Da Forza Italia ai padani delusi, Salvini sempre più accerchiato

(STEFANO IANNACCONE – editorialedomani.it) – Un fortino cinto d’assedio sia dagli alleati diventati avversari sia dai competitor dichiarati. Con qualche colpo subito dagli organismi indipendenti, come l’Anac e il Tar che hanno fatto sentire la propria voce sulla diga di Genova e sulla precettazione per gli scioperi. Matteo Salvini è un leader sempre più isolato. E il vicepremier sta rispondendo a modo suo: radicalizzando lo scontro. Lo scopo è ambizioso: recuperare consenso. Il risultato è incerto, per non dire difficile da ottenere.

Forza Italia sente l’odore del sorpasso alle europee. Prima era solo una voce di palazzo, adesso qualche sondaggio mette il bollino all’ipotesi. Una rilevazione, pubblicata dal Corriere della sera, dà FI all’8,7 per cento e la Lega, ferma all’8. A Nord è in corso un’operazione di accerchiamento in piena regola. Il segretario azzurro, Antonio Tajani, sta arruolando i leghisti della prima ora per parlare a un elettorato sfiduciato dalla strategia di Salvini.

FORZA PADANIA

Dopo il veneto Flavio Tosi, ex sindaco di Verona e ora deputato di Forza Italia, è toccato a Roberto Cota, ex presidente della regione Piemonte. Ma la punta di diamante è Marco Reguzzoni, già capogruppo alla Camera della Lega, in procinto di finire nelle liste forziste alle europee sebbene da indipendente. Era uno dei dirigenti in rampa di lancio, ma quando è arrivato Salvini è finito ai margini. E per anni è sparito dai radar politici. La sua candidatura con FI sarebbe un affronto per il leader leghista, funzionale al progetto di Tajani, il romano che punta a far risplendere l’azzurro berlusconiano sui cieli dei ceti produttivi settentrionali. Prosciugando un bacino fondamentale per la leadership di Salvini. Del resto la Padania più profonda sta voltando le spalle al vicepremier in carica. Paradossalmente per mano di un siciliano: Cateno De Luca, fondatore della lista Libertà, presente alle prossime europee.

Il sindaco di Taormina ha arruolato varie forze politiche settentrionali: i valdostani del Rassemblement Valdôitan, il movimento Popolo Veneto, così come Grande nord, che ha messo insieme realtà in dissenso rispetto alle politiche di Salvini, e il Partito popolare del Nord dell’ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli, guardato con una certa simpatia da Umberto Bossi. Una galassia di micro forze politiche che insieme possono fare massa. E togliere ossigeno elettorale a Salvini.

Il vicepremier sembra essere finito in una strettoia, se non addirittura in un vicolo cieco. Al centro-sud, l’avversario principale è Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni che vuole prendersi i voti che fecero grande la Lega alle europee. Dalla Toscana alla Calabria, passando per le roccaforti di Lazio e Abruzzo. FdI vuole cancellare la presenza leghista al centro e ancora di più nel Mezzogiorno. L’intenzione di Salvini resta comunque battagliera. Nel suo inner circle vengono evidenziati due risultati parlamentari. Uno già incassato, con l’approvazione del codice della strada alla Camera. È solo il primo passaggio: il provvedimento deve passare all’esame del Senato.

L’impatto mediatico c’è stato: il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti può apporsi una stelletta al petto. Si è detto «orgoglioso del passo avanti», a dispetto delle critiche provenienti da più parti. L’altro parziale successo maturerà la prossima settimana: a Montecitorio gli alleati di centrodestra dovranno difenderlo dalla mozione di sfiducia delle opposizioni, con la prima firma del capogruppo di Azione, Matteo Richetti.

Scontata la conferma di fiducia dalla maggioranza, impensabile un voto diverso. Sarebbe il collasso del governo e dell’alleanza di centrodestra. Così il leader leghista può permettersi di tirare un po’ la corda. «In nessun paese islamico chiudano le scuole per la Santa Pasqua o per il Santo Natale», ha insistito sulla vicenda della scuola di Pioltello (che ha annunciato la chiusura nell’ultimo giorno del Ramadan). Quindi si è spinto a chiedere un tetto del 20 per cento di bambini stranieri nelle scuole.

Con il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, allineato: «In classe la maggioranza sia di italiani». Ma la posizione ha provocato la bacchettata del moderato Maurizio Lupi: «Esasperare un concetto per conquistare un voto è sbagliato». Insomma, il dimenarsi non serve a rompere l’assedio. Anzi.

ANAC & TAR

A completare, seppure in maniera involontaria, l’accerchiamento, ci sono i pronunciamenti di organismi indipendenti, che sono entrati nel merito di decisioni assunte da Salvini. L’Anac ha individuato vari profili di criticità nei lavori per la diga di Genova, tra cui l’inserimento dell’opera tra i progetti del Pnrr, garantendo così le deroghe al codice dei contratti. «È come se pezzi di stato remassero contro l’interesse nazionale», è stata la replica arrivata dal ministero delle Infrastrutture, dietro impulso di Salvini.

Il Mit accusa l’Autorità di aver sollevate obiezioni «fortemente contestate dai nostri uffici, basti pensare che i costi dell’opera non sono aumentati e nessuna contestazione riguarda presunti fenomeni corruttivi». Il leader della Lega è «pronto a procedere con assoluta determinazione». In pieno stile salviniano.

Un’altra battuta d’arresto è arrivata dalla sentenza del Tar del Lazio che ha bocciato la precettazione, ordinata dal ministro, per lo sciopero dei trasporti del 15 dicembre: è stato il ricorso dell’Unione sindacale di base. Per la giustizia amministrativa, l’ordinanza presenta una «violazione di legge e da eccesso di potere». Con somma gioia dell’Usb, che accusa Salvini di essersi «comportato più da Napoleone in miniatura che da ministro». E dalla sentenza è arrivata l’ennesima, piccola, Waterloo.