in particolare alla Congregazione per il Clero. Di fatto da quello che si conosce la Gullo, P. Cordiano, il Dott. Anastasi, sono diventati intimi amici con il Cardinale Stella e il suo fidato e servizievole sottosegretario Mons. Andrea Ripa.

Tutti i testi che sono stati imposti al Vescovo, pena la dimissione immediata (che metodi misericordiosi), sono stati preparati dalla Gullo, dal P. Cordiano e dal Card. Stella insieme a Mons. Ripa. La Diocesi, il Vescovo e il presbiterio non sono stati minimamente calcolati. Il Cardinale Stella, il quale ripetiamo ha cambiato rotta in modo improvviso, ovviamente ha influenzato la Congregazione per i Vescovi con a Capo il Cardinale Ouellet, sperando che non lo abbia fatto anche con il Santo Padre. Una domanda per concludere: ma tutto questo è normale? La Chiesa combatte o non combatte gli ambienti mafiosi? Se così non fosse è inutile che a noi preti venite a raccontare tante favolette quando poi voi agite secondo uno stile che è prettamente mafioso!». Questo il testo integrale ed ogni parola appare superflua, salvo non riflettere sul marcio che si annida in alcune curie calabresi, mentre in queste ore proprio la CEC (Conferenza Episcopale Calabra), decapitata del suo presidente Vincenzo Bertolone, emana un documento intitolato “No ad ogni forma di mafie”.

«Possiamo fondatamente affermare che da anni le Chiese in Calabria hanno preso in modo chiaro, fermo e risoluto le distanze da qualunque comportamento di tipo mafioso», si legge nelle linee guida del documento sottoscritto dai vescovi calabresi che fanno riferimento alla «zizzania della mafiosità e delle mafie che purtroppo risultano ancora ben organizzate e operanti sia dentro, sia fuori il territorio regionale».

Sarà certamente un caso che il documento redatto dalla CEC venga partorito a distanza di appena due giorni dall’esilio di Bertolone. Un caso certamente, una coincidenza ed una profezia. Ma c’è da domandarsi se le mafie che si dice siano fuori da decenni dal solco della Chiesa in Calabria, sono le stesse che invece si moltiplicano e si radicalizzano proprio dentro il perimetro delle curie e quindi della stessa Chiesa calabrese, protette, sorrette e nascoste proprio da quei vescovi dalla connotazione massomafiosa, le cui teste sono cadute sotto la scure della riforma di Papa Francesco. Non è solo il seme della zizzania mafiosa che deve tenere alta l’attenzione nelle Chiese di Calabria, ma anche l’inconciliabilità fra Fede e massoneria, quella prescrizione insindacabile che in Calabria ed in molte curie non ha trovato accoglienza, perché perimetri di extraterritorialità delle norme della Santa Sede, ma anche della trasparenza e della moralità.

Ritorna in evidenza l’aneddoto proprio raccontato dal procuratore Nicola Gratteri sui rapporti fra Chiesa e ‘ndrangheta in Calabria: «Spesso un vescovo mi chiedeva il motivo dei numerosi arresti. Io gli risposi chiedendogli, a mia volta, il motivo delle mangiate che spesso faceva a casa del capo-mafia. “Vado a recuperare la pecorella smarrita”, mi disse. Io gli risposi che se la pecorella non si ravvede mai, l’effetto di queste visite è una legittimazione delle sue azioni. Forse sarebbe stato più opportuno recarsi a casa di un contadino. Da quel momento in poi, il vescovo non è più venuto a trovarmi».

Ecco perché semplificare non è mai un servizio autentico a difesa della verità. La scomposizione del quadro è attività più impegnativa, soprattutto a Catanzaro dove l’esilio imposto al vescovo Vincenzo Bertolone non nasce e muore sulle ceneri del Movimento Apostolico, bensì si incrocia ad altri fatti e misfatti consumati e colpevolmente protetti, dove la Misericordia e la Carità sono diventate lupara e pallettoni, mietendo vittime fatte anche di carne e sangue. Cercheremo, per quanto è possibile, di fare un’analisi a freddo di altre vicende conosciute ed in parte narrate, guardando da un’altra angolazione alla luce della riforma sulle associazioni di fedeli, promulgata da Papa Francesco, che sarà un altro evento calamitoso capace di frantumare incrostazioni e complicità radicate nel tempo, sempre all’interno di una curia dove volano gli avvoltoi con la tonaca, protetti dai grembiuli e sodali di un imprenditoria senza scrupoli, prettamente massomafiosa. E’ questo il quadro di riferimento e la continuazione di una narrazione fatta di crimini e di una Misericordia lanciata alle ortiche.

E’ finito il tempo degli accordi massomafiosi, dei colloqui segreti nascosti dietro gli altari, degli incontri spregiudicati e delle cordate politico-imprenditoriali protetti dagli emblemi vescovili. E’ iniziato il tempo del disseppellimento del segreto e della preghiera come espiazione della colpa.

Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose:  «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa questo e vivrai». (Luca 10,25-28)