Cosenza. Brasilia e la baracca di Stelvio (di Franco Panno)

di Franco Panno

Avevamo ricavato un campo da calcio, tra le costruzioni, di una zona che conoscevamo poco. Uno spazio ampio di terrarossa, tanto bastava. Due canne per pali, e via, a partite che duravano otto ore, senza supplementari. Quella parte di città, la ribattezzammo Brasilia, come la capitale del Brasile, asettica, moderna. Inutile dire che il campetto, lo inghiottì la colata di cemento, che sommerse buona parte della periferia. Quello spazio però, per noi fu una scoperta, il primo sconfinamento dal quartiere.

Poco distante dal campo di calcio c’era una baracca, ci viveva un Signore anziano. Spesso il pallone finiva dalle sue parti, senza battere ciglio, anzi con cortesia, ce lo restituiva. Quell’omino lo vedevamo spesso tornare, con carichi più pesanti di lui, raccattava il rame che poi rivendeva. Più di una volta correvano a dargli una mano. Ricambiava col suo sorriso senza denti. La brava gente gettava discredito su quell’uomo. Ricordo che un noto lakke’ di un politico, attivo nelle attività parrocchiali, un giorno, tentò di estorcerci un’accusa di molestia, per incastrare quel povero vecchio, che non dava fastidio a nessuno. Non cademmo nella trappola. Mi chiedevo il perché di tanta ferocia nei confronti di un uomo povero e indifeso. La baracca di Stelvio, così si chiamava quell’uomo mite e gentile, fu la prima cosa che il cemento inghiottì, sparì poi il campetto. Quell’anziano dagli occhi lucidi e dallo sguardo buono, non lo rividi mai più. Seppi anni foto che una Signora che faceva il mestiere se ne prese cura, fino alla fine.
Nello sguardo di quell’uomo vedevo le ingiustizie del mondo, nel suo incedere stanco la mortale indifferenza di una società che volgeva al peggio.

Ero bambino, Stelvio mi restituiva il pallone con un sorriso.
Un mondo d’amore, Gianni Morandi