Cosenza piange Gianni Di Marzio: una lunga storia d’amore

Gianni Di Marzio, classe di ferro 1940, se n’è andato due anni dopo aver compiuto i suoi 80 anni e tutto il calcio italiano oggi gli tributa un doveroso omaggio per tutta la sua lunghissima carriera.

Napoletano verace, è nel calcio praticamente da sempre avendone attraversato da grande protagonista fior di decenni. Ha allenato squadre blasonate in Serie A e in Serie B, specializzandosi in promozioni in tutte le categorie. Catanzaro (1976) e Catania (1983) sono stati i suoi capolavori, con due esaltanti scalate nella massima serie che hanno entusiasmato città tradizionalmente affamate di grande calcio. Ma nel suo palmares non vanno dimenticati il sesto posto con il Napoli (1978: primo napoletano ad allenare gli azzurri), il suo periodo genoano e le altre promozioni in Serie C e in Serie B che gli sono valse l’ambito premio del Seminatore d’oro, ottenuto quando ha portato la Nocerina in terza serie all’inizio degli anni Settanta. Un capitolo a parte per il suo fiuto in fatto di talenti. Non è certo un mistero che sia stato proprio lui a scovare in uno sperduto sobborgo argentino un ragazzino di 14 anni che palleggiava con le arance e faceva quello che voleva con tutto ciò che fosse di forma sferica. Era Diego Armando Maradona!

Di Marzio arriva a Cosenza un pomeriggio freddo del gennaio 1987 (ma i primi contatti erano stati allacciati già a dicembre del 1986) quando viene chiamato dalla società del presidente Carratelli per sostituire Franco Liguori ed è subito bagarre, perché la squadra è solidale col tecnico esonerato e non ne vuole proprio sapere di accettare Di Marzio, che, dal canto suo, minaccia di andare via. Carratelli si impegna in una difficile opera di mediazione che ottiene il successo sperato. Il Cosenza di Ciccio Marino, Rocca, Urban, Giansanti, Lombardo, Nicolucci, Bergamini e dei giovanissimi Padovano e Gigi Simoni non riesce ad inserirsi nel discorso-promozione ma conclude il torneo più che dignitosamente, ponendo le basi per la storica terza promozione in Serie B.

Una stagione esaltante, una città imbandierata e festante per oltre un mese, dalla mitica vittoria di Salerno (1-0, gol di Padovano) che avvicina decisamente i rossoblù alla serie cadetta. E poi il San Vito in visibilio in occasione della vittoria sul Campobasso, il successo in trasferta a Francavilla, la festa per l’ultima partita in casa con la Nocerina e l’apoteosi a Monopoli, 5 giugno 1988, una data indimenticabile per i tifosi del Cosenza. Ma non è stata una promozione facile, tutt’altro. Di Marzio affronta contestazioni vibranti (come in occasione della sconfitta di Reggio), altre striscianti, riuscendo dove tutti avevano fallito per ventiquattro, lunghissimi anni.

Una difesa impenetrabile guidata al centro da Maurizio Giovanelli e Antonio Schio con Gigi Simoni tra i pali e Ciccio Marino e Claudio Lombardo terzini; una linea di centrocampo di corsa e di qualità con Renzo Castagnini, Denis Bergamini e Sergio Galeazzi e un tridente di gran classe formato da Alberto Urban, Maurizio Lucchetti e Michele Padovano. E dietro a loro giocatori che non possono essere certo considerati riserve come Gianluca Presicci, Roberto Giansanti, Gigi De Rosa, Angelo Montrone. Una squadra indimenticabile.

DI MARZIO E LA PIAZZA 

Gianni Di Marzio riesce come nessun altro a capire la piazza cosentina. Sa tutto di tutti, è informato in ogni minimo particolare dei “movimenti” contro di lui, si ingrazia le simpatie dei tifosi che contano (e naturalmente anche degli Ultrà) e dei giornalisti più influenti, parando ogni possibile attacco. La sua incontestabile esperienza, del resto, gli permette di avere rapporti più che buoni con le stanze dei bottoni delle società che vanno per la maggiore e anche nei momenti più critici non gli manca mai una soluzione di riserva. Anche con la società sa bene come comportarsi, fiutando alla perfezione dirigenti doppia faccia o troppo intraprendenti. Ma Di Marzio è soprattutto un allenatore di spogliatoio. Quando prende un giocatore vuole sapere tutto della sua vita privata e della famiglia. Nulla gli sfugge grazie anche al suo “secondo”, il fido Tony Ferroni, che è perennemente sguinzagliato alle calcagna dei calciatori. Usa bastone e carota, vede bene le partite anche in corsa e fa del “primo non prenderle” il suo credo, circostanza che gli procura qualche antipatia tra gli addetti ai lavori più “olandesi” (nel senso del gradimento di quel calcio totale che fece grandi gli orange di Johann Crujiff). Una politica che si rivelerà straordinariamente vincente.

