Ciao Gianni Di Marzio. Le vittorie al Sud, le “scoperte” di Maradona e CR7. Storia di un innamorato del calcio (di Furio Zara)

di Furio Zara

Fonte: Gazzetta dello Sport

Gianni Di Marzio. Local e global allo stesso tempo, storia di un uomo perbene che portò in Serie A due squadre del Sud e che può vantare una primogenitura non solo su Maradona ma persino su CR7

Nel percorso umano e professionale di Gianni Di Marzio – scomparso ieri a 82 anni – vi è riassunta una tipologia preziosa, così rara nel variegato mondo degli uomini di calcio. Di Marzio era – per sua natura – provinciale e cosmopolita. Allo stesso tempo local e global, a chilometro zero eppure con una finestra aperta sul mondo. A conferma di ciò in queste ore di cordoglio – sincero e affettuoso, perché GDM era davvero una persona perbene – nella stessa riga si celebrano la promozione in A col Catanzaro e la scoperta del dio del calcio – Diego Armando Maradona – di nuovo la A con il Catania e la certificazione di una nuova epifania, quella di Cristiano Ronaldo, purché anche con CR7 Di Marzio può vantare una primogenitura.

ANTICIPATORE DEI TEMPI

Alla passione innata e alla competenza maturata negli anni, l’uomo sapeva unire una curiosità straordinaria, quella curiosità che tutto muove quando si vivono le stagioni dell’età più bella e che più tardi – quando si invecchia – mantiene giovani lo spirito. Fino all’ultimo era informato su tutto il pallone che rotola da un capo all’altro del mondo, dal Boca Juniors al Cittadella, niente e nessuno gli sfuggiva. Nello snodo della sua carriera vi si riconosce una notevole capacità di anticipare i tempi e le mode. E’ stato – Di Marzio – uno dei primi allenatori a collaborare – in attività, erano gli anni ’70 – con i giornali (teneva una rubrica sulla “Unità”) e a frequentare assiduamente i salotti televisivi. Non era affatto così comune, all’epoca. A Lecce faceva allenare i suoi giocatori con le cuffie del walkman alle orecchie. La musica, per ognuno di loro, la sceglieva lui, a seconda del carattere dei suoi ragazzi. Ogni tanto registrava personalmente, tra una canzone e l’altra, la propria voce, così da dare consigli tecnici, tattici e motivazionali in diretta: era un allenatore-drone, senza saperlo.

Ai tempi di Napoli, invece, aveva per portiere Massimo Mattolini, bravo ma incline alla distrazione. In partita, sovente guardava le nuvole. Un giorno Di Marzio accreditò un suo amico come fotografo, gli chiese di appostarsi dietro la porta di Mattolini e di tenerlo sempre all’erta, caricandolo e incitandolo. Funzionò: Mattolini quella domenica parò un rigore decisivo.

TUTTI AVANTI, ANZI NO: TUTTI INDIETRO

Napoletano di Mergellina, classe 1940, cresciuto in tempo di guerra, Di Marzio era diventato allenatore giovanissimo, aveva preso il patentino a 24 anni dopo una carriera – giocava regista – interrotta per infortunio. In un anno in cui in Italia e nel mondo soffiava il vento della rivoluzione, il 1968, aveva allenato l’Internapoli in Serie C: prima squadra, da subentrante, imberbe stagista chiamato in cattedra, c’era Giorgio Chinaglia si suoi ordini. Se la cavò, iniziò lì la sua storia.

Nel ripercorrere la carriera, balza agli occhi un’evidenza: in più di vent’anni Di Marzio ha allenato praticamente sempre al Sud, a parte un paio di eccezioni, Genova e l’amatissima Padova, dove da tempo si era stabilito. Per anni è stato definito un difensivista, in realtà sapeva essere concreto senza ergersi a profeta. Nei racconti dei suoi ex giocatori, Di Marzio era l’allenatore che – in piedi davanti alla panchina – si sbracciava con il braccio sinistro chiedendo alla squadra di andare all’attacco, mentre con il destro – in senso opposto – orinava ai suoi di arretrare.

Stelle al merito le due promozioni in A. La prima col Catanzaro nel 1976: Luigi Maldera e Silipo, Pellizzaro e Palanca, Serie A agguantata all’ultima giornata, a Reggio Emilia, gol di Improta allo scadere.

