Cosenza, ristoranti pieni… dei soliti noti

Era il 2011 quando Berlusconi, in netta contrapposizione con l’allora ministro Tremonti, disse: “ma quale crisi, l’Italia è un paese di benestanti, i ristoranti sono sempre pieni”.  Da allora l’equazione “ristoranti pieni = nessuna crisi”, è stata usata da molti come metro per misurare il benessere del paese. Se la gente riempie i ristoranti, vuole dire che ha soldi da spendere, una conseguenza logica per chi non ha mai conosciuto crisi. Una formula che Franz, enfatizzando il pienone del centro cittadino del fine settimana, ha pensato bene, per dare l’idea della città ricca e opulenta che non teme fallimenti e commissari, di strumentalizzare.

È chiaro che l’equazione di Berlusconi non funziona, perché non tiene conto, come Franz, che in Italia esistono milioni e milioni di persone che crisi o non crisi, al ristorante non ci sono mai andati. Con uno stipendio medio di 1200 euro al mese nessuno si avventura, specie sei hai famiglia, un mutuo e le cure mediche dei figli da pagare, in ristoranti dove una cena costa mediamente 60 – 80 euro senza vino, al massimo si va in pizzeria, o al “fast food”, il sabato sera, oppure ci si organizza con gli amici e si cucina a casa. Che per una famiglia monoreddito, e sono tantissime, resta sempre una spesa che può permettersi ogni tanto, solo se non hai famiglia e una casa di proprietà, magari quel “ogni tanto” può diventare “qualche volta in più”, restando sempre, però, un “occasionale”, e mai un cliente fisso.

A riempire i ristoranti, che non vanno confusi con pub, trattorie popolari, kebbabari, friggitorie, pizzerie, e apericena, non sono certo loro, ma la solita vecchia e sempre arzilla borghesia: la piccola e media borghesia, la borghesia “intellettuale”, la borghesia dei funzionari pubblici, la borghesia delle rendite, la borghesia politica e quella mafiosa. Categorie mai in crisi, che possono permettersi il ristorante ogni sera senza guardare il costo delle portate. E i borghesi, si sa, sono tanti. E non vanno più confusi con il ceto medio cittadino (pubblico impiego, piccolo e medio commercio) che da tempo ha perso il suo “potere d’acquisto”. Anche quando entrano in famiglia due stipendi.

Se dovessimo prendere per buona l’equazione Berlusconi utilizzata da Franz, dovremmo dire che Cosenza, a guardare i ristoranti il fine settimana, è una città di benestanti. Stando solo al centro (allargato) cittadino dove si concentrano tantissimi ristoranti, trovare un tavolo, il sabato sera, verso le 21, se non hai prenotato, è impossibile. Sono tutti pieni (ottu e novi fora maluacchiu, ppe cent’anni). E non solo i ristoranti che in centro si distinguono per categoria: ristorazione tradizionale; ristorazione alberghiera; ristorazione veloce, ognuno con il suo menù e i suoi prezzi che a Cosenza, stando all’indagine condotta dall’Unione Nazionale Consumatori, sono i più cari d’Italia. Mediamente una cena costa tra i 30 e i 40 euro con un calice di vino.

In alcuni ristoranti del centro un menù completo con un vino buono può arrivare anche a 70-80 euro. Il che, visto l’affollamento del fine settimana, dovrebbe far pensare, come vorrebbe Franz, che Cosenza è una città abitata da benestanti, e che nonostante sia la più cara d’Italia, ai cosentini di pagare di più non gliene frega niente. Siamo spendaccioni, a Cosenza i soldi girano, ed è vero, ma solo nelle tasche di un ben definito ceto sociale legato a doppio filo con l’unica fonte di denaro in città, quello pubblico.

È difficile pensare ad una borghesia cosentina di stampo imprenditoriale o industriale, attività inesistenti in città, il denaro che gira proviene dalla politica che gestisce commesse, appalti e affida servizi. Una bella montagna di denaro a cui possono attingere, a turno, le tantissime famiglie di professionisti di ogni ordine e grado e aristocratici per diritto divino, compiacenti e complici di questo o quel padrino politico. E a tirare le somme i conti tornano: sono più o meno 25 i ristoranti in centro (allargato) per un totale diciamo di 1000-1100 coperti, un numero che corrisponde ai privilegiati della città, gli stessi che affollano i ristoranti, con qualche “occasionale” e raro turista annesso, e che qualcuno, Franz, spaccia come benessere diffuso. Ma la realtà dice altro: ad affollare i ristoranti in centro, quando non sono in giro per la provincia, il 2% dei cosentini. Più che benessere diffuso, a noi pare un privilegio ben circoscritto.