Il ponte di Calatrava e il sindaco “vavuso” (di Pasquale Rossi)

Foto di Ercole Scorza

di Pasquale Rossi

Dobbiamo ammetterlo una volta per tutte: noi cosentini siamo irrimediabilmente “vavusi”. 

Come hanno dimostrato nei loro studi accademici Battista Sangineto e Giovanni Sole, a partire dal ‘500, le élites della città fecero di tutto per celebrarne l’antichità, la fiera indipendenza da chicchessia, fossero bruzi, romani, saraceni o spagnoli; gli aristocratici intellettuali dell’epoca scrissero, spesso senza riportare le fonti e inventando di sana pianta, della remotissima fondazione per mano di questo o quell’eroe o semidio (alcuni la fecero risalire, addirittura, ad Ercole).

Quasi tutti i più celebrati studiosi cittadini hanno scritto, nel corso dei secoli, “Istorie” che partivano dall’incontrovertibile presupposto che la nostra città fosse una città straordinaria nella quale avevano vissuto uomini straordinari. Affermazioni che si basavano su ricostruzioni di avvenimenti storici e biografie privi di documenti attendibili e di prove materiali. Davano, ma continuano a farlo anche ora, cittadinanza, reale o ideale, a personaggi illustri che niente avevano a che fare con Cosenza, ma che, tutt’al più, vi erano solo passati, vi erano nati o che, addirittura, come nel caso di Alarico, vi erano solo morti.

La-leggenda-di-re-Alarico L’invenzione della tradizione è stata in particolar modo attiva a proposito di Alarico che è si è voluto, artatamente, rappresentare non più come il barbaro contro cui i cosentini avevano combattuto coraggiosamente per difendere la città – o addirittura decimati dopo averlo seppellito nel fiume – ma, ribaltandone completamente il profilo storico e facendone un antenato-eroe da celebrare, è stato resuscitato sotto le sembianze di un re dalla lunga chioma bionda e dagli occhi azzurri, amante della tolleranza e della pace! Uno storytelling metastorico che mescola i fatti storici con la leggenda al punto da far scomparire la linea di demarcazione fra la cultura alta e la cultura popolare, al punto che non si riesce più distinguere il vero dal falso, l’originale dal multiplo.

Non solo, dunque, nel passato, ma anche nel presente della comunità cittadina, la classe dirigente cosentina, nel suo complesso, si è dimostrata essere interessata soprattutto alla propria sterile auto-riproduzione, ma, almeno, ancora legata ad una tradizione alta di studi classici.

Quella contemporanea è, invece, una classe dirigente incolta, dai limitati orizzonti culturali piccolo-borghesi o plebei che -invece di dare alla città una memoria collettiva condivisibile e condivisa legittimata da studi e da consenso sociale non solo incolto e plebeo- si è autorappresentata celebrandosi in modo, a dir poco, esagerato e attribuendosi antichità d’origini inesistenti, fierezza d’animo e spirito d’indipendenza, amore per la cultura, per le arti e per le grandi opere architettoniche.

lounge bar da sopraA conferma di questa risibile auto-rappresentazione vengono il gran vanto (“vaviamento”) menato per il restauro (distruttivo) del Castello e l’uso (volgare e improprio) dello stesso, per il cosiddetto MAB costituito da multipli di statue di grandi (e meno grandi) artisti, per la cosiddetta Piazza S. Teresa che altro non è che la brutta pavimentazione di uno slargo lasciato libero dalla speculazione edilizia degli anni ’60 e ’70, per la colata di cemento in Piazza Fera (in nessuna città dell’occidente si progettano parcheggi nel centro della città da almeno trent’anni) “abbellita” da qualche gigantone in plastica o in ferro di qualche grande artista locale.

eco23Sono convinto che l’akmé del “vaviamento  è stata raggiunta, però, con la posa definitiva del ponte di Calatrava, già pensato dal vecchio Mancini che, anche lui cosentino, non era, dobbiamo concludere, immune allavavusaggine
La progettazione e la realizzazione di questo ponte ci pongono alcune domande di carattere urbanistico-economico e altre di carattere antropologico. Le domande di carattere urbanistico ed economico sono: a cosa serve il ponte se non a collegare il nulla con il nulla? Se lo avessero costruito un po’ più a nord non si sarebbe potuto collegare, almeno, alla superstrada per la Sila?

Ci sono, come spesso accade, appetiti speculativi interessati alla cementificazione di quelle aree ancora non del tutto scempiate dall’urbanizzazione selvaggia di questi ultimi due decenni? Non si sarebbe potuto lasciare che l’antico alveo del Crati, almeno verso est, rimanesse parzialmente non urbanizzato trasformandolo in un parco fluviale, ripristinando le naturali golene e ripiantando le essenze autoctone?

foto 1 fiume cratiLa bellissima foto di Ercole Scorza mostra quanto sia già troppo antropizzato e cementificato l’alveo del fiume. Quanto è costato, esattamente, il ponte? Quanto è stato pagato l’architetto catalano? Il progetto è stato affidato direttamente senza gara e, se sì, è stato mostrato all’Amministrazione prima di esser completato o lo si è comprato a scatola chiusa?

