Gianni Di Marzio, il Mago di Mergellina e la “rivoluzione” a Catanzaro

Sergio Dragone (da “La leggenda del Catanzaro”, edizioni Media&Books)
GIANNI DI MARZIO
Il Mago di Mergellina

Fonte: La Nuova Calabria (https://www.lanuovacalabria.it/addio-a-gianni-di-marzio-sergio-dragone-il-mago-di-mergellina)

La visibilità non è molta su quel tratto di autostrada tra gli svincoli di Pompei e Angri. Piove e la colonnina del mercurio è quasi a zero. Anche l’adesione delle gomme sull’asfalto è pessima. Gianni Di Marzio viaggia sulla sua Mini Minor. Accanto è seduta Tucci, sua moglie, incinta di sei mesi. L’auto, come direbbe Francesco Guccini, d’un colpo impazzisce e va a sbattere contro un guardrail. L’impatto è terribile. Di Marzio si rende conto nello spazio di una frazione di secondo della gravità di quanto sta accadendo. Si getta istintivamente a proteggere con il corpo la moglie e batte con violenza il viso contro il parabrezza che finisce in frantumi. Il suo viso è una maschera di sangue. Tucci, disperata, riesce ad uscire dal veicolo e chiedere disperatamente aiuto sotto una pioggia battente. Un’auto di passaggio significa la salvezza per Gianni. La corsa disperata verso l’ospedale di Cava dei Tirreni, poi quello di Salerno e infine la clinica “Ruesch” di Napoli dove i chirurghi riescono a metterlo fuori pericolo e a ricostruire i tratti del viso. Anche il bambino che Tucci porta in grembo è salvo. Si chiamerà Gianluca.

Tutto accade il 13 dicembre del 1973. Di Marzio è l’allenatore del Brindisi rivelazione del campionato di serie B. Sta per compiere trentaquattro anni. La sua squadra, dopo avere battuto in casa il Parma, è in testa alla classifica assieme all’Ascoli. I tifosi brindisini sognano la promozione e adorano quel giovane tecnico napoletano, tutto nervi e ricci neri, che era stato “raccomandato” dal grande Luis Vinicio.

Una tragedia immane, una tegola sulla testa del Brindisi. Il presidente del club pugliese, l’imprenditore Franco Fanuzzi, è furibondo. Di Marzio si è allontanato senza il permesso della società e non doveva trovarsi, a suo parere, sull’autostrada. Invece di commuoversi per il dramma che ha colpito il suo allenatore, fa preparare dai suoi collaboratori una fredda lettera di licenziamento.

L’allenatore della capolista, coinvolto in un gravissimo incidente stradale, viene mandato a casa dal suo presidente. Roba da non credersi. Il Brindisi, affidato ad Egizio Rubino, precipita in classifica fino a sfiorare la retrocessione. Invano alcuni calciatori, come Aldo Sensibile e Giuseppe Papadopulo, tentano di fare desistere il commendatore Fanuzzi dalla sua incredibile e ingrata decisione.

E così l’allenatore rivelazione del torneo, formatosi alla guida di Luis Vinicio, resta in ospedale e senza lavoro.
Avrebbe bisogno di un angelo custode. Lo incontra mesi dopo, casualmente, in aeroporto, prima di recarsi a Vicenza per un ennesimo intervento chirurgico. E’ un composto avvocato del sud, Nicola Ceravolo, presidente del Catanzaro. Ha sentito parlare di lui e gli sembra l’elemento adatto per ripartire dopo le delusioni dell’ultimo campionato. Tra l’altro, non essendo notoriamente uno spendaccione, l’avvocato catanzarese conta di proporgli uno stipendio al minimo.

Di Marzio accetta un po’ per riconoscenza e un po’ per incoscienza. E’ così sicuro di sé che fa inserire nel contratto una clausola che prevede un maxipremio in caso di promozione in serie A. Ceravolo lo prende un po’ per matto anche perché ha intenzione di spendere poco, pochissimo, al calcio mercato. Semmai vendere, liberarsi di tutti quei campioni sul viale del tramonto che avevano creato tanti casini, da Franco Rizzo a Carlo Petrini, da Sergio Ferrari a Luciano Monticolo.
Non immagina il presidente del Catanzaro che dovrà sborsare non uno, bensì due maxipremi a questo vulcanico allenatore, costruito in provetta dopo una non brillantissima carriera di calciatore.

Gianni Di Marzio nasce a Napoli, nel quartiere Mergellina, nel gennaio del 1940. Il papà, Mimì, è un collaudatore dell’Alfa Romeo. La mamma Giuseppina è sarta. E’ il settimo di otto figli, sei maschi e due femmine.
Come tutti gli scugnizzi che si rispettano, Gianni è pazzo per il gioco del calcio. Dimostra grandi doti in interminabili sfide all’interno della Villa Nazionale, fino a farsi notare, giovanissimo, dalla Torretta di Mergellina. Poi la trafila nelle formazioni minori campane, dalla Vetreria Ricciardi alla Caivanese all’Ischia-Flegrea. Un brutto infortunio alla gamba sinistra gli tronca la carriera proprio alla vigilia di un provino importante a Milano.
Ma quel mondo del calcio è tutto per Gianni che, senza scoraggiarsi, partecipa nel 1960 al corso per allenatori che si svolge a Roma sotto la direzione del mitico terzino dell’Italia mondiale di Pozzo, Pietro Rava.

