Cosenza: danneggiata (anche) l’auto di Cirò, intimidazioni e proiettili ai pentiti

Se stiamo agli ultimi episodi intimidatori verificatisi a Cosenza si può affermare che, nonostante l’azione repressiva, e la mastodontica operazione di controllo del territorio messa in atto dalla questura di Cosenza, la malavita continua a fare il “suo lavoro”. E lo fa mettendo in atto un classico dell’intimidazione: bruciare macchine.

Negli ultimi mesi le azioni intimidatorie sono state diverse. Le più eclatanti sono state messe a segno a danno dell’assessore Francesco De Cicco e dell’ex segretario di Occhiuto, Giuseppe Cirò la cui auto è stata vandalizzata. Ed è notizia di qualche giorno fa dell’incendio doloso di altre due auto, una Smart Mercedes e una Fiat 500, nel quartiere di San Vito. Non solo. Alcuni parenti di un pentito hanno ricevuto, giorni fa, una busta contenente dei proiettili, chiaro messaggio mafioso.

Giova ricordare che la stagione della auto incendiate a Cosenza è sempre verde. Ancora non risolti i casi avvenuti un po’ di tempo fa in riferimento all’auto bruciata del sindaco di Rende avvocato Manna, quella dell’architetto Cundari, e quella dei due imprenditori di viale della Repubblica. A questi incendi vanno aggiunti i tanti ritrovamenti di bottiglie contenenti benzina, lasciate davanti diversi esercizi commerciali.

Insomma nonostante i tanti pentiti che lasciano immaginare un imminente intervento della DDA su Cosenza, i clan continuano le loro attività. Non si preoccupano di essere intercettati, sorvegliati, pedinati e men che meno delle ultime rivelazioni dei pentiti che hanno delineato agli investigatori il “nuovo organigramma” delle cosche in città. Che significa: gli investigatori conoscono i nomi di tutti gli affiliati (sia dei “vecchi” ma soprattutto dei nuovi) ai clan locali, aggiornati all’oggi. Del resto tutti hanno ascoltato le parole di Francesco Noblea, alias Pozzetto, che al suo esordio da pentito, all’interno del processo “Apocalisse”, ha descritto ruoli e funzioni degli appartenenti a quello che lui dice essere il suo clan di riferimento. Aggiungendo alla “lista degli affiliati” nuovi nomi di cui gli investigatori non erano a conoscenza. Se a questo aggiungiamo i tre mesi di osservazione della DDA di tutta l’attività che Luciano Impieri (l’ultimo dei pentiti) ha svolto ai domiciliari in accordo con gli investigatori e all’insaputa di tutti compreso il suo avvocato, il quadro, per chi indaga sulla malavita a Cosenza, diventa chiaro e completo.

Qui le cose sono due: o gli atti intimidatori sono da ritenersi gli ultimi strepiti di una malavita alle corde che prova a “salvare il salvabile”, in attesa della fine, oppure i clan vogliono dimostrare agli investigatori che: dentro un boss al 41 bis, subito se ne fa un altro. E la Lotta Continua.