Coronavirus, 39° giorno. Cassano, Salvatore ha bisogno di noi

Sono passati trentanove giorni dallo scoppio dell’epidemia da coronavirus e da circa un mese tutt’Italia sta facendo i conti con le misure restrittive del Governo, tese ad arginare il pericolo di contagio, che comunque, dalla sera alla mattina, hanno paralizzato un intero Paese.

La gente ha risposto bene, anche perché impaurita da questo nuovo virus e tra una parola e l’altra questi primi quindici giorni sono comunque passati tranquilli.

Ma al Sud, quel su fatto di gente umile e che campa alla giornata, gli effetti di questo blocco istantaneo iniziano a farsi sentire. Sono all’ordine del giorno le proteste ed i primi focolai di rivolta, soprattutto nelle zone storicamente calde, la Campania e la Sicilia: i media nazionali parlano di un’informativa dei Sevizi Segreti dello Stato su “un potenziale pericolo di rivolte e ribellioni, spontanee o organizzate, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia dove l’economia sommersa e la capillare presenza della criminalità organizzata sono due dei principali fattori di rischio”.

Perché campare alla giornata qui al Sud non è uno stile di vita ma l’unica possibilità che vien data a chi decide di rimanere qui. Campare alla giornata significa non avere la garanzia dello stipendio, vuol dire non avere garanzie previdenziali, vuol dire che non puoi neanche permetterti il lusso di avere un raffreddore perché a fine giornata devi aver guadagnato qualcosa, se vuoi metter qualcosa sotto i denti.

Cosi campa il Sud, tutto il Sud. Non è questione di ricchi, poveri, colti o ignoranti. Il lavoro al Sud è precario. Non esistono alternative.

Ed in questa precarietà che si inseriscono anche i migranti. Un disagio nel disagio, che talvolta trova accoglienza ma in molti altri casi trova prepotenza.

Così come fanno i cani con l’osso: ci sono quelli che lo condividono e quelli che ringhiano se qualche altro cane si avvicina.

Ma al Sud non siamo cani e se la gente è costretta a mostrare i denti lo fa per un senso di rabbia e di rassegnazione. In questo momento, la demagogia ci aiuterebbe solo a comprendere l’enormità del problema, perché in sé una terra dalle enormi potenzialità e che davvero potrebbe dare tutto a tutti la gente è ancora costretta a vivere alla giornata, forse è anche comprensibile quel senso di rabbia e di rassegnazione che anima lo spirito di chi non ce la fa più a vivere una vita di mortificazioni e insoddisfazioni.

In questo clima si inseriscono decine di migliaia di poveri sventurati che vengono qui in cerca di un futuro. E cosi, dopo 39 giorni, i primi segnali di rivolta iniziano a farsi sentire.

E nascono nel substrato, nel disagio del disagio, quel fuoco sotto la cenere che presto scatenerà l’incendio. Come è successo ieri sera alle porte di Lauropoli, la popolosa frazione del Comune di Cassano allo Ionio. Quel comune che si è fatto vanto di essere la città dell’accoglienza ma che per tanti versi è anche meta di migliaia di migranti che cercano lavoro nelle vicine campagne di Sibari.

Perché l’osso più morbido da spolpare qui si chiama agricoltura e molti, tanti cagnolini cercano di avvicinarsi ad essa, magari per strappare un pezzetto di carne.

Ed è proprio lì, che spesso nasce lo scontro: sulle giornate nelle terre, che spesso vengono date a queste persone, costrette ad accettare di lavorare per ore in cambio di quei quattro spiccioli per poter campare.

Ma con un’economia paralizzata e le attività produttive praticamente ferme, la giornata non c’è più e con essa mancano i soldi e conseguentemente, il cibo. La fame inizia a farsi sentire e quel languore allo stomaco è un pungiglione che pian piano arriva al cervello e ti fa commettere gesti che non vorresti mai commettere.

Così Salvatore (nome immaginario, dal momento che potrebbe chiamarsi benissimo Francesco, Mohamed, Jack ma comunque pur sempre un uomo), preso dalla disperazione ieri sera ha perso le staffe e quel senso di impotenza si è trasformato in ribellione.

Salvatore ieri sera si è sfogato, ha raccontato ad una Città intera il suo disagio, lo ha gridato forte e piangendo.

L’intervento della Forza Pubblica è servito a placare il suo animo ferito e l’umanità mostrata dagli stessi ha qualcosa di straordinario.

Ma il problema, che non è solo di Salvatore, resta.

La città si mostra solidale, su Facebook si ricorrono i commenti, un passaggio del post di un giovane, Giovanni Di Bella, mostra come c’è gente che ha compreso il problema: “esistono persone isolate da TUTTI e TUTTO”.

Niente di più vero: è l’isolamento forzato la prima causa di disagio.

Allora forse bisognerebbe far emergere questo isolamento, per evitare rivolte e tragedie: Salvatore è lì, è proprio difronte a noi. Sta soffrendo in silenzio, capiamolo. Cerchiamo di dagli una mano se possibile. Prima che esploda di nuovo.

Pasquale Cersosimo