Sboccia una passione sconosciuta, quella della panchina, un mestiere che affascina l’ex promessa dell’Ischia-Flegrea fino a coinvolgerlo totalmente.
E’ talmente bravo che gli capita di allenare addirittura due squadre dilettanti contemporaneamente, l’Interpianorese e la Interorafi, che finiscono entrambe in finale nella Coppa Mensitieri. L’imbarazzo è tale che decide di scappare a Capri e affidare le due panchine ai rispettivi vice.
L’episodio dell’”allenatore delle due panchine” è clamoroso e suscita l’interesse dell’Internapoli, la seconda società partenopea, fondata al Vomero dall’imprenditore dello zucchero di origini calabresi Giovanni Proto.
Di Marzio viene chiamato alla guida del settore giovanile e poi, dopo l’esonero di Sentimenti IV, addirittura della prima squadra in serie C. Quel giovane tecnico si trova ad allenare calciatori che diventeranno campioni, come il libero Pino Wilson e il centravanti Giorgio Chinaglia, che saranno colonne della Lazio scudettata di Tommaso Maestrelli.
Sempre all’Internapoli accetta di diventare il secondo di Luis Vinicio, l’ex grande centravanti brasiliano di Napoli, Vicenza, Bologna e Inter, conosciuto al corso per allenatori di seconda categoria.
Ed è proprio Vinicio, peraltro suo testimone di nozze, a suggerirlo al presidente del Brindisi, il commendatore Fanuzzi, come suo sostituto.

Quando arriva a Catanzaro, Gianni Di Marzio è un uomo nuovo, una personalità completamente ritrovata, carico di passione ed entusiasmo, la parlantina sciolta.
Interpreta il suo ruolo in maniera del tutto nuova, tanto da lasciare a bocca aperta dirigenti, calciatori, giornalisti e tifosi.

Intanto, opera una radicale rivoluzione, un’operazione total green che lo vede impegnato a segnalare all’avvocato Ceravolo ragazzi praticamente sconosciuti, quasi tutti provenienti dalla serie C o dalle formazioni primavera della Roma (Claudio Ranieri e Roberto Vichi) e della Juventus (Pieraldo Nemo). L’esborso più consistente sono i 120 milioni di lire per assicurarsi il capocannoniere del Frosinone, Massimo Palanca.

La seconda novità consiste nel modulo di gioco che Di Marzio mutua dall’Olanda di Cruyff e Neeskens. I terzini, in particolare Ranieri, diventano quasi delle ali arrembanti sulle fasce, mentre Roberto Vichi, che gioca praticamente solo con il sinistro, è un libero-regista che si sgancia sovente per sostenere il centrocampo. E’ il gioco a zona, veloce e spettacolare, che in Italia pochi praticano.

La terza novità è tutta nel rapporto speciale che Gianni riesce ad instaurare con i tifosi. Lui non allena solo i calciatori, allena anche il pubblico. Non disdegna nessun invito nei club della città e della provincia, si ferma a parlare in strada con tutti, chiede il massimo sostegno. E’ un capopopolo, un Masaniello del calcio nel senso più positivo e ottimistico. Dal Comune pretende e ottiene l’ampliamento della “curva del pino”, in modo da portare a ridosso del campo il calore degli ultras.

Infine, dimostra una capacità assoluta nel gestire lo spogliatoio, come ammetterà molti anni più tardi Claudio Ranieri, il suo allievo meglio riuscito tanto da arrivare a conquistare la Premier League con il suo Leicester. “In questo, dirà Ranieri, è stato immenso, curava ogni minimo particolare, si interessava alla nostra alimentazione, alla vita privata”.
Di Marzio costruisce un Catanzaro che domina due campionati cadetti di fila, il primo con la promozione sfuggita per un pelo con lo spareggio di Terni con il Verona, il secondo con la serie A raggiunta all’ultimo minuto a Reggio Emilia.

Meno fortunato è il suo campionato di esordio in serie A perché il parco-giocatori, piuttosto modesto, non può competere con corazzate come la Juventus di Bettega, l’Inter di Boninsegna e Mazzola, il Milan di Rivera, il Torino di Pulici e Graziani.
Da Catanzaro è partita una lunga e irripetibile carriera che ha portato l’allenatore napoletano, più volte definito il Mago di Mergellina, a sedere sulle panchine di Napoli, Genoa, Lecce, Catania, Padova, Cosenza e Palermo, facendo sempre grandi risultati.
E’ anche un personaggio da copertina, un uomo furbo sia pure entro i limiti della correttezza, uno che sa sempre come arrangiarsi. Alcuni episodi, raccontati dal figlio Gianluca, divenuto ottimo giornalista e opinionista, sono emblematici.

Quando a Brindisi per fare abituare i suoi calciatori alle luci in notturna in vista della trasferta di Cagliari chiede ad una ventina di tifosi di illuminare con i fari delle auto il campo di allenamento. O come quando chiede ai giardinieri del Comune di Catanzaro di lasciare alta l’erba per mettere in difficoltà gli avversari più tecnici. O come quando fa scavare una buca vicino alla bandierina del calcio d’angolo per impedire al mancino Luciano Chiarugi di calciare direttamente in rete.
Episodi coloriti che servono solo ad arricchire la personalità di un grande allenatore e conoscitore di calcio, venuto a Catanzaro giovanissimo e che in Calabria ha trovato la sua dignità e la forza di ricominciare.