Cosenza, ma chi ha dato quei libri al marchese-mecenate-cartonaro?

La vicenda della biblioteca privata andata in fumo nel rogo sviluppatosi nel centro storico di Cosenza il 18 agosto scorso, merita degli approfondimenti di diversa natura. Abbiamo più volte scritto che mantenere una raccolta di libri e documenti, siano essi antichi o no, in uno stabile poco sicuro, come ha ripetutamente ribadito il proprietario dell’edificio e del “patrimonio librario”, equivale a “suicidarli”.

È quanto accaduto venerdì scorso e la responsabilità non può non ricadere su chi quel materiale cartaceo di sicuro valore ha inteso riporlo in un ambiente senza tutela alcuna. Una leggerezza fatta passare per disgrazia immane al punto che la notizia è rimbalzata su tanti media nazionali e anche stranieri, notizia, però, gonfiata e poco attinente al vero, quindi marchetta costruita ad arte dal marchese-mecenate-cartonaro Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona per far passare chissà quale messaggio.

Forse, avido di denaro come si è sempre dimostrato, già pensava ad un eventuale risarcimento, o, forse, voleva sviare altre attenzioni sul rogo che non ha bruciato solo libri, ma che ha stroncato la vita di tre persone, povere e disabili.

Intanto, in città ci si chiede in modo martellante come mai quei libri e quei documenti siano finiti nelle mani del marchese-mecenate-cartonaro. Sarebbe importante dimostrare che esiste la documentazione relativa all’acquisizione del suddetto patrimonio, in mancanza della quale si potrebbe ipotizzare, senza voler scomodare la fantasia, una provenienza dubbia di tutta la raccolta. E questo senza malafede alcuna.

Mancava (e manca), tra l’altro, la conoscenza di tale patrimonio da parte della Soprintendenza, che non avrebbe, a questo punto, mai potuto avviare una verifica ed una eventuale successiva dichiarazione dell’interesse culturale. Insomma, a voler essere caritatevoli, quei libri bruciati erano anonimi, “abusivi”, per usare un termine che negli ultimi giorni è stato abusato (scusate il bisticcio di… abusi) in tutta questa storia.

Spulciando il Codice dei beni culturali e del paesaggio si desume che sono da ritenersi beni culturali anche le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale, quando sia intervenuta la dichiarazione dell’interesse culturale prevista dall’articolo 13, che accerta la sussistenza dell’interesse richiesto. La verifica dell’interesse culturale spetta ai competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e deve essere corredata dai relativi dati conoscitivi. Il procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale è avviato dal Soprintendente.

Da quel che abbiamo pubblicamente appreso, invece, il Soprintendente non aveva avviato alcun procedimento – e lo fa sapere tramite i giornali con una sua lettera del 19 agosto scorso – né pare che il proprietario dei beni abbia fatto richiesta per la verifica dell’interesse culturale dei suoi libri – e a voler essere in malafede in questo caso, dobbiamo pensare che mai avrebbe potuto farla, perché gli sarebbe stato difficile corredare la richiesta con i dati conoscitivi esplicitamente previsti dal Codice – pertanto non si capisce il perché del pianto greco del Bilotti esportato in Italia e Oltralpe.

Eppure, non doveva risultargli incomprensibile, viste le sue origini cartonare, il concetto che i libri, come la carta da macero, essendo fatti di “carta”, possono essere distrutti facilmente. A un cartonaro, infatti, i libri, anche se copie di un illustre filosofo, interessano poco e non è interessato ad evitare che vengano distrutti dai nuovi Nerone.