IL PRIMO ADDIO Tutti pensano a una riconferma del tecnico napoletano quando, a metà giugno, la società annuncia il divorzio. Ed è un periodo difficilissimo per i dirigenti, pressati da ogni parte per ricucire il rapporto con l’allenatore della Serie B. Niente da fare. Cosenza imbocca la sua strada ingaggiando Bruno Giorgi. Di Marzio sta alla finestra. Qualcuno fa circolare una leggenda urbana secondo la quale i dirigenti lo avrebbero richiamato in caso di sconfitta nel derby con la Reggina. Ma i rossoblù vincono e scalano la classifica e il buon Gianni, dopo qualche mese, va a sostituire Tarcisio Burgnich proprio sulla panchina dell’odiato Catanzaro. Il rapporto con Cosenza si deteriora in maniera palese, nessuno perdona a Di Marzio quella decisione così impopolare. Quando si gioca il derby al San Vito, gli ultrò espongono uno striscione eloquente: “Di Marzio puttana l’hai fatto per la grana”. E nella partita di ritorno al Militare Palanca segna una tripletta e stende un Cosenza costretto a frenare la sua marcia verso la Serie A.

IL RITORNO E L’ESONERO PIU’ AMARO

Le strade della squadra rossoblù e del tecnico che l’aveva riportata in Serie B sembrano dividersi per sempre. Di Marzio, però, mantiene i contatti con la città, ritorna spesso per andare dal suo dentista e per incontrare i suoi fedelissimi, che non hanno ancora perso le speranze per preparargli un clamoroso ritorno. Il Cosenza intanto naviga in brutte acque dopo l’addio di Giorgi. Gigi Simoni non si ambienta, non riesce a creare un gruppo e il 18 novembre 1989 muore tragicamente Denis Bergamini: la squadra rossoblù sembra quasi rassegnata alla retrocessione. E’ allora che il presidente Serra telefona a Di Marzio, di nuovo libero dopo aver lasciato Catanzaro. per offrirgli la guida del Cosenza. E ancora una volta a dicembre si rinnova questo rapporto conflittuale. La salvezza arriva, tra mille difficoltà, a Trieste, all’ultima giornata ed è salutata da un enorme sospiro di sollievo.

L’anno dopo Di Marzio viene confermato e costruisce una squadra piena di giovani bravissimi tra i quali spiccano Catena, Biagioni e Compagno, espressamente voluti da lui ma la società non ha la pazienza di attendere che la squadra esprima le sue potenzialità e lo esonera dopo poche giornate, aprendo le porte a Edy Reja. Per l’ennesima volta il Cosenza Calcio e Di Marzio si lasciano ai rispettivi destini. Le loro strade tornano a incrociarsi nel campionato successivo, 1991-92, con il tecnico partenopeo alla guida del Palermo e i toni sono decisamente poco concilianti, da una parte e dall’altra.

DIETRO LA SCRIVANIAUn anno dopo, tanto per cambiare a dicembre, 1993, Gianni Di Marzio viene chiamato al capezzale di una società a pezzi, dilaniata dal contrasto tra vecchi e nuovi dirigenti. La telefonata, questa volta, la fa Bonaventura Lamacchia, in procinto di diventare presidente. Ma per Di Marzio non si tratta più di fare l’allenatore bensì il direttore generale: ha deciso infatti di cambiare mestiere e dalla panchina è passato alla scrivania. Forse è sempre stato portato verso questo tipo di impegno e il Cosenza Calcio gli dà la possibilità di mettersi alla prova. Il tempo di traghettare la squadra ad una tranquilla salvezza, di programmare il futuro con l’ingaggio di un allenatore serio e preparato come Alberto Zaccheroni e il lancio di una nutrita pattuglia di giovani cosentini di belle speranze ed ecco l’avvento di Paolo Fabiano Pagliuso.

I due non si sono mai amati ma Pagliuso è troppo intelligente per non capire che dargli il benservito significherebbe solo iniziare col piede sbagliato la sua avventura al timone del Cosenza. Superata la tempesta dei nove punti di penalizzazione, la convivenza si rivela problematica. All’ombra di Pagliuso infatti si nasconde la sfrenata ambizione del giovanissimo rampollo, Peppuccio, che meditò già di soffiargli la poltrona protetto dall’amministratore delegato Aldo Perna. Di Marzio andrà via al termine del travagliato campionato di Serie B 1995-96 e l’anno successivo il Cosenza incapperà in una dolorosissima retrocessione. L’ex Seminatore d’oro non tornerà più a lavorare con il Cosenza ma in compenso recupererà alla grande il rapporto con la famiglia Pagliuso. E continua a mantenere il legame con questa città che gli è sempre piaciuta e conosce molto profondamente.