Cosenza, chi è Roberto Bilotti: identikit di un “mecenate”

Dopo qualche anno di “purgatorio”, seguito alla vergogna (rimasta chiaramente senza giustizia in una città come Cosenza dove al posto del Tribunale c’è un porto delle nebbie che protegge i delinquenti e i parvenus) dell’incendio costato la vita a tre persone nel centro storico, ecco che torna il “marchese” Bilotti, pronto a regalare al suo compagno di merende Occhiuto il cazzaro altre mirabolanti “sole” spacciate per opere d’arte… E l’occasione è propizia per ricordare ai cosentini chi è ‘sto truffatore. 

Identikit di un mecenate

Le ultime immagini pubbliche a Cosenza del mecenate Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, ce lo restituiscono mentre si disperava nel mese di agosto del 2017 facendosi intervistare da Repubblica e dall’agenzia ANSA per un patrimonio andato in fumo (quello della sua biblioteca), quasi come se non fossero morti tra le fiamme tre poveri cristi, si è presto rivelato uno che il fumo tenta di buttarlo negli occhi della gente. Ma qui “nisciun è fess” e la sua commedia è stata presto smascherata, il suo patrimonio ridimensionato e finanche i suoi amici si sono allontanati dalle sue posizioni.

Ma chi è quest’uomo dai tre cognomi che ha millantato la perdita di oggetti di valore e si è mostrato disperato dinanzi alla sua regale residenza in buona parte bruciata? Secondo la vulgata, Roberto Bilotti è un amante del bello, proprietario di opere d’arte, direttore di musei, sempre alla ricerca di una mostra da allestire e di opere da regalare.

Molti anni addietro sposò una nobildonna romana e per poter convolare a giuste nozze, non essendo egli nobile, si fece adottare da una marchesa per usufruire del titolo nobiliare. Alla faccia dell’amore quando ti dicono: no nobile, no matrimonio. Unione in seguita finita male perché, come dicono i bene informati, il nuovo nobile mise in commercio i tesori della famiglia romana.

Cacciato a calci, gli rimase il titolo, che continuò a usare nella città di provincia dei suoi padri, che proprio perché di provincia gli ha consentito di fare la scalata nel mondo dell’arte, sulla scorta delle opere che genitore e zio donarono alla città. Il Mab, per intenderci, fatto passare come un distaccamento del Louvre a Cosenza e che in realtà è costituito da multipli di opere note. Un museo all’aperto donato in cambio di intitolazioni di piazze, di chissà quanto altro, ma è stato veramente donato?

Anni fa, il padre del nuovo nobile mecenate si prese la briga di far sparire una delle opere del Mab, dicendo che siccome non era tenuta bene era un suo diritto spostarla e farne quello che voleva. Quindi non sono state donate?

In più, le opere sono alla mercè dei passanti che le trattano come mere panchine e non come opere d’arte… e pensare che in cambio gli hanno dato tanto… e, ciliegina sulla torta, fino a qualche tempo fa non risultavano nemmeno assicurate! Così come tenuti alla buona erano i libri andati bruciati, fatti passare come manoscritti di grande valore per la loro molto presunta vetustà e unicità. In egual modo era tenuto tutto l’arredo della residenza che il mecenate del grande casato calabro, come lo hanno designato fior di giornalisti, aveva collezionato negli anni. Senza tutele e senza riconoscimenti.

Oggi resta poco, a parte la disperazione del Ruggi d’Aragona, marchese senza più reggia. Ha detto ai giornalisti di esservi terribilmente affezionato: quello che c’era in quel palazzo era la sua vita e quella dei suoi avi, con i ricordi e le suppellettili della sua dinastia. Un affetto che non gli impedì però anni addietro di venderlo, sì venderlo, con tutto ciò che conteneva, tranne i libri, anche le specchiere della nonna, i quadri raccattati dai vari antiquari, e l’altra roba da rigattiere. Questo significa tenerci ai gioielli di famiglia!

Astutamente, riesce a sottrarla all’acquirente, a cui aveva anche spillato parecchi soldi e ne fa la residenza Ruggi d’Aragona, poi concessa al comune di Cosenza per grandsoirèe e sedute di lauree. Ma la dea bendata stavolta gli volta le spalle e l’incendio della casa dei fastidiosi vicini si propaga anche nella sua, provocando non pochi danni.

Lacrime di coccodrillo scivolano lungo tutto il corso Telesio per la perdita del patrimonio, si susseguono appelli, accuse alle procura, si esalta la biblioteca bruciata, peccato, peccato, solo poche ore prima aveva accarezzato quei libri, era seduto sulle regali damascate poltrone della residenza, come avrebbe potuto immaginare che di lì a breve un fuoco avrebbe divorato tutto?

Se malauguratamente si fosse appisolato sulle avvolgenti e antiche poltrone avrebbe rischiato di brutto il mecenate. Invece è uscito poco prima che iniziasse la tragedia e allora può continuare a fare il mecenate anche se sbugiardato dai suoi cari amici e collaboratori sul patrimonio librario detenuto, che da opera immane è stata poi ridotta a una collezione di fumetti. Andata in fumo… eppure da cartonaro quale è per diritto di famiglia naturale avrebbe dovuto sapere che il fuoco distrugge la carta. Invece ha voluto fare il mecenate e queste nozioni importanti le ha dimenticate. Un nobile mecenate non può avere pensieri popolani, può solo godersi i suoi averi nei pomeriggi d’estate.

Già, ma cosa ci faceva Roberto Bilotti nella residenza di corso Telesio il 18 agosto pomeriggio, poco prima che scoppiasse l’incendio, con il caldo e con la città deserta, visto che a Cosenza non c’è quasi mai? Le sue giustificazioni sono state molto discutibili ma a Cosenza tutti – ma proprio tutti – hanno capito che ci sono troppe cose che non quadrano.