Ferro&Santelli sorelle d’Italia all’assalto della Cittadella con Occhiuto jr (di Vito Barresi)

di Vito Barresi 

“Amor ch’a nulla Amato amar perdona…” sarebbe questo l’affettuoso quanto ‘occhiuto’ ritornello, la strofa galeotta di un indimendicabile idillio fatto di antiche memorie estremistiche, gagliardetti neofascisti, pane, fantasia e politica, che legherebbe in un nuovo patto il centrodestra di Catanzaro con quello di Cosenza. Manovre, frascherie, inimicizie all’ombra dell’ultimo sole in declino sull’impero monocolore dei fratelli Abramo?

Ci sta tutto e qualcosa di strano, nelle sempre ambigue ricostruzioni, alquanto divertenti che si ascoltano, tra le stanze del vero e più criptico potere plutocratico regionale. Tra i vip e i maggiorenti della Calabria, sconvolti per quel che è avvenuto nel ‘sancta sanctorum’ aziendale della Sacal, le manette che ridondano bruto canglore nel salotto buono del capoluogo regionale, in mezzo agli uomini, perché di donne non ce n’è, quasi tutti maschi, sempre in tensione tra politica e affari, appalti, capitolati, gare e misure ministeriali e comunitarie, tra i titolari d’intraprese e consorzi, sempre pronti ad armeggiare acquisti di nuove sigle di partito e svolgere affannose contrattazioni nei corridoi romani, c’è chi punta il cannocchiale oltre la galleria del Sansinato, tra le valli del brullo Germaneto, territorio controllato dai gradassi d’etnia bruzia al comando del ragionier governatore Mario Oliverio.

Così nel mentre è in corso la campagna elettorale per uscire o restare a Palazzo De Nobili, curiosamente e sospettosamente, correndo dietro a una fantasiosa password segreta, coniata come chiave magica da un ben noto e ‘machiavellico’ ingegnere provinciale, coautore di sottili quanto doppie strategie di comando e di potere sotto i ponti e le traverse del capoluogo giallorosso, pare abbia preso già il via un vero e proprio tour per lanciare un’Opa sulla leadership regionale, sulla scelta del prossimo candidato alla presidenza della Regione Calabria, capitanato dal nuovo duo Ferro&Santelli.

Ferro&Santelli, con lo stemma araldico della ‘ditta’ elettorale, composto da quattro colli, tre di Catanzaro e uno di Cosenza, sinuosi e dolci come le mammelle di un cammello. Sarebbe questa la nuova coppia, tutta al femminile della politica regionale. Il binomio ‘gender’ che avrebbe già in mano la ‘road map’ siliconata, un piano lifting non più tanto segreto per la candidatura a Governatore in pectore di Robertinho’ Occhiuto, il Guiscardo fratello del Sindaco Alarico XXIII, l’ecumenico ed efebo architetto che guida ai grattacieli il popolo delle sponde del Crati e del Busento.

Non lui giammai, perché localista come un tocco di formaggio pecorino. Quanto per gonfalonica gualdrappa che cela il pezzo grosso, il pelo luciccante del cavallo di razza, all’ippodromo della politica, c’è chi ha messo in vista l’affisso di Robertinho il Guiscardo, capocannoniere del centrismo al panzerotto di Cosenza doc, che sta affettato, nasale, compassato e dolce come un banco d’ortofrutta che si è fatto delicata canestra del Caravaggio a Montecitorio, alla destra del tavolo oratorio, dove troneggiano le due Madonne, neo star ceronate e ceronette dell’ultima Forza Italia calabrese.

Muliebris lacrima condimentum est malitiae? Così dice un antico proverbio che certo non si attaglia ai cortesi cerimonieri pitagorici, cavalieri d’altri tempi e nuovi galantuomini, che a scorrere la cronaca avrebbero fortemente voluto la ‘prima’ regionale del nuovo gruppo italico, con l’intento di far risorgere dalle sue stesse ceneri un centrodestra messo maluccio dopo l’era dei cinghialoni bianchi e del grande Peppe, con Don Chisciotte in gabbio e Sancho Pancia che spadroneggia tra Malta e Ganzirri.

Da sinistra: Antonio Caridi (di spalle), Peppe Scopelliti e Alberto Sarra

Finito Scopelliti, sconfitto e condannato per il clamoroso ammanco della suicida Fallara, arrestato il senatore Caridi che geme in carcere a Regina Coeli, dopo aver pronunciato un suo autodafè nell’aula di Palazzo Madama, fatto prigioniero il consigliere regionale ed ex assessore Nazzareno Salerno, con sullo sfondo gli arresti domiciliari di altri esponenti di spicco e padri nobili come Giovanni Bilardi, Luigi Fedele, la galera per Sante Zappalà, gli avanzi di giustizia di quel ceto politico sono alla ricerca di facce e debuttanti da lanciare nell’agone pungente, nell’ora d’aria rimasta per modificare l’inqualificabile immagine offerta al proprio elettorato.

Con simile pedigree il debutto avvenuto nella città di Crotone, dove le due madame virtuose, armate di un vocabolario politico molto agè e anacronistico, hanno consegnato i sigilli berlusconiani ai due più importanti appaltatori dell’Eni in tutto il Mezzogiorno, Antonio Argentieri Piuma e Sergio Torromino, è già tutto in salita. L’orda dei furbetti del cadreghino è in rapida mutazione primaverile.

Conoscendo lo stile casa e bottega dei due noti imprenditori crotonesi, gli stessi che nemmeno qualche settimana, erano accorsi ad una convention in sala aereoporto di Lamezia, e avevano pubblicamente aderito al raggruppamento fratricida e separatista che fa capo al ‘pugliese’ Fitto, molti si sono chiesti, tra squinci e linci, mentre i soliti facevano i nesci, se magari si è pattuita, col contratto alla vespa, qualche candidatura per le regionali, si interrogavano che pensare di questa improvvisa discesa in campo, dopo che pure Berlusconi ha lasciato il Milan ai cinesi e Dorina Bianchi a Dario Franceschini. Sotto a chi tocca tra le Tre Elle: Sergio Torromino, Antonio Argentieri o qualcun altro/a?

Le due icone sembravano, incastonate tra Occhiuto e Magno, un bel quadretto, il ritrattino remake delle famose sorelle Margarone in gran gala, svolazzanti di piume di stato, nastri da tagliare, tutte che cicalavano davanti al microfono della tv, dandosi un gran da fare per illustrare i propri ‘occhiuti’ propositi.

E a Catanzaro che si pensa? Mica sulla bella soma dell’ancestrale Abramo si sale e scende a scrocco come i portoghesi sulla Funicolare tra Sala e Piazza Roma?