Ciao Gianni Di Marzio, ecco l’intervista in cui raccontò a Corbo “i grandi campioni scoperti e perduti”

Ottantadue anni. Gianni Di Marzio, scomparso il 22 gennaio a Padova, li ha spesi quasi tutti nel sogno del suo Napoli. Perché era lui stesso Napoli. Amori e dolori. Intuitivo e brillante, pronto all’avventura e al successo com’erano “i ragazzi di Viale Elena”, nel mito del cantautore Alan Sorrenti, il giovane Di Marzio non gioca nella squadra della sua città per un infortunio al ginocchio, si ferma alla Flegrea campione d’Italia juniors, un formidabile vivaio creato da Nicola D’Alessio, rampa di lancio per Cordova e Massa. Nel Napoli entra però nel 1970 come allenatore della Primavera, vi ritorna nel 1977 per guidare la prima squadra al quino posto, qualificazione Uefa e finale di Coppa Italia con l’Inter.

In quei sette anni viene descritto come “l’architetto dell’impossibile”. Vince quasi sempre: Nocerina in IV Serie, Juve Stabia in C, è con il Brindisi al secondo posto in serie B quando la sua Mini impazzisce sul ghiaccio della Napoli-Salerno accompagnava a Nocera la moglie Tucci, interprete parlamentare. Rischia la vita, un chirurgo a Vicenza gli ricostruisce il volto, ma Di Marzio bendato torna subito in panchina.

Dà inizio alla rifondazione tecnica del Napoli con il direttore Sportivo Giorgio Vitali. È esonerato nell’anno successivo (ottobre 1978) dopo una vittoria ed una sconfitta. Corrado Ferlaino non resiste alla contestazione e dei tifosi che invocano il ritorno di Vinicio. Di Marzio riprende la sua carriera con una serie di promozioni in serie A (Catanzaro, Catania, Genoa) e importanti salvezze (Palermo) fino al 1992. Si rivela un prezioso scopritore di talenti, segnalando invano Maradona al Napoli e Ronaldo alla Juventus. Come lo stesso Di Marzio racconta in questo reportage di Antonio Corbo da Padova per il “Venerdì” di Repubblica (13 luglio 2018)

di Antonio Corbo

Fonte: Repubblica, 13 luglio 2018

13 luglio 2018. Padova. Snello e felice. La foto di un Maradona di quaranta chili fa domina la stanza carica di bandiere, coppe, medaglie. L’archivio di Gianni Di Marzio è la galleria degli assi perduti dal calcio italiano. “Diego poteva essere del Napoli nel 1978 per 300 mila dollari. È arrivato sei anni dopo per 13 miliardi e mezzo di lire”. C’è più orgoglio che sarcasmo nelle parole di Di Marzio: “Quasi nessuno sa che, con l’aiuto della madre, portai anche Cristiano Ronaldo alla Juventus. Ma un cileno mandò in fumo tutto”.

Siamo tra il Duomo e piazza delle Erbe, nel centro di Padova. Di Marzio, l’allenatore napoletano delle promozioni impossibili, in serie A con Catanzaro, Genoa e Napoli, ha raccolto in una sala che sembra un museo un pezzo di storia della sua vita “segreta”, quella lontano dal campo. Dal 2002 al 2007 ha fatto il detective alla ricerca di futuri campioni per conto della Juventus, poi è stato consulente di Venezia e Palermo per il suo amico presidente Maurizio Zamparini, lavora da tempo per gli inglesi del Queen’s Park Rangers e i norvegesi del Tromso. Tesserino con data 1° aprile 1964, a 24 anni è il più giovane allenatore federale.

Primato che detiene ancora. In Campania guida di nascosto due squadre dilettanti, Interorafi e Interpianurese, nello stesso anno. È bravo, forse troppo. Non può scegliere una panchina tra le due, deve nascondersi. “Scappai a Capri” racconta. Dai dilettanti risale la corrente in fretta. Nocerina, Juve Stabia, Brindisi, Catanzaro, e su su al Napoli, qualificato in Coppa Uefa, quindi Genoa, Padova, Palermo, fino a perdere il conto delle squadre. “Nel 2002 Luciano Moggi mi disse: “Mi serve uno che va a scoprire campioni, tu hai l’occhio lungo, non vorrai mica invecchiare in panchina. Guarda che ti pago bene”. Ho accettato e non mi sono mai pentito. Per scovare talenti occorrono astuzia, qualche sotterfugio, e molte bugie per depistare gli altri”.

Di Marzio sostiene di aver scoperto Maradona nel 1978, quando era ancora allenatore del Napoli. “Andai in Argentina per i Mondiali. Eravamo Trapattoni, Radice ed io. Quindi: Juve, Torino e Napoli. Un allenatore che non gira sbaglia e io frequentavo più i giornalisti che i miei colleghi. Un tassista mi disse che Menotti, il commissario tecnico dell’Argentina, non aveva convocato
un prodigio. Non dissi niente per evitare che i giornalisti che erano con me scrivessero qualcosa. Con una scusa diedi però un appuntamento al tassista per farmi portare da solo a Villa Fiorito, la città dove stava Maradona”.

Quel giorno rimane scolpito nella memoria di Di Marzio, che aggiunge dettagli su dettagli. “Ricordo la famiglia numerosa di Maradona e letti da tutte le parti. L’Argentinos Juniors, la sua squadra, era una polisportiva guidata da un ingegnere, Settimio Aloisio di Aiello Calabro. Un tipo alla Richard Gere. Per valutare le reali capacità di Diego Armando gli chiedo di organizzare una partita, ma nel frattempo arrivano anche tre giornalisti italiani, gli stessi che erano con me in taxi. Diego entra in campo tardi, ma in dieci minuti fa tre gol. Un fenomeno. Fingo di andare in bagno, mi allontano con Aloisio e negli spogliatoi lo imploro: deve far uscire quel diavolo di ragazzo dal campo. Maradona arriva ed io gli dico subito che posso cambiare la sua vita. Ai giornalisti faccio intendere che non mi interessa: “Ha il culo basso”.