La seconda alla guida del Catania di Claudio Ranieri – fortissimo il legame tra i due – e Mastalli, Crialesi e Cantarutti, dopo gli spareggi con Como e Cremonese. C’erano quarantamila catanesi all’Olimpico nel giorno della promozione (25 giugno 1983), in uno dei più grandi esodi pallonari dellla storia italiana. Significativa anche la B conquistata sulla panchina del Cosenza, 1987-88, mentre resta probabilmente un rimpianto l’anno di Napoli (1977-78), la sua città.

LA FERITA DI NAPOLI, LA PREMIER E IL PRIMO CR7

Di Marzio arrivò a Napoli che aveva 37 anni, era considerato un emergente. Ma era un napoletano a Napoli: e lo pagò. Quell’anno si piazzò 6° in campionato, ottenendo la qualificazione alla Coppa Uefa e impreziosendo la stagione con la finale di Coppa Italia persa contro l’Inter. Era una squadra che aveva in Beppe Savoldi la sua stella e in Totonno Juliano la bandiera acciaccata all’ultimo anno di attività, ma composta perlopiù da onesti operai: Bruscolotti e Stanzione, La Palma e il giovane debuttante Ferrario.

L’anno successivo, dopo sole due partite, Di Marzio venne esonerato, per far posto al ritorno di Luis Vinicio, acclamato dai napoletani. In estate lo voleva la Lazio, Ferlaino gli ritoccò lo stipendio per farlo rimanere, salvo cacciarlo al pronti-via. Mai chiare le motivazioni ufficiali, per quella che è rimasta una ferita. Glielo comunicarono mentre era ospite di un talk show condotto da Gianni Rivera su una tivù privata.

Ultima squadra allenata il Palermo in B nel 1992, esattamente trent’anni fa. Poi Gianni era diventato prima un manager di successo – in coppia con Beppe Marotta e alle dipendenze di Zamparini aveva portato in A il Venezia – e poi un talent scout, tra i più richiesti e ascoltati. Dicevamo prima: global e local. Non desti quindi stupore il fatto che Di Marzio lavorava in Inghilterra, al QPR. quando il club salì dalla Championship in Premier League. Era invece il consulente di mercato della Juventus quando segnalò al club il 18enne Cristiano Ronaldo: tutto fatto con lo Sporting Lisbona, due milioni più Marcelo Salas per portare Cristiano a Torino. Salas rifiutò, l’affare saltò. Meglio gli andò – qualche anno dopo – quando convinse Moggi che era davvero il caso di puntare si Zlatan Ibrahimovic.

QUEL GIORNO CON MARADONA 

A pensarci ora: cosa deve essere stato aver avuto il privilegio di vedere Diego Armando giovanissimo. Scoprirlo, non ancora diciottenne, seminare bellezza in un campo di terra battuta e offesa dallo schiaffo del vento, a Villa Fiorito, dall’altra parte del mondo. Di Marzio più volte raccontò quella rivelazione. Erano le settimane che precedevano il Mondiale del 1978 in Argentina, da un anno Gianni era l’allenatore del Napoli. Era andato a Buenos Aires con due colleghi, Giovanni Trapattoni e Gigi Radice. In hotel l’aveva contattato un amico, Settimio Aloisio, ingegnere di origini calabresi che da anni viveva in Argentina. Si conoscevano dai tempi di Catanzaro. Aloisio gli aveva parlato in termini entusiastici di un ragazzo, un talento, un purosangue – non hai idea Gianni delle cose che fa con il pallone – che era entrato nel listone dei 40 convocabili per il Mondiale ma che poi era stato “tagliato” dal Ct Luis Cesar Menotti. Il ragazzo si chiamava Diego Armando Maradona ma per tutti era “El Pelusa”. Per farla breve: Di Marzio fece firmare a Diego un contratto, chiuse l’affare per 200 mila dollari – l’equivalente all’epoca di 300 milioni di lire – e se ne tornò in Italia col cuore in gola. Ma era il 1978, le frontiere erano chiuse, i primi calciatori sarebbero arrivati in Serie A soltanto due anni dopo e il presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, non ci credette più di tanto. L’avrebbe preso sei anni dopo, sborsando 13 miliardi e mezzo di lire al Barcellona.

Sanguigno, uomo del Sud tenace, vero, innovativo, curioso della vita: questo è stato Gianni Di Marzio. In uel mare agitato che è il Web, in queste ore tutti – ma proprio tutti – ricordano Gianni Di Marzio, padre di Gianluca, giornalista di punta di Sky. Ne sarebbe stato molto fiero, ma senza darsi troppa importanza, sorridendo, sviando, scartando di lato, cambiando subito discorso, parliamo di calcio che è meglio: gli bastava quella carezza, quell’orgoglio paterno, quel giro più veloce del cuore.