Una volta consegnato il progetto, qualcuno si è accorto che era praticamente identico a quelli di Siviglia, Valencia, Atene, Gerusalemme etc. etc.?  

Cosenza, Ponte di Calatrava (rendering)
Cosenza, Ponte di Calatrava (rendering)
Siviglia, Ponte Alamillo
Siviglia, Ponte Alamillo
Valencia, Ponte de la Serreira
Valencia, Ponte de la Serreira
Atene, Ponte Hatehaki
Atene, Ponte Hatehaki
Gerusalemme, Ponte di Calatrava
Gerusalemme, Ponte di Calatrava

Quando Occhiuto ha voluto rifinanziare la costruzione del ponte sapeva già che i ponti di Calatrava non avevano avuto molta fortuna: con la pioggia e il gelo si scivola sul ponte della Costituzione di Venezia, ma anche sulla passerella Zubi-zuri di Bilbao (in dieci anni si stima si siano spesi 250mila euro per risistemare la pavimentazione in vetro), a Gerusalemme residenti e ambientalisti si sono scatenati contro i ritardi (sei anni dopo il previsto), e l’eccessivo costo del ponte (55milioni). 

Sapeva anche che Calatrava, insieme ad alcuni dirigenti comunali, è stato citato, per il suo ponte di Venezia, in giudizio per danno erariale dinanzi alla Corte dei Conti veneta nel 2012.

Implacabile il giudizio dell’accusa, dottor Carmine Scarano.

“Dalla documentazione agli atti emerge un quadro caratterizzato da macroscopica approssimazione e diffusa incapacità sfociate in un imbarazzante, quanto stupefacente, insieme di errori riscontrabili tanto nelle fasi di progettazione ed esecuzione, quanto nella redazione del bando di gara. Un’incapacità tecnica e una leggerezza nell’uso del denaro pubblico che così tanto sorprendono se raffrontate all’esperienza, competenza e capacità che hanno caratterizzato, in passato, la costruzione degli altri storici ponti sul Canal Grande”.

Vittorio Sgarbi e Mario Occhiuto
Vittorio Sgarbi e Mario Occhiuto

L’assessore occhiutiano (oggi ex) Sgarbi ebbe ad esprimersi così:Cacciari è stato un modesto sindaco di Venezia che ha fatto la cosa più brutta che c’è in quella città: quel cesso del ponte di Calatrava”. Chissà che dirà di quello di Cosenza?!

Perché, dunque, Occhiuto ha voluto, a tutti i costi (è il caso di dirlo), costruirlo?

Passiamo, ora, alle domande socio-antropologiche riguardo all’oggetto del nostro discorso: perché fare un ponte che, in fondo, non serve davvero? Perché, soprattutto, farlo fare ad una conclamata Archistar? Perché, se era un progetto congelato, rifinanziarlo dopo più di un decennio ? Perché spendere tutti questi soldi -ai tempi di Mancini il costo della sola struttura era di 14 mln.- per un ponte che collega il nulla con il nulla e del quale nessuno sentiva il bisogno se non una classe dirigente che aveva la precisa volontà di marchiare, indelebilmente, il territorio cittadino con un “segno architettonico” da megalomani (“vavusi”)?occhiuto con cuffieIl sindaco populista, conoscendo molto bene l’animo della folla della città, è andato incontro all’essenza dei suoi concittadini, ha assecondato la naturale vavusaggine dei cosentini proponendo loro – ed in parte realizzando malissimo e con gusto dozzinale-  idee, progetti, illusioni, sogni e miraggi dei quali avrebbero potutovaviarsi”.

Questi fenomeni dell’animo collettivo, queste manifestazioni antropologiche delle folle hanno uno stretto rapporto con la costruzione e la narrazione dell’identità collettiva ed individuale. Un’identità cittadina, sia essa ricostruita o inventata, per conquistare legittimità e consenso sociale ha bisogno di contenuti condivisi. Un’identità cittadina, per essere vitale, ha necessità che i suoi sistemi rappresentativi convergano con l’universo culturale dei gruppi sociali, politici e culturali coinvolti nei processi in atto nella società e Occhiuto, bisogna arrendersi all’evidenza, è riuscito a farli convergere.

Un sindacovavuso che culturalmente, sociologicamente ed antropologicamente rappresenta il 60% dei cosentini votanti (ché quasi il 40% per fortuna non ha votato…) che, orgogliosamente e legittimamente, da lui si sentono rappresentati.