Il giorno dopo vado a casa sua, lo porto al ristorante con me per una settimana, Diego si fida e mi firma un impegno, il club è d’accordo su 300 mila dollari. Torno in Italia e gli spedisco una valigiona di biancheria e coperte, roba che piace alla famiglia”. Affare concluso? Macché. Maradona l’anno successivo è al Barcellona. “Fu un grosso errore di Ferlaino. Il presidente del Napoli non voleva rischiare. Per fortuna Maradona non ha mai di menticato quanto mi sono speso per lui e dice a tutti che sono stato il primo italiano a credere in lui”.

Ma questa è storia passata. Più recentemente la grande scommessa di Di Marzio è stata portare Cristiano Ronaldo alla Juventus, quando le sue quotazioni non erano ancora quelle, stratosferiche, di cui si è parlato nelle ultime settimane: 30 milioni a stagione al calciatore più un super bonus al Real Madrid per lasciarlo andare via. “E pensare che la Juve poteva prenderlo per molto meno e cambiare forse la storia del calcio italiano”.

Di questa vicenda Di Marzio ha già parlato con Repubblica nel 2016, ma oggi la arricchi sce di particolari. Tira fuori le carte: “Può anche fare una fotocopia”. Racconta di aver visto il campione portoghese in una partita tra Sporting Lisbona e Belenenses. Era il 20 ottobre 2002. Ronaldo ha 17 anni e gioca con la maglia numero 28. È ancora presto per la numero 7 che lo farà diventare CR7.

Sarà il manager sir Alex Ferguson a offrirgliela, sulla scia degli altri campioni del Manchester United: George Best, Éric Cantona, David Beckham. “La Juve” ricorda Di Marzio “mi mandò a vedere un altro giocatore, Ricardo Quaresma, che entrò in campo negli ultimi minuti. Durante la partita non potevo non accorgermi di Ronaldo. Tornato a casa scrissi a Franco Ceravolo, coordinatore tecnico della Juve: “Vorrei soffermarmi su questo ragazzo, credo portoghese, quindi comunitario. È la sua terza apparizione. Esterno di centrocampo a sinistra, è una rivelazione in quel ruolo. Molto dotato fisicamente, formidabile tecnicamente in velocità nel saltare l’avversario e da fermo ancora più forte, va facilmente al cross, converge al centro dove punta sempre alla porta. Grandi margini di miglioramento””.

E la Juventus perché non lo chiama a Torino? “La Juve lo voleva, eccome. Ma il cileno Marcelo Salas, che doveva essere scambiato con Ronaldo, decise di tornare nel suo Paese e fece saltare tutto”. Conferma al telefono la trattativa anche Luciano Moggi, allora direttore generale della Juve: “Riuscii a far venire Ronaldo a Torino di nascosto per le visite mediche. Lo presi, certo che lo presi, per Salas e tre milioni di euro allo Sporting Lisbona. Salas però volle tornare in Cile, saltò tutto l’ultimo giorno di mercato, e arrivò Ferguson con un’offerta pazzesca”.

Nell’agosto 2003, il Manchester United sborsa per Ronaldo 12 milioni di sterline. Racconta Di Marzio: “A convincere Ronaldo mi aveva aiutato il bancario portoghese Jorge Mendes, allora quasi sconosciuto e ora il numero uno al mon do tra i procuratori del calcio. Ma so prattutto la madre del calciatore”. Da ottobre 2002 al mercato estivo del 2003 Di Marzio aveva mantenuto i contatti proprio con Maria Dolores dos Santos Aveiro. “Le parlavo di Torino, dell’Italia, della Juve. In tribuna mi aveva colpito quella bella signora che tifava forte per Cristiano. Mi ero avvicinato e mi aveva detto con dolcezza: “È mio figlio”. Era nata subito un’amicizia”.

Con il successo planetario di Cristiano Ronaldo anche Dolores Aveiro è divenuta celebre. Nel 2014 ha anche scritto un’autobiografia, Mãe Coragem, in cui rivela di aver più volte tentato l’aborto per evitare la quarta gravidanza. Dolores prima di ogni partita accende un cero alla Madonna di Funchal. Chissà se l’aveva fatto anche lo scorso 30 giugno, quando il Portogallo, sconfitto dall’Uruguay, è stato eliminato dai Mondiali. Maradona, Ronaldo, ma anche Messi. “In quel caso non sono riuscito a convincere il padre, devoto al Barcellona perché un medico del club aveva aiutato Lionel dodicenne a diventare più alto. Lo vidi che aveva 17 anni ed era ancora possibile prenderlo”. Di Marzio fa altri nomi, bisogna fermarlo, sono infinite le memorie dello 007 del calcio. “Nel mondo siamo in tanti, ma in Italia è come se non servisse chi scopre talenti quando costano poco. Molti presidenti preferiscono trattare solo con i procuratori famosi, quando ci sono grosse cifre in ballo. Il calcio italiano ha molti debiti ma forse non vuole risparmiare”. La conclusione è una frustata. “Nel tempo cifre e valore tecnico diventano altissimi, e i campioni vanno in Inghilterra, Spagna o Francia. I fuoriclasse l’Italia li vede solo in tv”.